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Archivio per il giorno 24 Luglio 2006


lunedì 24 Luglio 2006, 22:55

Catarsi

Sapevo che non sarebbe stato facile; ma, con tutta l’incoscienza di una sera d’estate, e ulteriormente motivato dal ridotto numero di gradi di separazione verso il regista, stasera su Sky ho guardato I giorni dell’abbandono, di Roberto Faenza.

In breve, è la storia di qualsiasi abbandono tra persone adulte e conviventi, dell’avere investito anni della tua vita e di emozioni profonde su una persona che d’improvviso, per un meccanismo inevitabile ma inconoscibile, si nega e ti rinnega, tradendo la tua fiducia, insegnandoti che non potrai mai, per nessuna ragione, capire veramente la testa di un altro; e distruggendo contemporaneamente la tua fiducia in te stesso e quella nel mondo. Ci sono passato, in questi due anni.

Ma, più ancora di questo, per me è soprattutto la storia della mia infanzia, precisa precisa fino nei minimi dettagli, le scenate in casa, quelle per strada, l’ossessione di sapere, le stanze vuote, il non capire, le colpe, tante colpe dappertutto, per tutti, a piene mani, sempre. Non è nemmeno odio, è soltanto… freddo, un freddo che congela le vite e fa urlare i muri, lasciandoti prigioniero di una scia di maledizione disperata, tanto più orribile perchè priva di un vero motivo; come un cancro che ti tocca, ma che non puoi afferrare.

Quest’anno tra poco sono vent’anni che i miei genitori si sono lasciati, e ancora non ho capito, non ho parlato, non ho perdonato (nessuno dei due). Beh, forse, un po’; ma è un lavoro lungo e difficile, così come è difficile, molto difficile, superare la promessa fatta da bambino davanti allo specchio, di non fidarsi mai più di nessuno. Piano piano, ci si può lasciare andare, spezzare la catena, cominciare finalmente una vita libera, migliore, per te e per le persone che ti stanno attorno. E, alla fine, soffrire moltissimo guardando un film così, ma poterlo fare come semplice catarsi, sapendo di esserne finalmente usciti, e di potersi guardare indietro con serenità.

Ah, il film è ovviamente bellissimo, anche se non so se per chi non l’ha vissuto direttamente possa avere lo stesso significato. Se vi capita, e non avete paura, guardatelo senz’altro.

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lunedì 24 Luglio 2006, 20:18

Addio sopraelevata

E così, anche un altro pezzo della Torino della nostra gioventù se ne sta andando. Stavolta però non è una fabbrica; è un ponte. Una sopraelevata, per la precisione: la sopraelevata di corso Mortara, che per quarant’anni ha costituito una sorta di tangenziale interna, la principale strada per collegare la zona Ovest di Torino con il Po e la collina.

Ognuno di noi ha dei ricordi collegati a quel pezzo di strada; alcuni privati, come le mie trasferte settimanali da casa di mia mamma a quella di mio padre; alcuni pubblici, come l’alluvione del 2000 di cui la sopraelevata fu protagonista. Poi, la distruzione delle vecchie fabbriche – la Michelin, le officine Savigliano, le ferriere Fiat – e la costruzione dei nuovi quartieri – l’Environment Park, l’Ipercoop, le torri della Spina 3. E infine, l’abbattimento della sopraelevata, tanto comoda quanto sgradita ai nuovi abitanti delle torri.

Dal punto di vista del cittadino medio, l’idea di investire miliardi per abbattere l’unico collegamento stradale veloce tra est e ovest è demenziale. Eppure, come dice il Comune, è veramente un abbattimento definitivo; e le macchine dovranno rassegnarsi ad incolonnarsi negli infiniti ingorghi che già hanno invaso la zona, fino a quando, nel 2009 (seeh…), dovrebbe essere pronto un nuovo sottopasso, insieme all’ultimo tratto del passante ferroviario sotto la stazione Dora.

E però, le ruspe vanno avanti (c’è persino chi discetta su tipo e caratteristiche delle suddette). Nel frattempo, sarà costruito un breve raccordo che devierà le auto da corso Mortara sul ponte di via Stradella, uno dei punti più congestionati della città, che sta venendo appositamente allargato; auguri. Penso che i tempi di transito tra est e ovest della città si allungheranno come minimo di dieci minuti, con conseguente incazzatura generale.

Ma, a parte l’irritazione automobilistica, quel che colpisce è come un pezzo di geografia cittadina che dai per scontato da sempre possa sparire di botto, per non ritornare mai più.

Comunque, c’è di più: proprio dietro la sopraelevata, resiste come per miracolo un angolo di città straordinario. E’ l’infilata di case di via Giachino, una sfilza di edifici affacciati su quella che nell’Ottocento era la strada principale di collegamento tra il centro di Torino, Venaria e Lanzo. La strada era talmente importante, piena di traffico, attività e negozi, che ogni centimetro era occupato da case, lasciando solo un paio di strette vie trasversali per accedere alla ferrovia Torino-Ceres e al borgo Vittoria; mentre lo spazio tra la via e le officine Savigliano, incentrato su via Tesso, fu occupato da villette di mezza campagna. Poi, d’improvviso, la chiusura del passaggio a livello della stazione Dora, con il conseguente spostamento del traffico su via Stradella, isolò questo triangolo di città e lo congelò allo stato dei primi decenni del Novecento.

Questo triangolo che non conosci e che raggiungi solo perchè devi andare lì – anche se lì non ci vai mai perchè non c’è niente di niente, se non il leggendario quanto misconosciuto pub Manhattan – è davvero un patrimonio fondamentale per non dimenticare la periferia di Torino del primo Novecento, ancora un paesone agreste travestito da città operaia. Per fortuna, qualcuno finalmente se ne è accorto.

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