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Archivio per il giorno 30 Luglio 2006


domenica 30 Luglio 2006, 22:30

Il gatto di montagna

Non so per quale motivo, ma mi succede regolarmente, ogni volta che arrivo nella mia casa in montagna, di stendermi sul letto a leggere, a lavorare col portatile, o semplicemente a pensare.

Oggi pomeriggio, dopo pranzo, il letto era però occupato dal mio gatto Pico. Si tratta di un gatto bellissimo, bianco e grigio di varie tonalità ed incroci, dal pelo spesso e morbido, e con due splendidi occhi azzurri. Si tratta però anche di un gatto sfortunato… quando lo adottammo, su spinta della mia fidanzata di allora, aveva sei mesi e ci dissero che lo davano via perchè la signora che l’aveva cresciuto aveva un cane che aveva ucciso la sorella e ferito lui gravemente; e, appena ripresosi dalle ferite, la signora l’aveva abbandonato e lasciato lì, in cerca di un nuovo padrone.

Quando, dopo altri tre mesi, la suddetta fidanzata piantò il sottoscritto, la casa e il gatto da una sera all’altra, io ebbi un periodo in cui non riuscivo nemmeno a badare a me stesso, e il gatto fu ereditato da mia mamma, a cui era da poco mancato il suo.

A quel punto Pico, a valle di un doppio abbandono e con il residuo padrone ridotto a uno straccio, ebbe una specie di crisi esistenziale con sfogo sul cibo, diventando in poche settimane un vero bidone. Da allora, su consiglio del veterinario, abbiamo cercato di tenerlo a dieta e di fargli fare esercizio (qualcuno ha una cyclette per gatti?), ma anche se è dimagrito è pur sempre un gatto di dimensioni notevoli.

Io lo vedo ormai di rado, e saranno stati mesi che non avevo occasione di stare un po’ con lui: per cui me lo sono coccolato, pacioccato, abbracciato e cacciato, contendendogli la coperta azzurra, usandolo come cuscino o facendomi usare come cuscino, e facendolo rotolare per tutto il letto.

E poi, visto che eravamo entrambi esausti, è scattata la sindrome narcotica del letto da montagna: ci sono il fresco e il silenzio assoluto, e mi viene facilmente da dormire.

Dovete sapere che è da due anni e mezzo che non dormo sogni tranquilli; quando va bene, i miei sogni sono pieni di inseguimenti, corse, scale da salire, e agitazione di ogni genere; se no, sono veri e propri incubi pieni di angoscia, di annegamenti e di insetti che mi mangiano vivo. Ebbene, dopo tutto questo tempo, per la seconda volta in una decina di giorni ho fatto un sogno bellissimo, pieno di amore e di sesso, ambientato in quello stesso letto in cui mi trovavo; e se è sempre duro svegliarsi e realizzare che la realtà è diversa, è anche un buon segno trovarsi finalmente, una volta ogni tanto, in un sogno piacevole.

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domenica 30 Luglio 2006, 01:28

Notti d’estate

Anche quest’estate, come nelle due precedenti, si è svolta la grigliata estiva del gruppo di capoeira: e potevo io mancare? No, naturalmente; anche se non faccio più capoeira da due anni, è sempre un buon motivo per rivedere un po’ di gente.

La grigliata si svolge da sempre a Villafranca Piemonte, un posto che si raggiunge facilmente imboccando l’autostrada per Pinerolo, chiedendosi in quale direzione uscire, e poi scegliendo l’uscita che porta in nessuna direzione; ed è pertanto seguendo la freccia None che si arriva al Semaforo di Airasca, il punto da cui inizia il Piemonte meridionale, e la cintura industriale di Torino lascia il posto a quei paesoni popolati di sane vacche, campi di granturco, guidatori col cappello, e celebrazioni paesane rigorosamente in dialetto e rigorosamente tappezzate di bandiere granata.

Lì c’è il villone di uno dei nostri compagni di gruppo, i cui genitori, con ospitalità impareggiabile, accolgono ogni estate (spesso più di una volta) una cinquantina di scalmanati, riempiendoli di costine ottenute dalla cottura di intere bestie su reti di materasso con fondale di laméra, e sopportando persino l’invasione di una tendopoli notturna sotto gli albicocchi, per chi si vuole fermare.

L’esperienza vale, e anche stavolta è stata all’altezza; e se la parte culinaria è come sempre eccellente, vien ancora meglio di raccontare la parte mistica-capoeiristica, in cui un pezzetto di prato viene strappato con le fiaccole al buio della notte e utilizzato come base per un doppio dimenarsi di corpi, nella millenaria “danza assassina” dei guappi brasiliani. Già, perchè alla danza dei giocatori seminudi, ora allegra e ora aggressiva, si somma quella delle loro allungatissime ombre, colorate dalla musica e dal canto in portoghese, un po’ misterioso per noi ma ormai familiare.

Il potere della capoeira è quello di creare un cerchio mistico, astrarlo dal luogo come in un rituale stregonesco, e farvi circolare intensa e percepibile energia astrale. Esso raddoppia in situazioni come queste; e se per me è anche interessante notare come di anno in anno la mia percezione del cerchio si calmi, e il mio tasso alcolemico a fine serata decresca, è l’intero ambiente a valer la pena della prova, come introduzione al dato indubbio che esistono miracoli fatti di persone che la scienza non può spiegare.

Un discorso a parte merita poi il viaggio di ritorno. Faccio per uscire dal cancello e immettermi sulla provinciale, quando devo dare la precedenza a una specie di missile che arriva sul rettilineo ad almeno centoventi orari. E’ il segnale: tutto il gin e lemon e gin e lemon e gin di Andrea ribolle nel mio sangue. Lo stereo butta fuori un epico disco di Brian May che casca a fagiolo. Si va.

Al ponte del Pellice, insomma, il tizio è già ampiamente preso e superato. Proseguo per la provinciale a una velocità da strage del sabato sera, tra due ali di pannocchie e qualche occasionale sorpasso di auto che non vedo nemmeno. Nonostante la strada sia stretta e infestata da rotonde ad ogni passo, chiudo al semaforo d’Airasca in dieci minuti scarsi, con una media sopra ai cento all’ora; non male.

Ma è sulla successiva discostrada che noi giovani d’oggi diamo collettivamente il meglio; lì i centocinquanta sono appena sufficienti per non intralciare sulla corsia di destra. Potevo forse cedere? No, irretito da una Punto rossa che prima mi passa a 180 e poi rallenta di botto costringendomi al sorpasso a destra (grazie a .mau. che mi ha spiegato che si può) ed incitato dall’apparire sullo stereo della leggendaria Resurrection, i venti chilometri dall’uscita per nessuna direzione fino al casello di Beinasco diventano una esperienza metafisica. La chitarra di Brian sfonda la galassia, la batteria di Cozy moltiplica il battito, del cuore e del motore; il Valhalla del metal si materializza; “Ride the night until the morning sun”, mentre le curve strette e i cavalcavia della Torino-Pinerolo si susseguono secchi e sembrano non finire più, in una euforia emotiva finalmente felice.

La città è un’appendice tranquilla, piena dei soliti addormentati sulla corsia di sinistra (uno ci viaggia a sessanta all’ora per un po’ coi fari spenti, per poi girare contromano in via Asiago: e poi sarei io quello pericoloso), con tanto di conclusione strappalacrime a base di Too Much Love Will Kill You. E buona notte a tutti.

P.S. Ok, Cozy Powell è morto prematuramente schiantandosi in autostrada: questo ve lo concedo. Brian May però è ancora vivo!

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