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Archivio per il giorno 14 Maggio 2006


domenica 14 Maggio 2006, 21:52

Il calcio davvero

Qualche giorno fa, scambiando mail con .mau., cercavo di spiegargli cosa possa spingere degli appassionati di calcio non solo a dedicare il proprio tempo in settimana per organizzare le coreografie ed altre attività collaterali, ma persino a passare la partita a dirigere il tifo, anzichè a guardare la partita stessa.

Credo che la spiegazione migliore sarebbe stata esserci ieri, in curva Primavera, quando ho fatto il mio debutto definitivo e ufficiale nell’organizzazione delle coreografie, proprio in contemporanea con il debutto ufficiale del gruppo, personalmente battezzato “Geneticamente Granata” addirittura da Margaro, la leggenda vivente del tifo granata; anche se, nonostante queste nobili ascendenze, si tratta di un pretesto per divertirsi conoscendo nuovi amici e facendo un po’ di colore per sostenere il Toro, e non certo di un gruppo ultras.

La cosa era iniziata in settimana, in un sotterraneo in un punto imprecisato della città, ritrovandosi dopo cena per preparare la coreografia; dopo una rapida riunione, si era optato per riciclare il retro di vecchi striscioni, tagliandoli e creando una cinquantina di “ALE'”, due metri per uno, con cui riempire la curva, affiancati a un classico striscione centrale di incoraggiamento (“FORZA RAGAZZI CREDIAMOCI”). E così, dotati di rulli e di vernice granata, la serata era andata via velocemente, tra frizzi e lazzi sul disastroso destino dei gobbi, in modo però molto produttivo. Il mio unico rimpianto resta quello di non aver messo in atto il mio machiavellico stratagemma per uno slogan anti-juve, cioè di scrivere un tranquillissimo “GOBBO MAI”, che la censura ante stadio (tutti gli striscioni vengono visionati in anticipo dalle forze dell’ordine…) avrebbe certamente lasciato passare, e poi, al momento di esporlo, appiccicarci in fondo uno degli “ALE”. Ma sapevamo che già si sarebbe sbizzarrita la Maratona (“LAPO E’ GELOSO PERCHE’ TUTTI VOGLIONO INCULARSI MOGGI” è lo sfottò che ha riscosso più successo).

Ieri, invece, mi sono risparmiato il mattinale, lasciando che fossero altri a recarsi allo stadio a mezzogiorno per poter entrare e portare dentro striscioni e materiale (tamburi, trombe, coriandoli…). Mi sono quindi presentato bello bello meno di un’ora prima dall’inizio della partita, a gruppo già entrato da tempo; per farmi perdonare, ho preso in mano con altri una delle operazioni che si fanno nell’ultima mezz’ora prima della partita, cioè la distribuzione dei coriandoli.

Ho preso il grande sacco nero pieno di striscioline di carta – realizzate tritando risme di avanzi d’ufficio sottratti alle principali aziende torinesi – e ho attaccato il mio settore di curva, quello al centro del lato destro, guardando la curva dal campo; quello dove sono sempre stato seduto fino ad oggi. E ho scoperto così una realtà incredibile, e cioè che lo stadio è estremamente diverso, se visto a rovescio.

Guardando il campo dalla curva, specie in uno stadio enorme come il Delle Alpi, si ha una sensazione di vuoto e di soggezione; sei tu, un numero in mezzo ad altre trentamila persone, marginale rispetto a qualcos’altro. Gli altri spettatori sono lì, ma sono praticamente invisibili, perchè il tuo sguardo è concentrato sul prato verde; persino le persone con cui sei venuto allo stadio spesso spariscono per interi quarti d’ora, mentre ti concentri su ciò che accade in mezzo al campo. Di fatto, sei tu da solo in mezzo a una moltitudine di altre persone in singolo, nodi periferici della situazione.

Quando invece gestisci il tifo, e più ancora quando giri per la curva a distribuire materiale e dare istruzioni, la prospettiva è completamente rovesciata. Il campo è alle spalle, e non esiste nemmeno; tu, invece, guardi verso l’alto e verso l’esterno, e puoi vedere ogni singola persona davanti a te, osservarne il volto, le emozioni, le sensazioni. Dopo qualche minuto, è come se tutte le persone che sono lì ti diventassero familiari, e si crea un senso di appartenenza e di condivisione.

E quindi, passato l’imbarazzo dei primi secondi, ci ho velocemente preso gusto: man mano che scorrevo col mio sacco attraverso la curva, il mio arrivo diventava una festa. Certo, qualche volta dovevo smuovere le persone, fare un bel sorriso e chiedere gentilmente una mano, che prendessero i coriandoli e li lanciassero all’arrivo delle squadre; più spesso, le persone mi vedevano arrivare e mi aiutavano, scambiavamo due parole, ci facevano i complimenti per lo sforzo. Più di un vecchietto si è offerto spontaneamente di lasciare qualche moneta, per contribuire alle spese; molti hanno cominciato a sbracciarsi, per attirare la mia attenzione e reclamare anche loro una quota di striscioline.

L’apoteosi si aveva quando raggiungevo una zona piena di bambini; perchè, se la curva Maratona è quasi completamente popolata di ragazzi e adulti di sesso maschile, la Primavera è molto più variegata, e vede una quota molto maggiore di anziani e di famiglie con bambini, mai numerose come quest’anno. E così, venivo prontamente assaltato da uno stormo di marmocchietti, maschi e femmine dai tre ai dieci anni, che facevano a gara per essere i primi a ricevere il mazzetto di carta, se lo litigavano, o più spesso si mettevano ordinatamente in fila, mentre li rassicuravo che ce n’era per tutti. Oppure, in qualche caso, individuavo con lo sguardo il classico bambinetto timidissimo, che si mangiava con gli occhi tutti i mucchietti che partivano dal sacco e si sparpagliavano tra torme di mani, ma non aveva il coraggio di chiederne uno; e così dovevo farmi avanti io, allungandomi fino ad arrivargli proprio davanti e a fargli capire che sì, quel groviglio arruffato di striscioline era proprio per lui.

E poi, proprio mentre ritornavo al centro passando dalla prima fila, sono stato individuato da una tifosa, perdipiù molto carina, che non solo mi ha riconosciuto dalla fotografia che appare regolarmente sul forum di Toronews, ma mi ha pure fatto i complimenti per come scrivo, compreso il blog. Naturalmente, leggendo il blog, forse sapeva che il risultato sarebbe stato quello di farmi arrossire, anche se ho fatto in tempo (spero) a ringraziare per bene… (A proposito, guardate che io do sempre per scontato che questo blog sia letto solo da poche persone che conosco personalmente; adesso mi viene il dubbio che l’assenza di commenti sia dovuta invece al fatto di non saperli provocare :-) )

Insomma, è stato un bel pomeriggio, e sì, non ho nemmeno visto il gol di Rosina, perchè in quel momento ero impegnato a sostenere il nostro lanciacori, che cercava di smuovere le persone e spingerle a battere le mani. Ma ho capito ancora meglio perchè così tante persone si appassionano al tifo del calcio. Si sente sempre dire che i tifosi, tanto più quelli più accaniti, sono dei teppisti violenti, asociali e disadattati, che vanno allo stadio in branco perchè non riescono a socializzare in altro modo. In realtà, almeno per me, è risultato molto più sociale ed appagante intensificare la mia partecipazione al tifo del Toro, che dedicarmi ad attività ludiche considerate “normali” o “per bene”, come ad esempio la discoteca di ieri sera.

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domenica 14 Maggio 2006, 02:12

Discovery Channel

Avvertenza: il mio avvocato mi ha pregato di specificare che questo post contiene alcuni riferimenti, circoscritti ma decisamente espliciti, ad atti sessuali di vario genere, tra uomini e tra animali, etero e omo. Se la cosa vi può turbare, non leggetelo.

Era iniziato come un sabato sera normale, con una festa per un amico che si sposa, e nemmeno con le canoniche spogliarelliste. Mi avevano portato in un locale alla moda della Torino post-industriale, a cena, per festeggiare. La cena è falsa e pretenziosa, e il locale è troppo trendy per i miei gusti, con camerieri snob che si credono déi, tutti griffati e pieni di sè; ma il locale è atto allo scopo, visto che al nostro tavolo di soli uomini si contrappongono almeno due tavoli di sole donne.

Il mio collega, esperto del settore, organizza varie occasioni di contatto intertabulare; e con una bottiglia di Moet-Chandon conquistiamo l’attenzione. Peccato che, a disagio e drogato di Nebbiolo, io sia già steso con la faccia sul tavolo, accarezzandomi da solo i capelli per poter credere che qualcuno mi ami; le signorine dalle vesti succinte accerchiano il nostro tavolo per un istante, ma non è qui che posso mostrare le mie apparenze migliori.

D’un tratto, dopo l’ennesimo maltrattamento da parte dei camerieri snob, il locale cambia; i tavoli spariscono, si spengono le luci, e parte la musica. Alta, ostinata, martellante, cerca di uccidere ogni pensiero. La stanza si popola di donne seminude, alcune con vestiti che farebbero arrossire una pornodiva; e si riempie altrettanto di maschi in calore. La musica è un pretesto, come lo è il bar aperto, rum e coca per tutti; chi può, chi osa, si avvicina e allunga le mani, in una danza rituale e millenaria.

La carne, si sa, è debole; ma io, diverso, sono istintivamente sopraffatto nella mia mente dalle immagini di innumerevoli documentari di Discovery Channel. Quella stanza, ormai versione ipocrita di un bordello, mi richiama alla mente immagini di cani che si ingroppano, uccelli che si leccano, cavalli che si inculano; in un trionfo dell’animalità, non c’è più nulla da chiedere e nulla da sperare, ma solo da cedere ai propri istinti.

Eppure, io obietto. Non c’è niente di male nel baccaglio, nel sesso disilluso da discoteca; ma io continuo a pensare alla magia di due persone che si pensano, a quella stella meravigliosa di passione luminosa che si accende senza un perché, e che sola è degna di una dedizione lunga una vita, di una cessione di sovranità e di un sacrificio felice, cosciente e valoroso, ben ripagato da un altro cuore, per scelta e per desiderio.

Ma la serata continua, e sono sempre più fuori posto. Fuori dall’uscita di sicurezza, i tarri si accalcano, cercando di capire se nel locale c’è figa. Dentro, alcuni si divertono, altri fanno finta di divertirsi; decine, centinaia di solitudini si strusciano l’una con l’altra, facendo finta che un rullante violento possa spezzare il muro dell’alienazione della vita moderna.

Io decido di uscire, nonostante abbia appena lasciato quaranta euri per una cena vergognosa. Arrivo alla porta, dove un australopiteco mi ferma, e mi apostrofa: c’hai il pass? No, non ce l’ho, non so nemmeno cosa sia. Allora, ce l’hai la drincàr? No, rispondo, che è la drincàr? Il tizio mi guarda come si guarda un bulgaro a Manhattan. Il foglietto blu, mi dice, quello coi pallini. Senza quello non ti faccio uscire. Io lo guardo e dico, come non mi fai uscire? Ma questo è sequestro di persona. Come Moggi con gli arbitri renitenti. Lui non fa una piega. Stavolta, mi guarda con le braccia da palestra. Portami il pass, dice. E mi rimanda dentro.

Io torno dentro, e ritrovo l’organizzatore della serata. Gliel’ho già chiesto due volte, il foglietto blu. E’ che siamo entrati in N+1, ma abbiamo mangiato solo in N; e indovinate chi è quello a cui non è stata porta la drincàr. Lui comunque rimedia, pietisce un altro foglietto, che ci viene dato con sorprendente arrendevolezza. Bene, con quello posso andare alla cassa, e pagare il mio riscatto: otto euro, solo per poter uscire. Li pago; chi se ne frega, i soldi non sono un problema, anche se darli a gente come voi mi fa girare le scatole. Finalmente, ottengo il pass. Sono libero.

Esco, dopo aver lasciato scemare il flusso di tarri che allaga la porta. Fuori sono comparse le transenne, per tenere a bada la ciurma assetata di baccaglio. Mi allontano, vado alla macchina. Ma ancora, di fronte a tutto quel rito di accoppiamento, non posso cancellare dalla mia mente il gigantesco schermo di un Discovery Channel, di animali dediti al proprio genetico destino di propagazione dello sperma, di abdicazioni a ciò che è più puramente ed esclusivamente umano, di disillusioni amare e riduzioni a ginnastica.

Arrivo a casa in un lampo rosso, e solletico il cervello con la musica; California rest in peace. Non mi sento nè migliore nè peggiore; mi sento lo scoglio messo lì ad arginare il mare. Ogni istruzione è meritoria, quando si tratta del mistero della vita. Quella di stasera, comunque, è stata di valore; perché io sappia ciò che voglio, e ciò che proprio non voglio.

Lasciatemi, vi prego, qualche valore etico ed astratto, qualche dignità speciale dello spirito, in cui continuare a credere.

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