Fratelli d’Italia
Bene, abbiamo vinto il mondiale di calcio; una cosa che capita, se va bene, ogni vent’anni.
E subito dopo, abbiamo scoperto Rino Gattuso (chapeau), che ha rilasciato una intervista a caldo che sotto l’accento calabrese aveva la raffinatezza, l’autoironia e l’acume di un corsivo di Gramellini; e tutti gli altri giocatori, che hanno detto quasi sempre cose più intelligenti, più argute, più interessanti di tutta la corte di pseudogiornalisti e pseudocommentatori che alle loro spalle parla dagli studi televisivi.
In generale, triste a dirsi, questi giocatori hanno mostrato per contrasto tutta la pochezza della nostra attuale classe politica; il presidente Napolitano che sembrava stare in piedi a stento e a malapena capire dove fosse, e i cui occhi dicevano “portatemi a dormire, non ne posso più”; l’imbellettata Melandri che ha detto qualcosa di talmente banale che non me lo ricordo nemmeno; e soprattutto l’ineffabile Mastella, che ha imposto la sua presenza (chiaramente ingiustificata, non essendo nè Presidente nè Ministro dello Sport) come un avvoltoio, costringendo a togliere la parola a Buffon, solo per parlare a sproposito di amnistie per “calciopoli” che persino i giocatori stessi si vergognano a ipotizzare, e probabilmente nemmeno vogliono.
Eppure, è difficile spiegare che cos’è una vittoria della Coppa del Mondo a chi non mastica la nostra cultura. Per me è diventata importante man mano, specie dopo aver assistito alle partite in un ambiente internazionale come il meeting di ICANN. All’inizio, l’antipatia per questi calciatori viziati di squadre corrotte era forte; eppure, alla fin fine, è pur sempre la mia bandiera che difendono, e il piacere di sistemare prima i tedeschi e poi i francesi, permettendomi due buoni anni di sfottimento continuo nei prossimi meeting, non ha prezzo. E se è così per me, immagino come dev’essere per i nostri emigranti; ma anche per i nuovi italiani, per gli immigrati di cultura nordafricana e lingua francese che stasera, a Porta Palazzo, tifavano Italia. O anche, semplicemente, per i ragazzini nelle nostre strade che tra trent’anni ricorderanno questa notte coi lucciconi agli occhi, o per la gente normale, che fatica a tirare avanti, ma che per una sera può sentirsi padrone del mondo.
Già so che in queste ore, sui blog italiani, compariranno vari commenti con la puzza sotto il naso; e tutto questo rumore per un pallone, e non si può dormire la notte, e che schifo il nazionalismo e l’amor di patria. Ma l’identità nazionale è un elemento fondamentale del proprio sè; in un mondo globale, dove amare la diversità è un obbligo e insieme un gran piacere, è anche necessario sapere da dove si viene, ed esserne orgogliosi.
Insomma, “ama il prossimo tuo come te stesso” è un comandamento fondamentale anche a livello di culture e di nazioni; e noi italiani, purtroppo, troppo spesso dimentichiamo di amare la nostra Italia. Se può essere una partita di calcio – suprema metafora della vita – a ricordarcelo, che ben venga un mondiale ogni tanto.