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Archivio per la categoria 'TorinoInBocca'


giovedì 8 Novembre 2007, 11:34

Trovato il petrolio a Carisio

Stamattina, sul pullman che mi portava a Malpensa, ho potuto constatare di persona un avvenimento eccezionale: hanno scoperto il petrolio a Carisio!

Proprio nel mezzo della carreggiata sud della A4, in coincidenza del nuovo svincolo per Carisio, hanno difatti praticato una lunga serie di fori quadrati di circa due metri di lato, disposti a scacchiera in mezzo all’asfalto; il loro scopo non è immediatamente chiaro, ma evidentemente non possono essere altro che scavi per la trivellazione del petrolio. Infatti hanno dovuto chiudere al traffico l’intera carreggiata per un paio di chilometri, in un tratto in cui essa era già stata rifatta dopo i lavori di ampliamento ed aperta al traffico; certo, lavoro buttato, ma per il petrolio ne vale la pena.

A meno che, invece, i fori non servano assolutamente a nulla, e siano solo un’altra trovata per prolungare all’infinito i decennali lavori sul tratto Torino-Novara. Voi certo saprete che la Torino-Milano fu acquistata tempo fa dalla SATAP (Torino-Piacenza) del gruppo Gavio, il cui amico Martinat (AN) fu sotto Berlusconi viceministro alle Infrastrutture; egli venne perfino intercettato in conversazioni sconvenienti a proposito di tentativi di favorire Gavio nell’appalto olimpico della circonvallazione di Avigliana.

La SATAP è anche protagonista dell’altra annosa vicenda della Asti-Cuneo, in cui prima ebbe la concessione, poi prese dei soldi per rinunciare, e poi, nonostante le interrogazioni parlamentari, ricevette da Berlusconi e Martinat altri soldi per riprendersela, venendo poi recentemente indagata per avere secondo l’accusa fatto i lavori da schifo per risparmiare sui costi (vedi una interrogazione della Lega che invita la Regione a non rompere tanto le scatole sulla questione).

Ora, prendete questa notizia con le pinze, perché potrebbe anche non essere vera; ma gira voce che, come tutte le concessionarie autostradali, la SATAP debba allo Stato una lauta percentuale dei sostanziosi utili ricavati dai pedaggi astronomici praticati sulle proprie autostrade. Se però tutto ciò che si ricava viene speso in importantissimi lavori (purtroppo dai costi spropositati) per spostare la terra da là a qua e poi da qua a là, non c’è alcun utile e quindi non c’è alcuna percentuale; se poi i lavori vengono affidati ad altre ditte dello stesso gruppo o comunque dello stesso circolo industriale, i soldi che escono di lì rientrano da là, però senza più dover nulla allo Stato. E intanto la gente si ammazza contro le barriere di cemento dei cantieri.

P.S. Comunque il pullman della Sadem, senza aver incontrato altri cantieri o particolari ingorghi, è arrivato al terminal 1 di Malpensa con venti minuti di ritardo; se dovete utilizzarlo, tenete conto che 20-30 minuti di ritardo sono la norma, o perderete l’aereo.

P.S.2 Ho capito che sono in Lombardia perché i soli tre quotidiani disponibili nella lounge sono il Corriere della Sera, Il Sole 24 Ore, e Il Giornale.

P.S.3 Comunque, tornando all’argomento principale del post – se tra un po’ mi trovano in un fosso, sapete perché.

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venerdì 19 Ottobre 2007, 19:13

Partito certo, democratico boh

Lo ammetto: alla luce della mia opinione sulle primarie del Partito Democratico, è senza alcuna sorpresa che ho letto oggi su La Stampa che la vicenda dell’elezione del nuovo segretario regionale piemontese è andata a finire esattamente come previsto.

Ho osservato la storia sui giornali, e quindi ve la riassumo in breve: tutto inizia un paio di mesi fa, quando da Roma decidono che il primo segretario del PD in Piemonte dovrà essere Gianluca Susta, biellese, rutelliano. Perché? Perché si sono riuniti e si sono accorti che non ci sarebbe stata alcuna altra regione dove un uomo di Rutelli avrebbe potuto vincere le primarie locali; ragion per cui, in Piemonte deve vincere incontrastato un rutelliano.

Succede però che ad una parte dei diessini torinesi l’imposizione non va giù; vorrebbero invece un candidato espresso dal territorio. Nasce così la candidatura eretica di Gianfranco Morgando, sempre della Margherita ma della corrente popolare, che viene sostenuta non solo dai popolari ma da una parte dei diessini (ossia delle liste per Veltroni).

Apriti cielo: piovono fulmini da tutta la nomenclatura. Chiamparino, Bresso, Fassino, Violante eccetera sostengono Susta e vorrebbero addirittura vietare ai dissidenti di candidarsi sotto il nome di Veltroni. Volano parole grosse, e parte una lunga negoziazione; alla fine, per evitare l’esplosione del partito prima ancora che nasca, l’accordo è che il candidato ufficiale dei DS e di Veltroni è Susta, ma i dissidenti possono presentare Morgando sotto una delle altre liste associate a Veltroni.

Si arriva così alle primarie, ed ecco la sorpresa: contro ogni previsione, ha vinto Morgando di cinquemila voti. I dati ufficiosi parlano di quattro delegati di vantaggio per Morgando nell’assemblea regionale del PD. Chiamparino ha un diavolo per capello, i dissidenti cantano vittoria. Susta, con eleganza, telefona a Morgando e si dichiara sconfitto. Le agenzie battono intensamente la notizia. Il giorno dopo, La Stampa spara il titolo addirittura in prima pagina.

E poi? Poi, comincia il mistero. Nel resto d’Italia, due giorni dopo il voto ci sono già i risultati definitivi; non in Piemonte. Ci si giustifica con problemi tecnici, ma nel frattempo succede una cosa strana: uno dei membri dell’Utar, la commissione che conta i voti, si dimette improvvisamente, e a stretto giro di posta viene nominato al suo posto Mauro Laus, che solo pochi mesi fa si era alleato con Morgando per farsi eleggere segretario cittadino della Margherita, ma ora è uno dei sostenitori di Susta.

La commissione lavora e conta, conta e lavora, e dopo cinque giorni di tensioni e di polemiche incrociate esce con la notizia che tutti prevedevano: non era vero niente. Dopo il riconteggio, Morgando ha più voti, ma in termini di delegati Susta ha pareggiato. In più, Susta ha la fiducia della dirigenza nazionale del partito. Giusto in tempo per rovinare il festone che i morgandiani hanno organizzato per stasera a Hiroshima Mon Amour.

Non è chiaro cosa succederà adesso, se alla fine nomineranno comunque uno dei due litiganti, o se si rivolgeranno a un terzo salvatore; in queste situazioni qualunque cosa può succedere, e non dubito che ne vedremo ancora delle belle. Ciò che però si evince da questa storia – oltre al fatto che i votanti delle primarie sono essenzialmente coreografici, e comunque non devono permettersi di incasinare le direttive dall’alto – è come il partito democratico nasca senza alcun dubbio come un partito; sul democratico, vedremo.

[tags]primarie, partito democratico, piemonte, susta, morgando[/tags]

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giovedì 18 Ottobre 2007, 16:26

World of Papercraft

La scorsa settimana ho avuto un affascinante incontro con la burocrazia di Torino, nientepopodimenoche nel famoso “palazzaccio” di piazza San Giovanni, di fronte al Duomo (e devo dire che dentro è più bello che fuori, pur nel medio degrado di un ufficio pubblico costruito cinquant’anni fa; fuori peraltro l’hanno appena restaurato).

Lo scopo era concludere le pratiche edilizie per la mia mansarda, che si trascinano ormai da otto anni e che nel tempo mi sono costate svariate migliaia di euro. Stavolta dovevo andare a ritirare la bolla papale conclusiva del tutto; avevo un nome a cui rivolgermi e un numero di stanza.

Entrando, sulla destra, c’è un gabbiotto sopra il quale campeggia la scritta “informazioni” e un simbolo che se non è un punto interrogativo poco ci manca. Il simbolo è grigio ma è come se fosse giallo: interrogo il personaggio non giocante sito all’interno, che quasi con cortesia mi indirizza al primo piano, lato destro. Faccio le scale, trovo la stanza col numero giusto – cosa non ovvia, visto che la numerazione è divisa in pari e dispari a seconda del lato del corridoio, ma l’edificio è a forma di H – busso, entro, e chiedo della signora taldeitali.

Ping! Sulla testa di una delle due presenti compare un punto esclamativo giallo; mi avvicino, spiego la situazione, e lei fruga tra vari quintali di carta per recuperare la mia pratica. La apre, la legge, fa per darmela, ma poi esclama: “C’è un problema! Deve versare ancora una integrazione di bolli!”.

Pare difatti che, nel tempo in cui io salivo le scale, lo Stato italiano abbia aumentato l’importo del bollo sul tipo di pratica in questione. Mi preparo alla mazzata, e – dopo che il punto esclamativo è diventato interrogativo – ricevo da lei un foglietto con l’indicazione della cifra: ben tre euro e sessantadue centesimi.

La nuova missione è quindi quella di trovare la cassa dove pagare il dovuto, mentre medito su come l’incasso della suddetta cifra costi all’amministrazione pubblica ben più della cifra stessa. Individuo il distributore di foglietti, premo il pulsante giusto – ossia “H – Cassa edilizia, solo pagamento” -, attendo il mio turno, e quando scatta il mio numerino sul tabellone mi butto nel corridoio.

Già, perchè non ci sono gli sportelli: hanno numerato le varie porte del corridoio come se lo fossero, ma per arrivare al mio sportello in realtà devo percorrere una cinquantina di metri, evitando le persone ferme in attesa nel corridoio e le pile di carte, e cercando di individuare la porta giusta e di imbroccarla prima che l’impiegato, non vedendo nessuno, chiami il numero successivo.

Comunque, completo la missione: porgo il fogliettino e tre euro e sessantadue, ottengo la ricevuta, mi riavvio per le scale e torno dalla signora di prima.

E qui pensavo di avere concluso, e invece no: con mia sorpresa, quando le passo la ricevuta, il punto esclamativo diventa di nuovo interrogativo. Clicco sulla sua faccia con la mano destra e mi dice: “Bene, adesso che ha pagato questi, le posso dire che abbiamo rifatto i conti e ci siamo resi conto che ci siamo sbagliati: lei ha pagato quattromiladuecento (4200) euro in più del dovuto, che adesso può farsi restituire!”.

Io sbianco e non so se essere più contento per la pioggia d’oro che il NPC mi sta prospettando, o incazzato perché me l’hanno fatta abusivamente pagare per anni un tanto a semestre. La mia faccia deve essere perplessa perché la signora dice: “Scusi, non le tornano i conti?”.

Io mi rendo conto di aver violato la prima regola delle transazioni monetarie – “se qualcuno ti vuol dare dei soldi, non fare domande, ma incassali e allontanati il più in fretta possibile” – e dico “No no, non ho fatto i conti, ma avete sicuramente ragione!”.

Farsi rimborsare, però, non è così semplice: difatti la nuova missione richiede che io mi rechi al piano di sotto dall’altra signora taldeitali, che sta più o meno da quella parte là, e la placchi interrompendo il flusso dei numerini, per sapere come fare ad avere il rimborso. E così, fermo una terza signora, che mi dà il numero di stanza corretto, poi entro, aspetto che sia finito il numerino corrente, blocco la signora prima che prema il pulsante “e mo’ mandami il prossimo”, e apprendo le cose seguenti:

  • Il mio credito è con lo Stato, non con il Comune.
  • Per avere il rimborso dallo Stato, devo presentare all’Agenzia delle Entrate un certificato del Comune che dimostra che ne ho diritto.
  • Il Comune, per emettere il certificato, mi richiede un obolo di quarantasette virgola quattordici euro.
  • Per pagare l’obolo devo presentare una domanda in carta bollata da quattordici virgola sessantadue euro.
  • Per presentare la domanda in carta bollata mi servono il modulo (che lei mi dà) e la marca da bollo, ma soprattutto un numerino della fila “A – Presentazione di documenti al protocollo”.
  • Per evitare il vago rischio che qualcuno debba saltare il pranzo, i numerini della fila A vengono distribuiti soltanto fino alle ore 11:00, e ora sono le 11:12.

Pertanto, mi tocca disconnettermi e riloggarmi qualche giorno dopo alle dieci del mattino, quando prendo il numerino e dopo mezz’oretta di attesa vado allo sportello. Finita la presentazione della domanda – “Eccole la domanda” “Eccole l’util foglio per il pagamento” – ammiro la perfezione della tecnica burocratica quando, premendo un bottone, l’impiegata dello sportello inserisce il mio bigliettino della serie A in mezzo alla coda dei bigliettini della serie H, permettendomi così di pagare i quarantasette virgola quattordici euro senza attendere più di un paio di minuti; e avrebbero persino il bancomat.

Ora, devo soltanto attendere un tempo indeterminato perché il Comune mi chiami – anzi mi scriva, visto che sul modulo avevano addirittura lo spazio per l’email, anzi ad essere precisi una misteriosa “@mail” – e mi consegni il certificato, in modo che io possa portarlo in corso Bolzano, e iniziare nuove fantastiche quest.

Chiudo comunque con i complimenti al Comune: a differenza di altri settori (ad esempio quello delle autorizzazioni per il commercio, che avevo dovuto testare mesi fa) questo dell’edilizia mi è sembrato molto ben organizzato, almeno per essere un settore pubblico potenzialmente in stile Le dodici fatiche di Asterix.

Segnalo inoltre di aver con soddisfazione sperimentato il nuovo parcheggio pubblico sotterraneo Santo Stefano, sito esattamente dietro il palazzo; ve lo consiglio non solo per ammirare come siano riusciti a far stare due rampe circolari una dentro l’altra in un cortiletto quattrocentesco grande come un fazzoletto – un capolavoro di ingegneria sabauda – ma perché nello spazio pubblico (piani -3 e -4) la sosta costa ancora 1,30 euro l’ora, contro gli 1,50-2,00 delle strisce blu circostanti.

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sabato 13 Ottobre 2007, 15:50

Otoberfest, ovvero dell’autoriduzione proletaria

Di Eataly, come ricorderete, ho già detto tutto il male possibile. Eppure, io al cibo non so resistere, specie se in compagnia: e così, mercoledì sono stato coinvolto nell’assalto alla Otoberfest (o meglio, questa sarebbe la grafia corretta in piemontese; loro, che sono barotti, scrivono un improbabile Ãœtuberfest), che colà si tiene per tutta la settimana, sino a domani sera.

L’assalto doveva avvenire alle 19, orario di apertura, ma viene purtroppo ritardato causa orari lavorativi di parte del gruppo: e così, ci presentiamo là attorno alle 21, per scoprire una ventina di persone in attesa all’ingresso della zona dedicata, di fronte a un signore che con forte accento di vacca ci annuncia che bisognerà attendere circa mezz’ora. Chiediamo se si può prenotare, la risposta è no; prendere un numero e andare a fare un giro, nemmeno; a che ora precisamente riapriranno gli ingressi, boh. Non c’è nemmeno una fila; semplicemente un grumo di gente che sgomita cercando di stare il più possibile vicino all’ingresso, e passandosi continuamente davanti.

Dopo venti minuti di famelica attesa, riusciamo finalmente ad entrare… quasi. Già, perchè avendo aperto le cataratte, la gente-che-non-ci-vede-più-dalla-fame si proietta nello stretto ingresso a gomiti alti; amici perdono amici, madri perdono bambini, famiglie vengono disperse e finiranno per sempre a Chi l’ha visto. Noi siamo in sei; i quattro dai gomiti più allenati entrano; i due più timidi e meno scattanti restano fuori dal numero chiuso.

Qui si espone l’uomo di mondo, cioè io; chiedo al tizio dal sapor di vacca se può far passare i due rimanenti, che non si è mai visto di un posto dove i gruppi in attesa di cenare vengono separati a metà, e piuttosto potevano organizzarsi un minimo. Il tizio nicchia, ci dice che ha già tenuto fuori gente che aveva già pagato la cena, poi si affida alla tipica morale a scomparsa che regna in questi casi: invece di assumersi le proprie responsabilità, dice “per me va bene, se va bene agli altri in attesa”. Attimo di gelo; i due non scattanti non scattano, lasciando così il tempo a due più svegli di loro di dire “ma allora entriamo noi”. Preparo il fucile, e insomma riusciamo a fare entrare i nostri e tenere fuori gli altri.

All’alba delle 21:25 saliamo così le scale di Eataly, solo per trovarci di fronte a una ulteriore coda alla cassa. Arriviamo infine al bancone, dove una ragazza che sfoggia il caratteristico sguardo sveglio di chi è stato lobotomizzato da bambino ci spiega in soli quattro minuti che possiamo acquistare una birra a due euro, sei birre a dieci euro, il buffet a libero servizio a quindici, e dobbiamo lasciare tre euro di cauzione per avere il bicchiere in cui farsi servire la birra.

Qui parte il dramma. Il buffet è invitante, ma c’è una ulteriore e significativa coda per arrivarci, e poi è pur sempre un buffet da apericena; servono delle crespelle, e poi formaggi, salumi, pane, focaccia, insalata. L’idea di spendere quindici euro per un aperitivo, quando il prezzo di mercato, cocktail incluso, è tra i cinque e i sette, non piace ad alcuni; altri vorrebbero fregarsene e provare; tutti, comunque, odiano Eataly, compresi quelli che non c’erano mai stati e pensavano che io fossi un po’ troppo negativo. Alla fine, prendo un buono da sei birre, ne bevo una, ne offro un’altra ad Andrea, e poi scappiamo fuori a mangiare ai fast food dell’8 Gallery.

Poteva finire qui? Forse sì, ma a me non piace essere preso per i fondelli da una attività commerciale di gente dalle scarpe grosse, che ti fa pagare tutto uno sproposito e naviga nei miliardi, ma non ha neanche la decenza di organizzarsi per gestire i clienti non dico in modo perfetto, ma almeno come una trattoria di periferia.

Per cui, parte il piano “Rivincita con autoriduzione proletaria”: ieri sera, ci presentiamo in due alle 18:50, quando l’ingresso non è ancora presidiato nè chiaramente indicato. Saliamo di corsa le scale, e ci mettiamo in coda dietro a una decina di altri previdenti. Alle 19:10 (perchè, con la solita disorganizzazione, alle 19 non sono ancora pronti) aprono le porte; dietro di noi ci sono già un centinaio di persone, ma noi nel giro di tre minuti siamo alla cassa, dove prendiamo due bicchieri e un buffet, visto che io ho ancora quattro birre dalla sera precedente.

Io pago un buffet e un bicchiere; la tizia va in crisi, e prende la calcolatrice (non scherzo!) per fare 15 euro + 3 euro. Poi mi dà un euro di resto invece di due, e io la guardo perplesso, e lei mi spiega che, da oggi, la cauzione del bicchiere è salita a quattro euro; li pago di corsa prima che diventino cinque. Mi timbrano la mano con la data del giorno – no dico ragazzi, come nei centri sociali, ma lì almeno hanno i simbolini; proprio il numero sulla mano no, fa tanto Auschwitz! – e io mi presento al deserto buffet.

E qui, perfidamente, giriamo a nostro vantaggio la loro disorganizzazione; perchè alle 19:35 io ho già fatto tre giri del buffet, senza un secondo di attesa, e loro avranno fatto entrare sì e no cinquanta persone, visto quanto ci mettono a farle pagare; sai, ogni volta fare 15 + 4 (o, Dio non voglia, 15 + 10 + 4) con la calcolatrice… Ovviamente, io riempio ogni volta il piatto di roba, facendo pure tanti complimenti allo stagista da 400 euro lordi al mese che hanno messo a servire le lasagne; poi arrivo al tavolo, e ne mangiamo in due.

Il cibo, va detto, è di qualità eccellente; le lasagne sono ottime, i formaggi sono buoni, i salumi sublimi (nota: andare a comprare la mortadella da Eataly, dopo aver rapinato la banca). Mi servo senza ritegno di mezzo chilo di ottimo tonno delle Azzorre (cioè, non so da dove venisse, ma a Eataly non si può mica chiamarlo soltanto “tonno”). Le birre sono anche molto buone; a sorpresa, la migliore non è la Nora della leggendaria Baladin, ma una Menabrea 150° Anniversario che sa di lievito, e sembra di bere la pasta della pizza. Il suo unico difetto è che non riesce a trasformare in bellezze l’ammucchiata di bruttoni di ogni sesso che c’era in sala: concludo che il gene della bellezza fisica non è mai arrivato fino in Piemonte.

Purtroppo non sono riuscito a provare la pizza rossa, perché hanno cominciato a portarla dopo un po’, e appena la mettevano sul tavolo del buffet c’era una gazzarra indegna; le donne in particolare si riempivano i piatti senza ritegno, tipo cinque o otto pezzi per volta (appunto: mai sottovalutare l’aggressività femminile in materia di procurare il cibo, specie alla “festa della gente che compensa con il cibo le carenze affettive”).

Insomma, esco strapieno e compensato. Mentre scendiamo le scale, e sono le nove meno un quarto, la coda è diventata epica; inizia praticamente all’ingresso di Eataly, attraversa il piano terreno del negozio, si inerpica su per due piani di scale, poi percorre tutto il museo che sta al piano alto; saranno tranquillamente, senza esagerare, un centinaio di metri di coda, ovviamente amorfa e sregolata.

O voi in coda, che avete la faccia di quelli che si fanno turlupinare da Eataly! Imparate l’arte dell’autoriduzione proletaria, ché il capitalismo dalla faccia buona è fin peggiore di quello dalla faccia cattiva, e chi si fa abbindolare dalle finte motivazioni etiche finisce cornuto, mazziato, e a pancia vuota.

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lunedì 8 Ottobre 2007, 18:25

Multarolo del c…

L’espressione viene da un vecchio post di Andrea (che tra l’altro, come ho scoperto cercando il link, ha ricominciato a bloggare, seppur saltuariamente), e non avrei mai pensato di essere io ad usarla per qualcuno. Eppure, ammetto che mi è subito tornata in mente leggendo questa lettera, ossia la risposta di un responsabile dei vigili urbani a un articolo della Stampa (questo) che denunciava la nuova abitudine dei vigili torinesi di piazzarsi in incognito, contromano, in divieto di sosta e in posizioni pericolose pur di effettuare multe tramite telecamera. E dire che, pur essendo un guidatore sportivo, non ho mai commesso infrazioni significative né perso punti dalla patente, e non avrei mai pensato di trovarmi un giorno a simpatizzare col multato anziché col multante.

Premetto che un dibattito come quello di cui sopra non dovrebbe nemmeno esistere: gli automobilisti dovrebbero fare il proprio dovere, rispettando i segnali stradali; e i vigili dovrebbero fare il proprio dovere, rispettando le leggi che – essendo noi uno stato di diritto – impongono loro certi vincoli a garanzia del cittadino.

Purtroppo, come al solito, bisogna buttarla in caciara: e allora da una parte ci sono gli automobilisti che guidano in maniera pericolosa (il che, tra l’altro, vuol dire troppo veloce ma anche troppo piano o troppo distrattamente) e si lamentano quando vengono multati, anche quando hanno torto marcio; dall’altra ci sono i vigili che si comportano da sceriffi, spesso selezionando accuratamente le proprie vittime tra quelle che non alzeranno mai la voce.

Dopo accurata analisi, io mi sento più dalla parte dei cittadini incazzati, che da quella dei vigili. Perché il traffico a Torino è iper-regolamentato, e in questo caso noi torinesi diamo il peggio di tutti, incrociando una ossessione svizzera con una faciloneria tutta italiana.

Perché sono d’accordo anche io che la svolta a sinistra dal viale di corso Regina Margherita sia pericolosa e di intralcio, e quindi vada repressa; anzi, per favore, reprimetela più duramente. Ma non credo che sia necessario mettersi in incognito e contromano per farlo: ci si può mettere oltre l’incrocio e fermare i trasgressori per contestare la violazione. L’effetto repressivo è anche maggiore, visto che pure quelli che non saranno fermati vedranno i vigili e penseranno che la prossima volta potrebbe toccare a loro. Solo che così si fa meno cassa, e il piatto del Comune piange.

Un altro problema è poi la quantità abnorme di divieti che sono spuntati in città negli ultimi anni, spesso così tanto per vietare, senza pensare ad offrire alternative a chi da quella parte dovrà pur passare. Ad esempio, sono comparsi divieti di svolta a destra in vari viali; da corso Peschiera in corso Monte Cucco e in corso Racconigi, per dire. Sarà anche possibile che la svolta a destra in quel punto intralci, ma allora si doveva aprire un varco per permettere l’immissione nel controviale poco prima dell’incrocio; o come minimo mettere una indicazione preventiva all’incrocio precedente (costringendo però chi deve svoltare a percorrere centinaia di metri in controviali pieni di auto in doppia fila, cantieri e ostacoli vari…). Fatto così, vuol soltanto dire mettere un divieto in più, magari per poi fare delle multe – a quel punto veramente insensate.

Idem per i limiti di velocità lumaca (cinquanta all’ora nei grandi viali è una velocità ridicola, così come settanta in strade extraurbane senza incroci come gli approcci alle tangenziali), per i divieti di sosta non interpretabili da essere umano (quelli con sei fasce orarie diverse, una di divieto, una solo per residenti, una di sosta a pagamento, una solo per operatori con contrassegno giallo a righe…), per le strisce gialle con cui qualsiasi potentato parapubblico si ritaglia parcheggi gratuiti in pieno centro (i mezzi pubblici li usino i privati), e così via.

A tutto questo si aggiunge la sostanziale impunità per altri tipi di violazioni che i vigili e le forze dell’ordine dovrebbero reprimere, dal commercio ambulante ai lavavetri ai semafori, dai parcheggiatori abusivi ai furgoni abbandonati con le quattro frecce in mezzo ai viali (ma guai a toccare i commercianti).

Per cui, massima ammirazione per chi combatte quotidianamente la dura lotta contro il caos del traffico, ma preferirei che prima di tutto si regolasse il traffico in modo ragionevole, eliminando i divieti troppo restrittivi – anche perché troppi divieti uguale nessun divieto – e poi che ci si dedicasse anche ad altro, non solo alle multe via telecamera; e che comunque i vigili dessero sempre l’esempio, invece di farsi spesso vedere a fare le stesse manovre vietate e pericolose che poi stigmatizzano quando le facciamo noi.

Se no, anche a Torino finirà come a Settimo, dove il sindaco, dopo aver tappezzato la cittadina di telecamere anti-rosso “ciniche e implacabili” che scattavano anche quando avevi ragione, è stato costretto a mettersi in ginocchio sui ceci per evitare il linciaggio da parte dei propri cittadini.

Oppure come a Collegno, dove il nuovo autovelox e controllo del rosso all’incrocio tra corso Francia e via Castagnevizza è stato distrutto a sassate dagli abitanti della zona, esasperati dopo la prima ondata di multe per essere sfrecciati su un viale a tre corsie alla temibile velocità di cinquantasei all’ora.

Saranno degli incivili, ma non si può non capirli.

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venerdì 5 Ottobre 2007, 14:15

Novità a Torino

Oggi, nel mio consueto giro in bici per il centro di Torino, ho potuto scoprire parecchie novità.

La prima è che stavano inaugurando il tratto di metropolitana da Porta Susa a Porta Nuova; ovviamente attorno alle uscite era tutto sbarrato e piantonato dalle forze dell’ordine, visto che c’era persino Prodi (invitato con lo scopo di pietire altri soldi per completare l’opera, e sommerso di fischi da gente incazzata per vari motivi). Già da settimane avevano aggiornato i cartelli nella parte di metro già in servizio; da oggi pomeriggio alle 16 il nuovo tratto sarà aperto al pubblico, anche se si potranno usare solo le fermate di Vinzaglio, Re Umberto e Porta Nuova, perché la nuova fermata Porta Susa – in corrispondenza della futura stazione, che ancora non c’è – è fatta e finita ma resterà sigillata ancora per un paio d’anni almeno.

La metro sarà gratis da oggi pomeriggio fino a domenica sera, anche se immagino l’assalto. Comunque, è probabile che martedì debba farmi un giro a Roma in giornata, in treno, con l’unica coppia di pendolini che non passa da Milano, e quindi avrò modo di provare il nuovo tratto… almeno al mattino, visto che d’ora in poi alla sera la metro chiuderà alle 22:45 (1:30 il sabato, 21:00 la domenica).

Il tutto si inserisce nei festeggiamenti per il centenario dei trasporti pubblici torinesi, che prevede anche una mostra fotografica in vari portici della città.

In tutto questo, c’è un’altra novità: finalmente è sparito il cubo attorno al caval ‘d brons in piazza San Carlo, il che significa che il restauro – che i maligni dicevano avvenire con estrema lentezza, visti i bei soldi incassati dalle gigantesche pubblicità appiccicate alle impalcature – è finito. La statua è ancora coperta da un telo, ma si vede che è stata ricostruita completamente, aggiungendo anche la spada che tempo fa era stata portata via dai gobbi durante i festeggiamenti per un qualche scudetto (non ricordo più se uno di quelli dell’EPO o uno di quelli dei telefonini). Per vedere come è venuta, dovremo attendere che la scoperchino; sperando – solo per il suo bene, intendiamoci – che la Juve non rivinca uno scudetto tanto presto.

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mercoledì 3 Ottobre 2007, 12:17

Concerti plastici

Ieri sera sono andato allo stadio delle Alpi (sì, esiste ancora) a vedere il concerto dei Fiction Plane, gruppo londinese emergente. Si tratta di un trio che ricorda molto i Police: cantante/bassista, chitarrista e batterista, e lo stile è simile, anche se è rivisto in funzione dei gusti musicali attuali, per cui gli arrangiamenti di chitarra sconfinano nel coldplayesco (cioè, diciamo nei Radiohead di Ok Computer, che la musica inglese degli ultimi dieci anni è nata da lì). Però il modo di cantare del tizio, dal timbro agli svisamenti, è proprio simile a quello del leader dei Police, e insomma ho pensato subito che questo ragazzo sia cresciuto coi poster di Sting nella cameretta, e che li abbiano selezionati per questo tour proprio per questo motivo.

Il singolo Two Sisters ha un ritornello di quelli che entrano dritti nel cervello, un bello schitarramento reggae di sottofondo, e un discreto tiro; e la maggior parte degli altri pezzi hanno catturato il mio orecchio, specie Death Machine e il rompighiaccio Anyone. E così, stamattina sono andato subito a scarcomprare il disco, e mi sono anche documentato su Wikipedia, e così ho scoperto che il cantante/bassista non è cresciuto avendo nella cameretta i poster di Sting, ma Sting in carne ed ossa, visto che ne è il figlio. Insomma, a forza di vivere in Italia anche il signor Sumner ha scoperto il “tengo famiglia”, e suppongo che la presenza dei Fiction Plane sia stata una delle condizioni poste dal suo team di avvocati al team degli avvocati degli altri due per accettare la reunion.

Comunque, se vi piace il genere, il disco Рpur se acerbo, e insomma, senza settantamila persone a battere le mani in mezzo ai giochi di luce non fa lo stesso effetto Р̬ caruccio, e vale la pena di scarcomprarlo.

Dopo, comunque, hanno suonato anche i Police; a un certo punto temevamo non uscissero più, e che mandassero direttamente sul palco gli avvocati, per intrattenere il pubblico con un po’ di wrestling nel fango. Invece, alle 21,35 si sono presentati puntuali; almeno così mi dicono, perchè io, pur essendo seduto nella balconata del secondo anello della curva Maratona, vedevo a malapena la batteria, figuriamoci le facce; e i maxischermi erano grandi come il plasma di casa mia; insomma sembrava di guardare lo spot della 3 su un videofonino. Il mistero di come possano chiederti sessanta euro per “vedere” un concerto in questo modo è superato soltanto dal mistero di come io possa averli pagati.

Il concerto è stato carino, ma non eccezionale: era più una celebrazione storica che un concerto rock, e penso che vari pezzi dei Police possano anche prestarsi a uno stadio, ma solo se suonati alle tre del pomeriggio sotto il sole a picco e in mezzo ad un pogo intenso. Ieri, invece, il prato era pieno di circa quarantamila persone in piedi, dai trentacinque in su, completamente ferme; il massimo che è successo, a parte lamentarsi per il freddo e l’assenza del surround digitale 5.1, è stato che hanno battuto le mani, nemmeno a tempo perchè il suono si propaga troppo lentamente per poterlo fare in uno stadio. Certo, dal punto di vista commerciale è stato un successone: a parte la curva Primavera che era dietro il palco e quindi vuota, non ho mai visto il Delle Alpi così pieno, denso di gente in ogni dove, nemmeno per Toro-Ajax o per Toro-Mantova.

Alla fine, comunque, i tre hanno suonato per quasi due ore; in due ore non si sono mai detti nemmeno “ciao”, e non si sono avvicinati a meno di cinque metri l’uno dall’altro, se si escludono un paio di occasioni in cui Sting ha fatto finta di inchiappettare Andy Summers suonandogli dietro, però stando ben attento a non sfiorarlo, che se no l’altro avrebbe mollato lo strumento e si sarebbero pestati all’istante. Il team di avvocati di Summers, comunque, ha preteso che ogni canzone contenesse almeno dieci minuti di assolo fastidiosissimo, in cui il suddetto cerca di imitare Yngwie J. Malmsteen e poi di farsi dire dal pubblico che è bravo anche lui, e che il fatto che finiti i Police nessuno l’abbia più cagato neanche di striscio è soltanto un caso dovuto al destino cinico e baro.

E quindi, la prima parte è un po’ così, con ciascuna canzone rallentata e stiracchiata all’infinito fino ad un noiosissimo assolo. In più, Sting ha l’età che ha, ovvero 56 anni compiuti proprio durante il concerto; fa una cosa intelligente, cioè invece di sforzare taglia gli acuti uniformemente sulla maggior parte dei pezzi, riuscendo a conservare la voce per farne qualcuno anche sul finale (complimenti per essere riusciti a fare una versione di sei minuti di Roxanne mettendoci dentro una strofa sola: non tutti riuscirebbero ad aggirare così il problema).

Il concerto si riprende però con qualche numero meno scontato – bella ad esempio Wrapped Around Your Finger con Copeland in piedi contro un set di percussioni, timpano, gong e xilofono grosso il doppio di lui – e poi, nel finale, con i pezzi più energetici, tra cui Can’t Stand Losing You, che a seconda di come la si suoni può essere il punto più alto del reggae anni ’70 oppure il punto più alto del punk anni ’70, e ieri li è stati entrambi.

Alla fine, comunque, è stato veramente più un evento televisivo che un concerto; valeva la pena di esserci soprattutto per poter dire di esserci stati, ché per quanto riguarda la musica non c’è più vita, e piuttosto conviene mettersi su i dischi dell’epoca, o ascoltare appunto i Fiction Plane.

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mercoledì 26 Settembre 2007, 10:10

Aziende private, soldi pubblici

Stamattina, dovendo subentrare al precedente proprietario della mia casa nuova nel contratto di fornitura dell’elettricità, ho telefonato al numero verde di Iride Mercato (se vi chiedete cosa sia, è il nome che ha assunto AEM Torino da quando ha comprato quella di Genova e ha cominciato a porsi come corporation dell’energia, naturalmente usando come capitale di rischio quello dei contribuenti).

E’ stato tutto molto efficiente; ho atteso pochi minuti, poi una gentile signorina ha risposto, ha preso tutti i dati del contatore, la lettura, i miei dati personali, li ha inseriti nel suo calcolatore, e poi mi ha detto: “Tutto a posto: le arriverà via posta il contratto da firmare. Sulla prima bolletta le metteremo il costo del cambio di contratto, fanno 70 euro!”.

Sti cavoli: l’operazione di data entry più costosa del mondo. Ma non potremmo spostare il call center(*) in Romania?

(*) Ovviamente la signorina, per questa operazione, guadagnerà sì e no cinquanta centesimi; il resto va a pagare stipendi e gettoni di presenza di questo bel sottobosco politico-industriale (di centrosinistra, in questo caso, ma non fa differenza).

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martedì 28 Agosto 2007, 13:17

C’è amore in città

Ieri ho aperto il forum di Forzatoro, e ho subito notato un thread intitolato “Grandissima t…”; conoscendo l’ambiente, pur senza sapere nulla di nulla, ho indovinato immediatamente a chi si riferissero!

Aprendo il thread, ho avuto conferma della mia intuizione: una nota signora gobba della classe dirigente torinese, in puro stile Juventus, si è sentita in dovere di rilasciare a Repubblica una intervista piena di apprezzamenti verso il Toro – che, per carità, sono il genere di cose che ci si dice reciprocamente al bar o sui blog, ma forse su un quotidiano, da persone con ruoli di massima dirigenza dello sport italiano, non sono troppo appropriate. Del resto, anche Cairo si è distinto in passato per sfottò pubblici di ben dubbio gusto, che nascondono l’insofferenza reciproca e la guerra di potere (vera) tra l’alessandrino-milanese di scuola berlusconiana e la cupola torinese cresciuta all’ombra degli Agnelli.

Ciò detto, il thread suddetto si è rivelato pieno zeppo di insulti assolutamente creativi verso la suddetta signora, dai quali naturalmente mi dissocio, nonché delle solite storie che girano in città da anni, totalmente malevole e infondate, secondo cui la signora e il suo consorte avrebbero fatto carriera soltanto in quanto lei sarebbe stata la “migliore amica” del fu padrone della Fiat. E’ veramente disgustoso che una persona per bene, solo per aver sfottuto la prima squadra di Torino, venga sommersa di post e di mail che la definiscono “Cocainomane per osmosi da flauti suonati”!

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domenica 15 Luglio 2007, 21:45

Avvistati

Molti a Torino si sono chiesti dove fossero finiti Neve e Gliz, le mascotte delle Olimpiadi, dopo che li hanno tolti dalle piazze cittadine.

Bene, io l’ho scoperto: oggi era una giornata così bella che sono uscito per fare un giretto in bici e ho girato tutta Torino. E così, percorrendo la pista ciclabile in riva al Po, li ho intravisti: abbandonati negli immensi vivai comunali del Regio Parco, dietro l’ex Manifattura Tabacchi. Se qualcuno vuole liberarli…

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