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Archivio per la categoria 'TorinoInBocca'


domenica 15 Luglio 2007, 09:18

Traffic, day 4

Come può cominciare la serata del più atteso concerto dell’estate cittadina (a parte il giapponese a nastro all you can eat)? Beh, è facile; percorrendo via Lessona già in ritardo in mezzo al traffico, cercando di azzeccare un parcheggio impossibile – le auto già sin sui marciapiedi, alla milanese – e poi spaventarsi vedendo piombare da una via laterale una macchinina rossa a tutta velocità; la macchinina rossa inchioda proprio sul bordo della via, io mi giro per mandare affanculo il guidatore, e… ehi, è Fabbrone! Pensate che figo sarebbe stato inaugurare il concerto con un CID tra blogger torinesi: in tutta la blogosfera cittadina non si sarebbe parlato d’altro, men che meno del concerto.

Comunque, sono le dieci passate quando, con un colpo di genio, mollo la macchina nel parcheggio del Pam di via Crevacuore, lasciato incautamente incustodito, e a cui pochi avevano pensato; così arriviamo relativamente in fretta alla Pellerina, dove però il concerto di Battiato è già iniziato. Non è un problema aver perso i gruppi di supporto, ossia un paio di carneadi (per quanto Ivan Segreto sia passato abbastanza spesso sulle radio) e i Subsonica; certo che non potrò il mattino dopo dire “mi’ raga, visto che fighi i Subsonica l’altra sera?”. Però mi spiace perdere il Maestro, e allora ci infiliamo nella folla strabordante, un muro che comincia già duecento metri prima dell’ingresso nel vascone della Pellerina; tanto che entro cinque secondi perdiamo i nostri amici.

Finiamo così a vedere il concerto circa sulla luna, tipo a ottanta metri dal maxischermo che sta dietro il mixer a cinquanta metri dal palco. Sarà anche per questo, sarà perchè a quella distanza Battiato è un puntino e la gente intorno è più che altro intenta al coma etilico o a dirsi quanto erano fighi i Subsonica, ma il concerto stenta a decollare.

Battiato fa i pezzi degli ultimi dischi, che a me piacciono molto, ma certo non sono materiale di massa; in più, li vuol rifare uguali come nel disco, il che vuol dire che suona con le basi. Il palco è astronautico, la batteria chiusa in una galera di plexiglass perchè non disturbi i mille microfoni attorno, e poi tonnellate di strumentisti, compreso un quartetto d’archi, una seconda batteria elettronica, manciate di chitarristi e di accompagnatori, pile di tastiere, e almeno due portatili, di cui uno è un iBook identico al mio. I problemi sono due: il primo è che il Maestro, soverchiato da tanta complessità, fa fatica a capire e spesso attacca a cantare fuori tempo; il secondo è che, a forza di sentir sovraincisioni e vocine che emergono dal vuoto, non è chiaro in che misura io stia davvero vedendo un concerto, e quanto invece un playback alla Top of the Pops.

L’unico episodio degno di nota in una prima mezz’ora raffinata ma fredda – a parte la cover di Ruby Tuesday – è l’ingresso sul palco di Sgalambro, che si esibisce nientepopodimenoché nella Canzone della galassia; peccato che sia tradotta maluccio e cantata peggio, perché la trovata è comunque eccellente. Ah, e poi Battiato cerca di mettere in evidenza una delle sue band di sostegno – le MAB, un quartetto di donne che si lavano poco i capelli – facendogli suonare un loro pezzo; e queste attaccano una roba che poteva stare tranquillamente in Powerslave nel 1984. Ok, a me gli Iron Maiden piacciono, e la cantante è effettivamente potente di voce come Bruce Dickinson, carica di energia come Bruce Dickinson, e sexy come Bruce Dickinson; però non so se fare heavy metal venticinque anni in ritardo sia una grande idea. Complimenti però per la grinta.

Comunque, dopo un po’, finalmente succede il miracolo: Battiato attacca una Tra sesso e castità che rapisce, e fa seguire al doloroso pensante Chissà com’è la tua vita oggi / Chissà perché avrò abdicato la scena magnifica di un temporale di luci nel tratto tempestoso del pezzo. Subito dopo, insieme a un buon terzo dei centomila presenti (gli altri erano lì essenzialmente per il casino), canta La cura, e a me viene per la prima volta lo strano pensiero che sia una canzone da dedicare a se stessi; ad ogni modo, è una canzone talmente perfetta che completa i dieci minuti che valgono la serata.

Di lì a poco, peraltro, anche il Maestro si scioglie, e attacca con i classici che accontentano la folla: Voglio vederti danzare e Cuccurucucu; poi la fine teorica; e poi, come bis, L’era del cinghiale bianco e Centro di gravità permanente. Cosa volere di più? Beh, praticamente tutti i brani del periodo 1979-1983, ma non sottilizziamo.

E’ mezzanotte, quindi è finita? No, perché c’è la sorpresa finale; quando Battiato termina i bis, attacca un terribile martellamento di cassa, e dopo tre minuti salgono sul palco loro: i Subsonica! I Take That sabaudi attaccano subito una lagna mortale, in pratica cinque minuti di tastierone effetto seta con sopra Samuel che miagola frasi ad effetto. Poi continuano con Disco Labirinto, che almeno è un gran pezzo; penso che l’abbiano scelto perchè è in sette, per non sfigurare. Il problema è che i Subsonica, messi su un palco dopo Battiato, sembrano finti, finti come musicisti, finti come autori e finti come persone; è come se dopo aver mangiato un gran tagliere di formaggi italiani ti mettessero sul piatto una bella confezione colorata e accattivante, però piena di sottilette. Samuel, per ribadire la propria figaggine, scende dal palco per gridare “Su ‘ste maniiiiii!!!” – e quello lo grida bene, quasi come Toni C. in curva Maratona – e poi, tornando su a favor di camera, spara uno sputazzo olimpico in primo piano. Ma si può?

La cosa peggiora ancora, perchè trascinano sul palco Battiato e, in suo onore, “suonano” Up patriots to arms. La suonano come… ecco, avete presente quando siete in sala da tre ore, e mancano cinque minuti, e avete esaurito i pezzi, e allora qualcuno dice “dai, improvvisiamo, proviamo a suonare X”, dove X è un pezzo molto famoso di un’altra band, che però non tutti si ricordano e quindi lo si suona un po’ a orecchio, come viene? Ecco, questa è l’impressione che mi ha dato la versione dei Subsonica di Up patriots to arms (anche se, intendiamoci, non dubito che loro l’abbiano coscienziosamente preparata per una settimana; e a pensarci bene forse questo aggrava le cose). In più, hanno scelto proprio il pezzo in cui Battiato si lamenta della vacuità della musica commerciale moderna; forse pensavano di essere autoironici, o forse non l’hanno proprio capito; fatto sta che Battiato, canticchiando Non è colpa mia se esistono spettacoli con fumi e raggi laser / se le pedane sono piene di scemi che si muovono, guarda il tarantolato Samuel e si trattiene a stento dal ridere.

Sarebbe finita qui, se non fosse per le scene da panico per andar via, dovute alla bella idea di aver ristretto a un budello di due metri, a forza di stand e bancarelle, la principale via d’uscita per centomila persone. Certo che organizzativamente ‘sto Traffic fa proprio schifo; l’annunciatrice giuliva urla che si sono superate le duecentomila presenze in quattro giorni (stima effettuata col Bracciomatic), e tu pensi che invece di considerarti uno spettatore un tanto al chilo per il comunicato stampa finale, forse dovrebbero avere un minimo di rispetto per te e per gli artisti, e organizzare il tutto in modo che la musica si senta, il pubblico ci veda, e nessuno rischi di essere calpestato. Anche costasse dieci euro l’ingresso.

[tags]traffic, torino, festival, battiato, mab, subsonica[/tags]

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sabato 14 Luglio 2007, 13:08

Traffic, day 3

Ieri sera – perso Lou Reed per assenza fisica da Torino, e recuperati i Daft Punk perché non ci sono andato, ma dalla finestra di casa mia si sentivano benissimo: i residenti ringraziano – sono finalmente andato al Traffic, per l’attesa serata britannica.

Io e Andrea ci troviamo verso le otto, in attesa del materializzarsi delle donne, afferrando panino e birra da uno dei millanta baracchini attorno al festival (devono esserci pochi eventi quest’estate, visto che tutti i paninari del Nordovest paiono essersi allineati là).

Ignoriamo quindi il gruppo di coni che apre la serata, e ci sistemiamo nel vascone solo quando, alle otto e mezza, stanno per attaccare gli Art Brut. Sembrano le tre di pomeriggio e solo qualche centinaio di irriducibili è già pigiato davanti al palco.

Degli Art Brut ho già parlato; a me, a pelle, piacciono pure più degli Arctic Monkeys, nel senso che il genere è simile, ma gli Art Brut sono sardonici, veraci, e molto meno montati. La front line è composta dal cantante, uno che ha guardato alla moviola tutte le mosse e le pettinature di Morrissey, e dal chitarrista biondo posseduto dal demonio, che passa tutto il concerto a fare facce da film di Dario Argento.

Il concerto, proprio come il disco, è un caso di performing art, non solo per via di mossette, balletti e salti con la corda, ma perchè il cantante Eddie ogni tanto interrompe i pezzi a metà e si mette a raccontare i cazzi propri, o ad arringare la folla, ad esempio per raccontare di tutte le volte in cui è stato piantato dalla fidanzata ed invitare tutti i presenti a smetterla di pensare ai propri ex, che è solo una perdita di tempo. E’ un vero happening punteggiato dalla provocante semplicità dei testi; perchè Eddie non se la tira da santone come Bono, e i suoi pezzi, totalmente autoironici, parlano di due sole cose: di ragazze che l’hanno mollato o che si è fatto, e dell’obiettivo ultimo della sua vita, ossia mettere in piedi una band per apparire in Top of the Pops. E per facilitare l’obiettivo, oltre ad esporlo nel testo di una canzone su due, ha pure scritto un pezzo intitolato Top of the Pops, il cui testo è “Art Brut! Top of the Pops! Art Brut! Top of the Pops!”; ieri, nell’esecuzione live, ha inserito per cortesia anche i nomi degli altri gruppi in scaletta. Certo che deve esserci rimasto male, quando l’estate scorsa, dopo 41 anni di trasmissioni ininterrotte, la BBC ha cancellato Top of the Pops, proprio quando loro cominciavano ad avere successo: che sfiga.

Insomma, bel concerto e buon successo per gli Art Brut; alla fine, c’era già parecchia gente e sembrava apprezzare. Mezz’ora di cambio palco; tramonta ed entrano in scena i The Coral, gruppo di grande valore tecnico, che io apprezzo moltissimo sin da quando, nel 2002, vidi verso le due di notte su MTV il video di Goodbye. I Coral fanno di genere un mescolone tra gli ultimi anni sessanta e i primi anni settanta; c’è dentro il progressive, c’è dentro la psichedelia, ma con una base brit-pop tradizionale e concettualmente non lontana dai Travis o da altri gruppi britannici più mainstream. Di conseguenza, si presentano in scena con chitarre panciute e batteria scarna alla Ringo Starr (un piatto orizzontale e un charleston).

Ora, è chiaro che la loro musica è complicata per un festival: sul palco sono in sei, ci sono ennemila chitarre che cambiano continuamente, una base di organetto che (per esperienza) è sempre difficile da mixare, e pezzi dalla struttura non facile. Certo che se poi l’organizzazione non li aiuta, regolando il volume a livello da lounge… Io ero a dieci metri dal palco e non sentivo nulla; attorno a me, la gente chiacchierava tranquillamente senza nemmeno accennare ad urlare, e il chiacchiericcio copriva la musica; chissà più indietro cosa avranno sentito. A un certo punto volevo organizzare una colletta per regalare un paio di ampli al Traffic, che peraltro ha maltrattato i Coral in tutti i modi: per dire, quando hanno fatto She Sings The Mourning, la cui caratteristica è una chitarra suonata con l’archetto, il regista del maxischermo ha inquadrato qualsiasi cosa – cantante, dettagli del charleston, gente che cazzeggiava in platea, persino tre minuti di bassista che faceva sempre le stesse due note – ma non una volta il benedetto archetto; e dillo, regista, che non ti sei nemmeno documentato tre minuti per capire chi cavolo sono i The Coral e che canzoni fanno! Chiude in bellezza l’omino delle birre che passa tra il pubblico con una lampadina da 200 watt e un compressore che spara ottanta decibel di rumore assordante, nel bel mezzo dei pezzi d’atmosfera: capisco che il Traffic debba arrotondare, però un minimo di rispetto per la musica potevano pure mettercelo.

Loro, poveracci, ce l’hanno messa tutta e hanno fatto un bel concerto; la musica dei Coral è magica e affascinante, ma anche energetica (a fine concerto spaccano tutto con il finale di I Remember When). Peccato che la platea, già alla ventesima fila, fosse piena di tarri che erano lì solo per gli Arctic Monkeys o magari solo per le canne, e che li hanno cagati di striscio solo quando hanno fatto In The Morning, il singolino poppettaro che ormai tocca fare pure alle band indipendenti. Questi sono i casi in cui ti chiedi se non sarebbe meglio far pagare dieci euro ed evitare il tarrume; del resto, se tutti gli altri festival d’Italia sono a pagamento un motivo ci sarà.

Comunque, ormai è notte, e il cambio palco successivo è lungo ed estenuante, mentre il vascone della Pellerina ormai è pieno e impaziente; noi ci siamo spostati in fondo, per tranquillità. Alla fine, parte una musica introduttoria e salgono sul palco i figli degli Arctic Monkeys, quattro ragazzini brufolosi, per presentare il concerto. Dopodiché, a sorpresa, si siedono agli strumenti; il batterista, un tredicenne panzuto che pare uscito da una sitcom, si siede sul seggiolino, butta per terra la carta di un paio di Mars, si schiaccia un brufolo, poi prende le bacchette e attacca una mitragliata mai vista per lanciare The View From The Afternoon. Oddio, ma sono loro gli Arctic Monkeys!

Dopo tre pezzi ho capito il trucco dietro alla band; praticamente, il bambino panzuto, tra un panino con la Nutella e una manciata di M&M’s, spara delle basi di batteria mai viste, al che gli altri tre diventano abbastanza irrilevanti, e in particolare il chitarrista può dedicarsi ad assoli e virtuosismi degni del miglior Ghigo Renzulli (in qualche caso mi è venuto da dirgli “dai, scendi, salgo sul palco io con la chitarra di Guitar Hero e faccio degli assoli più tecnici”). Sono comunque ammirato; perché questi ragazzini mettono insieme una macchina da guerra che macina note a velocità supersonica, e ogni tanto ci infilano pure una spruzzatina di blues o un po’ di lentuccio. Ok, sono travolti dal successo, in buona parte perché gliel’hanno costruito attorno apposta, ma la musica è più che piacevole.

Ciò nonostante, a metà del loro concerto ce ne andiamo esausti, e ci diamo appuntamento per il sabato sera con Battiato. Speriamo solo che il pubblico tarro dei Subsonica non si metta a minchionare ad alta voce sulla metafisica del Maestro.

[tags]traffic, torino, festival, art brut, the coral, arctic monkeys[/tags]

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venerdì 20 Aprile 2007, 14:49

Giornata frizzante

La notizia vera e propria è rimandata al prossimo post; questo è il preludio legato all’ennesima bella giornata di sole. Sembra di stare al mare, oggi, a Torino; uscendo in bici e con le maniche corte, si fende il vento mentre le persone si allargano e cercano l’ombra, in un’aria che sa d’estate e di tranquilla pigrizia.

Proprio la bici è una causa di tutto; ieri pomeriggio, dopo solo un mese, mi sono deciso finalmente a portarla dal ciclista nuovo. Già, perchè il problema, come vi dissi, è che il ciclista sotto casa mia ha chiuso senza lasciare traccia; e così, dopo il viaggio a Lisbona, ho dovuto passo passo risolvere il problema. Prima ho impiegato giorni per trovare la giusta chiave di ricerca sulle Pagine Gialle, per trovare altri indirizzi di negozi atti allo scopo; poi ho individuato il più vicino a me, sito in via Villa Giusti, a un quarto d’ora abbondante a piedi; poi ho speso inutilmente venti minuti per provare a far entrare la bici nella 147 (eppure nella Punto entrava); poi ho cercato inutilmente il manuale della bici per capire come smontare la sola ruota; poi mi sono rassegnato e ieri, presa in mano la situazione, mi son deciso ad accompagnare la bicicletta a mano fin là.

Ebbene, non solo il negozio c’era, era aperto e riparava anche le bici, ma il vecchio signore che c’era dentro me l’ha fatta lì sul momento, e già che c’era mi ha anche dato due martellate alla carena dove non stava dritta, e mi ha persino riavvitato la luce posteriore (voglio dire: ho una luce posteriore, mica un catarifrangente, e non me n’ero mai accorto). Il tutto per sette euro in un quarto d’ora.

E così, felice per aver risolto da solo la situazione, stamattina ho imbracciato la bici per il giro per appuntamenti, e poi mi sono concesso, vista la giornata, anche il pranzo in centro. Ed era decisamente una giornata fortunata, perchè, andando dove normalmente non passo, ho scoperto che da oggi a domenica ai Giardini Reali si tiene una cosa denominata Mercato Europeo.

In pratica, i giardini sono pieni di decine e decine di bancarelle da tutte le parti d’Italia e d’Europa; non solo salumerie e formaggerie umbro-toscane (porchetta in primis), pecorini sardi uno più invitante dell’altro – da quelli che richiedono la sega elettrica per il taglio a quelli abitati da un team di vermi, che se vedono che sei interessato si attivano e ti inseguono col pecorino in spalla per la via – e olive e pasticceria siciliana, ma veri e propri stand tedeschi, austriaci, olandesi, francesi, persino uno spagnolo con la paella; popolati veramente da tedeschi, austriaci, olandesi, francesi e spagnoli, che si fanno capire a gesti. C’è persino uno stand di maialerie e porcaggini sponsorizzato dalla leggendaria birra Köstritzer, con tanto di cartelli “Qui spezialità di nostro titolare di ditta” a provarne l’autenticità!

Dunque, io ho deciso di evitare il bratwurst, i maialini e pure i wafer bavaresi con lo spumone dentro – pur concedendomi un’ottima birra artigianale di vicino Norimberga – e di puntare su focaccia umbra con un prosciutto crudo di Norcia che sembrava ancora sanguinare; ma sono fortemente tornato di tornare stasera con la sporta a fare razzia di tutte le specialità indimenticabili della gastronomia tedesca (ma anche di quelle dimenticabili, tipo i cetrioli con spezie in acido).

Nel frattempo, ho ripreso la bici per il ritorno, con l’allegria norimberghese nelle vene, e mi sono divertito a percorrere via Garibaldi affollata di gente un po’ come in un Carmageddon, pardon, Bikemageddon animato. Per aumentare il livello di difficoltà, mi sono persino messo contemporaneamente a cantare sottovoce una traduzione simultanea in francese di Nessuno mi può giudicare di Caterina Caselli (“j’ai vu la difference entre lui et toi, et j’ai choisi toi”). Ho provato anche con quella in piemontese, ma non rende, visto che la stessa frase diventa “mi i-j’hai dilo che col lì a l’era un disgrassià, ch’a l’era ‘n ciola, nen bon a gavese la nata da sol, ma sta fieula a capìa pì nen, a l’era pròpi bin ciapà”; e nel ritmo della musica non ci entra.

E con questo vi lascio, e vado a lavorare.

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giovedì 19 Aprile 2007, 14:49

Emergenze

Poco fa, il mio televisore, casualmente rimasto acceso su Rai Tre, ha rimandato l’apertura del telegiornale. In video si è presentata una attempata signorina che, invece di dirci che cosa è successo oggi, ha attaccato un pippone infinito per spiegare che oggi i servizi andranno in onda senza i nomi dei giornalisti, in solidarietà con lo sciopero di Repubblica; e ha chiuso con toni da tragedia, paventando “l’emergenza democratica per la mancanza di un tavolo per il rinnovo del contratto”. In pratica, la democrazia in Italia sarebbe in pericolo perchè non si aumenta lo stipendio ai giornalisti.

Ad essere sinceri, però, l’emergenza democratica in Italia c’è tutta: è data da cinquant’anni di giornalismo italiano che, con poche gloriose eccezioni, si è distinto per servilismo e per la scarsissima attitudine a occuparsi di questioni scomode per i potenti di turno. Se avessimo dei media che parlano davvero e senza peli sulla lingua di come viene malgestito e depredato questo paese – invece di propinarci voyeurismi su bambini sgozzati e infiniti servizi su come combattere la canicola d’aprile – forse la gente sarebbe più attenta e più capace di accorgersi di come viene quotidianamente gabbata.

E invece, subito prima del pippone – durante il TGR Piemonte, una delle testate più servili che esistano in giro – mi sono dovuto subire un allucinante servizio di cinque minuti sulla “tangenziale verde di Torino”: le famose aree Borsetto (tra Borgaro, Settimo e Torino) che vanno dalla Falchera al parco Chico Mendes. Per cinque minuti mi sono dovuto subire le scene del sindaco di Borgaro e dell’ex senatore Vallone che, ripresi davanti a un vialetto sterrato circondato da quattro alberelli striminziti, magnificavano i loro risultati nel preservare queste aree dall’edificazione; nel contempo chiedendomi quale mai notizia fosse questa, visto che tali aree sono verdi e non edificabili da sempre. La risposta è arrivata negli ultimi dieci secondi del servizio, in cui, en passant, si diceva che tutto ciò si sta concretizzando nella firma di un accordo con il gruppo Ligresti, proprietario di molte di queste aree, che avrebbe permesso a quest’ultimo di costruire 270.000 (duecentosettantamila) metri quadri di nuove case ed uffici a Mappano e persino attorno ai laghetti della Falchera, “nonostante la preoccupazione di alcuni gruppi ambientalisti”.

Noi, per fortuna, abbiamo Internet; e se la mette in questo modo persino l’allineatissima Busiarda, qualche dubbio sull’operazione viene per forza. Tuttavia, dopo il servizietto di oggi, certamente l’anonimo giornalista che ne è stato responsabile meriterà l’aumento per il quale la categoria duramente combatte. Anzi, chissà che non glielo allunghi direttamente Ligresti!

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domenica 15 Aprile 2007, 11:11

Markette

Capisco che i telecronisti Rai della Turin Marathon debbano per contratto cercare di magnificare le bellezze della città ospitante; ma dire “Certo che stiamo vedendo sempre degli scorci molto molto belli” quando la telecamera dall’elicottero rimanda una veduta d’insieme della curva delle cento lire (dice proprio così la sovraimpressione, “Curva delle 100 lire”, anche se tecnicamente si chiama Lungo Stura Lazio) non mi sembra proprio credibile…

D’altra parte, quando ho acceso il televisore stavano intervistando il tristemente noto assessore Montabone, e il telecronista ha commentato dicendo: “Che politico, questo Montabone!”.

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sabato 14 Aprile 2007, 11:47

Credito Zero

Come forse già saprete – o più probabilmente non saprete, visto che alla conferenza stampa di lancio si sono presentati tutti i giornali e le emittenti torinesi ad eccezione di La Stampa e TGR Piemonte – è stata formalmente presentata una richiesta di referendum abrogativo per la delibera del Consiglio Comunale che permette alla Juventus di ottenere un regalo da 66 milioni di euro dalle tasche dei cittadini per costruirsi un centro commerciale.

Ricapitolando, tale delibera concede il (necessario) sostegno della Città al fatto che gli Europei 2012, se assegnati all’Italia, si svolgano allo stadio Delle Alpi (precedentemente svenduto alla Juventus a prezzo stracciato) anzichè al nuovissimo Olimpico, di proprietà della città stessa; e al fatto che la Juventus possa usufruire, per la ristrutturazione del suddetto, di un prestito del Credito Sportivo (istituto statale) concesso al tasso zero che si applica agli enti pubblici per le grandi manifestazioni sportive, anzichè ai tassi di mercato normalmente applicati ai privati.

Grazie a questa decisione, la Juventus è passata da un progetto di ristrutturazione minimale da 18 milioni di euro (vedi dichiarazioni della Juve a La Stampa del settembre 2006) a un progetto faraonico da 120 milioni di euro; i 102 milioni extra servono per un megacentro commerciale, che altrimenti non si sarebbe potuta permettere. Già, perchè si calcola che il costo degli interessi su 120 milioni di euro di mutuo pluridecennale sia di circa 66 milioni di euro, che invece della Juventus metteranno i cittadini. In pratica, lo Stato, con i nostri soldi e grazie all’appoggio del Comune, regalerà alla Juventus oltre un terzo del suo centro commerciale, e le permetterà di pagare il resto a rate nei prossimi venti o trent’anni.

Cosa ancora peggiore, la Città avrebbe potuto decidere invece di far convergere i fondi degli Europei sul suo stadio piuttosto che su quello di un privato – uno stadio, inoltre, che allo stato attuale rischia seriamente di essere chiuso e abbandonato dopo tre anni dall’inaugurazione, visto che così com’è ora non è adatto al calcio di serie A ed entrambe le squadre non vedono l’ora di andarsene altrove (ah già, ma Chiamparino disse che ci metterà il rugby).

Mentre la questione è arrivata persino all’antitrust europeo – la Juventus è una società privata a fine di lucro, in competizione con altre società di tutta Europa in lucrose competizioni internazionali, e questo prestito si configura quindi come un aiuto di Stato al fine di alterare la concorrenza – a Torino si è dato il via a questo referendum. E’ necessario raccogliere duemila firme nei prossimi giorni; dopodichè, una commissione comunale valuterà l’ammissibilità, e in questo caso sarà necessario raccoglierne altre diciottomila per poter arrivare al voto la primavera prossima.

Per ora, sarà possibile firmare davanti allo stadio Olimpico prima di Toro-Atalanta, domenica pomeriggio; probabilmente dalla settimana prossima si potrà firmare anche in Municipio (informazioni sul blog). E’ necessario un documento valido (e un pubblico ufficiale). Passate parola.

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martedì 3 Aprile 2007, 14:50

Parlando di stadi (4)

Sempre per il balletto degli appaltistadi torinesi, c’è un’altra cosa che non ho ancora raccontato ma che merita menzione.

Difatti, regalatoceduto il Delle Alpi alla Juventus, la città si è chiesta: e adesso, i concerti dove li facciamo? Certo, “i concerti” è un parolone, visto che se va bene al Delle Alpi si fa un concerto l’anno, solitamente dell’anziano Vasco Rossi; e in fondo, per i grandi eventi – a seconda della dimensione – la città possiede solamente il Palasport del Ruffini, il PalaIsozaki, l’Oval del Lingotto e lo Stadio Olimpico; più il Mazdapalace (ex Palastampa) dato alla famiglia Togni, che da anni medita cause miliardarie contro il Comune, visto che prima gli avevano garantito l’esclusiva sui concerti di media dimensione a Torino e poi hanno cominciato a spingere il PalaIsozaki.

Dunque, volete non spendere dei soldi per costruire un’altro bell’impianto? Cinque milioni di euro dei cittadini, per la precisione; cioè, pare che il costo preventivato all’inizio (due anni fa) fosse di 1,6 milioni di euro, ma poi, si sa, l’inflazione, il carovita… Il povero appaltatore mica ce la poteva fare, senza triplicare il costo.

Già, ma chi è l’appaltatore? E’ la De-Ga, una delle più famose aziende di immobiliaristi torinesi. “Ga” sta per Gallesio, il presidente dell’associazione dei costruttori edili torinesi. “De” sta per De Giuli, ovvero la famiglia di costruttori il cui rampollo ha sposato la figlia dell’ex sindaco e presidente del Toroc, Castellani. L’azienda ha fatto i fantastilioni negli anni ’90 quando, a Castellani sindaco, ristrutturò l’intero quadrilatero romano, zona allora degradata, trasformandolo in case trendy per i nuovi ricchi. Pochi mesi fa, il Comune ha assegnato alla De-Ga il lavoro di ristrutturazione in albergo della “Casa Gramsci” di piazza Carlina, preferendola “solo” alla Radisson, una delle maggiori catene alberghiere di lusso del mondo, svedese. Ma vuoi mettere i leader mondiali in confronto al genero dell’ex sindaco?

Ciliegina sulla torta, dove si fa, questa nuova e vitale costruzione? Ovviamente, alla Continassa; esattamente tra lo Stadio delle Alpi e il Mazdapalace. Metti che vengano a suonare i ricostituiti Police, così puoi mettere Andy Summers al Mazdapalace, Stewart Copeland nel nuovo palazzetto e Sting al Delle Alpi: comodo, no? Che poi questa nuova opera contribuisca ulteriormente a valorizzare il costruendo e dirimpettaio centro commerciale della Juve è solo un dettagliuccio; peraltro, i ben informati insinuano che il Comune abbia concesso alla Juve un’opzione di acquisto su qualsiasi cosa venga costruita su quel terreno, ma ciò parrebbe troppo anche a me.

E l’Olimpico? In fondo è della città e per il momento pare che lo resterà, e lì cinquantamila persone per un concerto (usando anche il prato) ci starebbero senza problemi… ma che domande, è ovvio che non si può fare: quello sarà lo stadio del rugby, mica vuoi rovinare il prato con un concerto di Vasco Rossi ogni due anni…

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domenica 1 Aprile 2007, 12:35

Un paese libero (2)

Speravo di non dover più tornare sull’argomento delle relazioni tra politica e cittadini, così come emergono dalla vicenda degli stadi torinesi, e invece mi tocca farlo ancora.

Ma non tanto per le solite dichiarazioni che aggiungono acqua sul bagnato; dall’assessore Montabone che avrebbe dichiarato che “nessuno si aspettava che il Torino tornasse ancora a questi livelli” (grazie per l’affetto) a Chiamparino che spiega come la città abbia speso trenta o quaranta milioni di euro nell’Olimpico con il solo fine delle cerimonie olimpiche, e se il risultato non è adatto al calcio ci si può mettere il rugby “che è uno sport in grande crescita”: complimenti per l’attenta pianificazione strategica.

Concluderei però con il mitico consigliere comunale Cuntrò (Ulivo) che, ansioso di distogliere l’attenzione dai misfatti della giunta comunale, si scaglia con una lunga invettiva contro Cairo, accusandolo perchè, nonostante sia alla guida del Toro da diciotto mesi, non ha ancora spostato la sede degli allenamenti al Filadelfia. Attimo di gelo in sala, dopodichè lo tirano giù e gli spiegano in modo caritatevole che il Filadelfia l’ha raso al suolo il Comune dieci anni fa, e al momento ci sono solo un prato pieno di buche e qualche rudere.

Tutto questo sarebbe triste folklore o normale prova di assodata incompetenza; se ne volete un bel riassunto, eccolo qui (da caricare due volte, se alla prima finite sulla home page). Quello che invece indigna è che, dopo un paio di settimane, è saltato fuori il video della seduta più contestata, quella in cui Chiamparino in persona arringa la platea lamentandosi delle proteste organizzate dai tifosi, e invitandoli a dirigerle contro Cairo. (Il video è del computer sintonizzato sulla seduta, trasmessa in streaming audio.) La platea fa un commento, e subito Chiamparino li minaccia: “Vi ricordo che voi non potete parlare.” I cittadini si ribellano, e, dopo un minuto di proteste, ai vigili viene ordinato di portarli via a forza. Siamo quasi a tre minuti da inizio filmato: scoppia un mezzo parapiglia, qualcuno grida “Vergogna!”, e Chiamparino che fa? Gli risponde beffardo, “Vai, vai”, e poi pronuncia davanti a tutti la seguente, agghiacciante frase: “Tanto non mi servono più.” E ridacchia.

Siamo contenti, come cittadini prima ancora che come tifosi, di essere stati cinicamente utilizzati da Chiamparino per la propria carriera politica; non che fosse possibile fare altrimenti, visto che l’altra parte, casualmente, ha candidato Buttiglione invece che una alternativa credibile (che dura opposizione). Ma questo video dovrebbe andare in onda nelle scuole, per far capire cosa pensano i nostri politici – e ricordiamo, Chiamparino sarà uno dei leader del prossimo Partito Democratico – dei propri cittadini.

P.S. Oggi, negli stadi, entra in vigore la nuova norma sugli striscioni: ogni striscione deve essere consegnato sette giorni prima della partita alle forze dell’ordine, che decideranno se ammetterlo o no. Ma tutto questo non è censura nè repressione del dissenso, è solo per la sicurezza delle famiglie, eh!

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lunedì 26 Marzo 2007, 15:31

Parlando di stadi (3)

Oggi pomeriggio, altro giro in Comune: si discuteva l’interpellanza presentata il 26 febbraio dal consigliere Carossa a proposito dei crediti relativi allo stadio Comunale (sul sito del Comune non è ancora accessibile, ma la trovate qui). In pratica, dopo il fallimento dell’A.C. Torino di Cimminelli, il Comune è diventato non solo proprietario dell’area dello stadio Filadelfia ma anche creditore delle garanzie che lo stesso Cimminelli aveva offerto a garanzia dei lavori di ristrutturazione olimpica del Comunale; tali garanzie dovevano ammontare a 3,5 milioni di euro, e avrebbero dovuto costituire il fondo che la Città metterà a disposizione per la ricostruzione del Filadelfia stesso.

Naturalmente, esattamente come il Comune si è dimenticato di farsi pagare dalla famiglJuventus per le rate del Delle Alpi, pare che si sia dimenticato di farsi pagare anche dalla famiglErgom di Cimminelli (ricordo, azienda che vive e tuttora prospera facendo sostanzialmente una cosa, i cruscotti della Punto).

Infatti, oggi pomeriggio l’assessore ha risposto che non c’è problema, che anzi il credito risulta persino superiore, pari a 4.329.060 euro. E che non si capisce perchè la gente pensi male, visto che loro, dopo il fallimento (avvenuto, lo ricordo, quasi due anni fa), avevano regolarmente dato il via al recupero crediti. Peccato che poi sia saltato fuori che il suddetto recupero crediti è stato iniziato il 13 marzo scorso… due settimane fa, e due settimane dopo la presentazione dell’interpellanza. Ma è solo un caso, eh!

Però c’è una buona notizia: pare che almeno stavolta non ci fosse la Digos

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lunedì 19 Marzo 2007, 17:59

Un paese libero

Oggi, in comune a Torino, era prevista un’altra tappa della questione stadi: la discussione di una interpellanza con cui un consigliere comunale chiedeva di sapere se la Juventus avesse almeno pagato le rate del regalo ricevuto.

Bene, trattandosi di seduta pubblica del consiglio comunale, un gruppetto di tifosi particolarmente interessati alla questione – cinque, per la precisione – hanno deciso di andarla a sentire, e questo è l’agghiacciante racconto che ne consegue, fatto da una signora che faceva parte dei cinque. A scanso di equivoci, preciso che la signora in questione ha i capelli grigi e lavora nella segreteria direzionale della Regione Piemonte, insomma non è precisamente un ultras o un facinoroso.

Dunque, la seduta inizia in orario, discutendo di altri argomenti; i cinque arrivano, e, come richiesto in queste situazioni, si registrano come pubblico, lasciando i documenti agli uscieri. Quando, dopo un’oretta, si giunge al momento dell’interpellanza in questione, l’assessore Montabone, competente a rispondere, risulta misteriosamente assente. A questo punto, la seduta viene sospesa.

I cinque stanno lì a chiacchierare attendendo la ripresa dei lavori, quando improvvisamente spuntano un manipolo di vigili e tre funzionari della Digos, che, informandoli che la seduta non riprenderà ancora per parecchio tempo, ordinano lo sgombero della tribuna, invitando il gruppetto a spostarsi al bar. I cinque si dirigono allora verso il bar interno, ma vengono invece invitati ad andare all’esterno, nella piazza di fronte al Municipio.

Pertanto i cinque escono, prendono un caffè, e dopo una decina di minuti, non volendo comunque rischiare, tornano dentro. A questo punto la prima sorpresa: non appena loro sono usciti, la seduta è stata riaperta in tutta fretta, e Montabone ha cominciato a rispondere in assenza del pubblico. Riescono comunque a cogliere parte del racconto, secondo cui a Montabone risulta che siano stati versati sette milioni di euro. Il mistero si infittisce, non solo perchè l’accordo con la Juve, deliberato il 17/2/2003, prevedeva il versamento di un milione sull’unghia, due milioni all’anno ogni febbraio, e sei al rilascio delle licenze o comunque entro il 2003, quindi i milioni dovrebbero essere tredici, con altri due in corso di pagamento; ma perchè nei bilanci comunali di questi anni non compare nemmeno il versamento di sette milioni che “risulta” a Montabone. In pratica, sostengono quelli che hanno spulciato i bilanci, la Juve, dopo aver avuto lo stadio a prezzo stracciato, non avrebbe nemmeno pagato le rate, se non una l’anno scorso.

Ma non è finita qui: perchè a questo punto, finita la seduta a rotta di collo, i cinque escono e tornano sotto a riprendersi i documenti. E qui, c’è un attimo di panico: gli uscieri non li trovano, non sanno dove sono, sono visibilmente imbarazzati, chiedono di attendere. Dopo qualche minuto, arriva correndo uno dei funzionari della Digos, con i documenti in mano; chiama le persone per nome e glieli dà. In pratica, mentre i cinque assistevano alla seduta, i loro documenti sono stati portati in questura, dove loro sono stati registrati e schedati. Sfortunatamente, la fretta di chiudere la seduta ha fatto sì che l’operazione non fosse completata in tempo, altrimenti i cinque non l’avrebbero mai saputo.

Ora, sulla questione degli stadi la si può pensare come si vuole, ma che in questo paese si venga schedati dalla Digos solo per essersi interessati a una questione scomoda per i politici che ci governano è semplicemente agghiacciante. Dimostra come molti dei nostri governanti, dietro qualsiasi colore politico si nascondano, si siano ormai trasformati in un gruppo d’interesse dedito alla pura occupazione del potere a scopo d’affari, per cui le opinioni diverse dalle proprie vanno screditate in ogni modo o messe sotto controllo.

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