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Archivio per il mese di Luglio 2006


domenica 23 Luglio 2006, 10:46

Montagne

Sono a casa per un attimo tra una montagna e l’altra: scendo da casa mia in val d’Aosta, e vado su a Prali per uno spettacolo teatrale in cima ai Tredici Laghi, di cui spero vi saprò dir bene.

Effettivamente la città è intollerabile in questo weekend: quaranta gradi, e quaranta chilometri di auto ferme nell’altra direzione sulla Torino-Aosta. In compenso, è come sempre meraviglioso fare all’ingiù gli incredibili tornanti che scendono dal colle di Joux verso Saint Vincent, di mattina presto, con niente e nessuno in vista se non lo spettacolo mozzafiato di cinquanta chilometri di valle, un buco in mezzo alle montagne coperte di boschi; qualche mucca e qualche vecchia casa di pietra, l’aria fresca nel sole indisturbato, la macchina che corre e tira le curve come un’emozione, e la radio che spara a commento un pezzo da uno dei migliori dischi dell’ultimo paio d’anni (promesso, questa settimana lo metto sul blog): “Got to ask yourself the question, where are you now?”.

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venerdì 21 Luglio 2006, 20:51

[Fanculo] All’antispam

Non sono sparito, eh (anche se sono un po’ preso, tra pile di scartoffie al lavoro e la prelazione sugli abbonamenti del Toro da organizzare entro stasera).

Però colgo l’occasione per mandare affanculo il nostro nuovo sistema antispam solertemente installato dai nostri tecnici: esso si basa su una idea geniale, ossia quella di rifiutare tutte le mail che ti vengono inviate, per vedere se il server del mittente riprova a mandarle. Come si dice, “se è di buona famiglia, richiamerà”; e se non richiama vuol dire che era probabilmente spam. E se non lo era, avrebbe dovuto esserlo: colpa dell’azienda del mittente che ha un server non nerd-compliant.

Credo infatti che soltanto un nerd bulgaro privo di vita sociale e invidioso del fatto che gli altri ricevano mail scritte da esseri umani (e non da programmi per calcolatore) possa aver concepito una idea così perversa. Nel frattempo, è due giorni che inseguo mail urgenti, con l’interlocutore che telefona o messaggia, “allora, è arrivata la mia mail? ho bisogno di una risposta urgentissima!”, e tu devi spiegare che grazie a un geniale sistema antispam quella mail è bloccata da qualche parte per una decina di minuti, e che anzi lui non la rimandi, che se no non solo te ne arrivano due o tre, ma il sistema pensa a maggior ragione che lui stia cercando di spammarti.

Tanto per dire, stasera quattro persone hanno rischiato di perdere il loro abbonamento dell’anno prossimo, grazie all’antispam; e se non fossi rimasto qui fino a tardi, avrei mancato fino a domani mattina la lettera urgente (pidieffata) firmata di suo pugno dal ministro Nicolais. Ma questa è una storia che vi racconterò nei prossimi giorni.

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mercoledì 19 Luglio 2006, 20:58

[[The Strokes – Vision Of Division]]

Concludo la parentesi sugli Strokes con una canzone del loro ultimo disco First Impressions Of Earth, che mi è rimasta in testa nel concerto e cade a fagiolo in questi giorni. Ha una strofa fatta di due frasi separate che si intersecano, seguiti da un ritornello che è una marcia nuziale al contrario in versione elettrica: ha una cadenza solenne da cerimonia, ma parla, come dice il titolo, della divisione; è dolce e straziante allo stesso tempo. E poi, una chiosa furiosa per distruggere il tutto.

Intimamente dedicato, ovviamente, a una persona specifica, e al modo in cui i suoi problemi si sono rivelati insormontabili per mancata voglia di affrontarli. It’s about time that you came through.

Sing me a song (You could be)
Tell me a tale (Just like me)
Don’t turn it my way (Happy and free)
I’ll turn it to shit (Happy and free)

All that I do, is wait for you
All that I do, is wait for you

I can’t get along with all your friends
I don’t know how to act, that’s all there is
Why do I accept the things you say?
You know what to change but not in what way

How long must I wait?
How long must I wait?
How long must I wait?
How long must I wait?
How long must I wait?

I am not you (We could have)
I’m almost through (Great success)
It’s about time (Such a success)
That you came through (At no expense)

All that I do, is wait for you
All that I do, is wait for you

I can’t get away from all your friends
I’m not coming back, that’s all there is
Why do I accept the things you say?
You know what to change but not in what way

How long must I wait?
How long must I wait?
How long must I wait?
How long must I wait?
How long must I wait?

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mercoledì 19 Luglio 2006, 20:34

Traffic (day 3)

Non vi ho raccontato dell’ultimo giorno del Traffic, con il concerto dei The Strokes – preceduti dalla band di una tizia che in un paio di brani pareva una copia sputata dei Muse, ma che alla fine non ho trovato granchè.

Il concerto degli Strokes, in compenso, è stato molto bello; non solo perchè ho incontrato un amico in crisi di socialità, con cui ho passato la serata; ma anche dal punto di vista musicale. Nonostante l’amplificazione un po’ così, con il suono un po’ troppo saturo che spesso finiva per cancellare gli incroci armonici delle due chitarre, dal vivo gli Strokes sono una potenza; i riff incisivi e i ritmi veloci non fanno mai calare la tensione.

In più, ho trovato notevole la scenografia, molto semplice ma molto bella, fatta di strisce verticali o orizzontali di luce, però vive e intensissime, quasi solide, e capaci di cambiare continuamente colore. A seconda del brano, le combinazioni erano diverse, così come gli effetti di luce alle spalle del cantante (bello, melodico e maledetto) Julian Casablancas; ogni tanto entrava in gioco anche una splendente illuminazione bianca e intermittente dall’alto.

Anche il mio amico, che conosceva solo una delle canzoni più famose, è rimasto ben impressionato; alcuni dei riff più belli, dai recenti You Only Live Once e Heart in a Cage fino al capolavoro Reptilia, sono davvero trascinanti dal vivo. Il pubblico era ovviamente meno numeroso che per il concerto di Manu Chao, ma comunque abbondantissimo, direi trenta o quarantamila persone; in mezzo alla vasca centrale, un sacco di braccia e di delirio.

Purtroppo, in Italia gli Strokes non sono ancora così totalmente famosi come nei paesi anglosassoni; ma vale la pena esplorare perlomeno l’ultimo disco. Nel frattempo, complimenti al Traffic; certo, avere un altro amico di servizio al bar può aiutare il rifornimento di birra, ma in generale mi sembra una iniziativa bella e meritoria. Il costo di alcune centinaia di migliaia di euro, in gran parte pagato da enti pubblici, non è poi così impossibile; soprattutto, ha un ritorno di immagine e di gradimento ben visibile e misurato, cosa che non si può dire di molte delle infinite sagre musicali estive.

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martedì 18 Luglio 2006, 16:55

E uno

Dopo gli acquisti dei giorni passati (il rientrante De Ascentis, l’altissimo centrale del Mantova Cioffi, il difensore della Reggina Franceschini e l’ex nazionale Pancaro) oggi il Toro mette a segno il primo botto di mercato: è stato comprato dal Milan (in prestito con diritto di riscatto, ossia prendi oggi e paghi se vuoi l’anno prossimo) il portiere Christian Abbiati, ex titolare del Milan pre-Dida, ex titolare della Juve nella scorsa stagione, dove giocava in prestito per l’infortunio di Buffon; insomma, il terzo-quarto portiere più forte d’Italia.

La cosa degna di nota è che la Juve ha fatto carte false per tenerselo, ma il giocatore ha scelto il Toro: Torino gli piace, la B a meno 30 un po’ meno. Pare comunque essere stato convinto anche dall’ondata di messaggi entusiasti che noi del forum gli abbiamo riversato sul sito non appena è cominciata a girare l’ipotesi del suo trasferimento. E così, “Gobbi cucù, Abbiati non c’è più”.

Ma non temete; subito questo smacco, ai gobbi (sicura la partenza di Buffon, e in attesa, immagino, di movimenti di mercato) per il momento resta a disposizione come portiere titolare il promettente Mirante, ex secondo portiere del Siena.

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lunedì 17 Luglio 2006, 21:11

Cose buffe in TV

…come accendere il televisore, mettere sul vecchio sintonizzatore analogico per vedere Orgoglio Granata, e durante lo zapping incrociare su Retesette Piemonte (ripreso da Telelombardia) Fiorello Cortiana che litiga con Marco Taradash sull’Iran. Fa sempre uno stranissimo effetto vedere in TV, in primo piano su uno schermo a 42 pollici, una persona che conosci direttamente! Quasi quasi gli mando un SMS per salutare…

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domenica 16 Luglio 2006, 17:55

Sconfitte

Questo tour de france 2006 (tutto minuscolo, sia per il livello dei partecipanti, sia per quello dell’organizzazione: oggi tre dei fuggitivi si sono schiantati in curva per il pessimo stato dell’asfalto) è oggettivamente poco interessante. Oggi, però, l’arrivo di Gap ha regalato un momento triste, ma profondamente sportivo.

Nella fuga di oggi (come in varie dei giorni passati) c’era anche Salvatore Commesso, uno che non è un campione, non è un Basso e nemmeno un Cunego o un Garzelli, ma è comunque da anni uno dei migliori ciclisti italiani, due volte campione d’Italia. Commesso si è fatto i suoi duecento chilometri di fuga in gruppetto, su e giù per le Alpi francesi: tanta, tanta fatica. All’arrivo erano rimasti in due, lui e un francese qualsiasi, con una emozionante corsa sul filo di pochi secondi di vantaggio sul gruppo, trenta, venti, dieci, quindici, otto all’arrivo. Vuol dire che non puoi rilassarti, non puoi fare calcoli per la volata; devi tirare fino alla fine.

Commesso era il favorito, è forte, è veloce in linea, e quindi è stato anche lui a doversi prendere la responsabilità di non mollare, di tirare per l’ultimo paio di chilometri, evitando di un soffio il rientro di quelli dietro. E poi, ha lanciato la volata, si è messo a tutta, ci ha provato… ed è stato passato dall’altro a due metri dalla linea d’arrivo.

E poi, mentre il francese qualsiasi non stava più in sè dalla gioia e andava a festeggiare, la gentile signorina della Rai ha infilato il microfono sotto il naso di Commesso, a dieci secondi dall’arrivo, per fargli la classica domanda da giornalista infame, qualcosa tipo “Come ci si sente a perdere così?”, o “Allora, Totò, hai perso anche oggi?”.

Lui non ha detto niente: ha solo, semplicemente, pianto. Ha cercato di dire qualcosa, è riuscito solo a dire due parole, come “Da due anni non riesco più a vincere…”, respiro spezzato, “…non so più cosa fare…”, poi è scoppiato di nuovo a piangere a dirotto, mentre compagni e avversari gli passavano accanto, lo vedevano così, e cercavano di tirarlo su in ogni modo, senza successo.

Dev’essere difficile svegliarsi tutto l’anno presto al mattino, fare decine e centinaia di chilometri per strada, mangiare in modo controllato e andare a dormire presto, rinunciando a gran parte della vita di un ventenne o trentenne qualsiasi. Fare una fatica boia, arrampicandosi in bicicletta su montagne che fanno fatica a scalare anche le macchine, salendo alla stessa velocità delle macchine. Farsi riempire le vene di non si sa mai bene cosa, qualcosa che probabilmente ti toglierà vent’anni di vita, ma non per vincere, semplicemente per passare le giornate in gruppo ad aiutare il tuo capitano; senza mai più di una riga sul giornale, per uno stipendio comunque elevato, ma più vicino a quello di un quadro Fiat che a quello di un calciatore. Ogni tanto, venire svegliato alle tre del mattino da un blitz dei carabinieri, e sentire pure qualche moralista disinformato gettare merda sui tuoi anni di fatica. E poi, avere finalmente la tua giornata libera, dare il massimo, fare una impresa incredibile, e non riuscire a vincere, non riuscirci più da quattro anni, una volta per un motivo, una volta per l’altro, sempre secondo, terzo, quinto.

Lo sport è fatto così. Il ciclismo, in particolare, è spietato e bellissimo anche per questo; perchè della vita contiene tutto, la vittoria, la sconfitta, la fatica, la gioia, la disonestà, la rabbia, il tifo, l’amicizia, il tradimento, la vita e la morte, e persino la bellezza purissima della natura in ogni sua forma. E’ pieno di storie, belle e brutte, come quella di oggi.

Spero che non lo distruggano definitivamente.

E spero anche che Commesso, prima di finire la carriera, possa vincere almeno ancora una volta.

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domenica 16 Luglio 2006, 14:37

Paura italiana

Sempre sul discorso Lidl, sulla Stampa di oggi in prima pagina c’è un editoriale di Luca Ricolfi, sociologo dell’università di Torino, intitolato “La sinistra che ha paura del merito”: parla appunto dell’accordo al ribasso che caratterizza la società italiana, in cui da una parte i cittadini pretendono vita facile (scuole che promuovono sempre, lauree facili, posti di lavoro ipergarantiti, a tempo intederminato e poco faticosi) e protestano se non è così; dall’altra chi detiene il potere sfrutta questa mentalità per fornire servizi scadenti e inefficienti o per retribuire il lavoro il meno possibile.

E quindi, ecco la citazione che forse chiarirà meglio la sensazione che ho avuto io leggendo tutte le lamentele del dipendente Lidl: “Cittadini che temono la competizione, l’impegno, il sacrificio sopravvivono ai propri insuccessi incolpando le istituzioni, atteggiandosi a vittime, agitando diritti e invocando risarcimenti.”

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domenica 16 Luglio 2006, 01:10

Ricetta: Trota in padella d’estate

Questa è, precisa precisa, la ricetta della trota in padella d’estate, così come me la sono cucinata per cena stasera.

Dunque, dopo essere passati da Decathlon per vedere le scarpette da arrampicata ed esserne invece usciti con un paio di Adidas nuove, cercate parcheggio di fronte alle Gru di sabato alle sette di sera (questa è la parte più difficile della ricetta). Entrando, comprate una marca da bollo da 14,62 euro, fate un giro alla Rinascente, e poi imboccate il Carrefour. Incuranti della folla strabordante e dei vecchietti che si godono il fresco condizionato, procuratevi tre raccoglitori per documenti nei colori di vostra preferenza, una bottiglia di Menta Sacco (in assenza della quale si può anche accettare la Menta Fabbri) e un filetto di trota da circa 300 grammi (meglio se salmonata, che piace di più ai deboli di pesce).

Fate stagionare la trota a circa 35 gradi per venti minuti, in coda in piedi alla cassa veloce (veloce, ah ah), e poi passatela brevemente in forno a 50 gradi; va bene anche l’auto, se avete parcheggiato al sole.

A questo punto, ungete una padella con olio q.b., e disponetevi quindi il filetto di trota; se il filetto è più lungo della padella, schiacciatelo bene finchè non smetterà di esserlo. Spargete sulla trota prezzemolo surgelato, sale e pepe; quindi prendete 4-5 pizzichi di “misto per pesce di 25 spezie” di Marrakech, e spargeteli con le dita uniformemente sulla superficie della trota, apprezzandone il profumo delicato. Solo ora, accendete il fuoco; lasciate che il sotto cominci a rosolare, poi, prima che appiccichi, girate il filetto dal lato opposto.

Nel frattempo, la trota Carrefour comincerà a rilasciare il suo tipico contenuto acquoso a base di steroidi; mescolato a olio, questo creerà un effetto frittura. Provvedete quindi a rigirare di nuovo il filetto, lasciando la pelle a friggere sul fondo. Assicuratevi di ricevere una opportuna quantità di schizzi d’olio bollente sulla polo verde, e nel frattempo svuotate la lavapiatti, sistemate la Menta Fabbri nella dispensa, ed estraete il pane ai semi di girasole caldo dalla macchina del pane.

A questo punto, dopo una decina di minuti scarsi di cottura, dovreste accorgervi che anche l’interno è diventato di un rosa più chiaro; cuocete insomma fino a vostro gradimento, e poi sottraete la padella al fuoco ancora caldo, mentre ancora sfrigola.

Servite caldo nel piatto, mangiate l’intero filetto (attenzione ad eventuali spine residue!), pulite il piatto col pane, quindi constatate il ritardo e recatevi immediatamente a vedere il concerto degli Strokes, che nonostante il livello della chitarra solista troppo basso si dimostrerà eccellente. Non dimenticate di farvi fuori due Bavaria di plastica e mezzo Morettone mentre consolate un amico!

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venerdì 14 Luglio 2006, 23:59

Altri posti nel mondo

Ieri sera, prima di uscire per andare al concerto, ero tranquillo sul divano, col portatile, a leggermi la posta; quando mi si è aperta la finestra di Gaim, e un contatto sconosciuto mi ha detto “Ciao, come stai?”.

Ora, non si trattava di una eventualità strana; in realtà, in queste ultime settimane, mi succede anche più di una volta al giorno di venire contattato su ICQ da gentili donzelle di varie parti del mondo – tipicamente, Russia, altri paesi ex sovietici, Turchia o Serbia – attratte dal mio status di maschio italiano trentenne single. Non tutte hanno lo stesso approccio; ci sono quelle che entro il terzo scambio di battute chiedono “Marital status?”, e sono interessate soltanto a trovare un matrimonio con una persona qualsiasi purchè comprenda un visto per l’Unione Europea; altre sono semplicemente interessate a conoscersi, e poi si vedrà. (Su queste ultime faccio regolarmente colpo, visto che la chat aiuta a vincere la timidezza e mette in mostra soprattutto le qualità intellettuali; peccato che siano tutte così lontane…)

Comunque, ho controllato senza grande convinzione il profilo, e sono sobbalzato: difatti la provenienza non era la solita Mosca, ma Tuzla, in Bosnia-Erzegovina.

La Bosnia, si sa, è la cattiva coscienza delle nostre Fallaci furiose. Un’estate fa, in Lussemburgo per un meeting di ICANN, ci fecero mettere sull’attenti a mezzogiorno, due volte (una in ora locale, una in ora britannica), per onorare i cinquantasei morti della metropolitana di Londra; e per quanto l’onore fosse dovuto e sentito, a nessuno tranne a me venne in mente che era anche esattamente il decimo anniversario del massacro di Srebrenica, in cui i morti (musulmani, uccisi dai cristiani serbi sotto l’indifferenza della NATO e gli sguardi impotenti dei militari olandesi) furono oltre ottomila. (Questo è giusto per darvi un’idea.)

Tuzla, invece, è ricordata per il relativo massacro, dove i morti (sempre musulmani bosniaci) furono soltanto 71, quasi tutti ragazzi o giovani di vent’anni. Avere l’opportunità di parlare con una persona di quelle parti non è tanto facile, e così l’ho sfruttata al volo.

Il dialogo è stato inizialmente normale, ma, aiutato dall’italiano ancora imperfetto della mia interlocutrice, è scivolato presto nel surreale. Ad esempio, ho scoperto che lei non abita veramente a Tuzla, ma in un villaggio denominato Crno Blato; che “crno” volesse dire “nero” l’ho capito da solo, ma “blato”? Alla fine ho scoperto che il villaggio si chiama Fango Nero, e, stando alla sua risposta alla mia domanda, “Adesso ha solo quattro persone che vivono.” (adesso, non prima).

Del resto, ad una delle prime domande – “Si vive bene adesso?” – la risposta, folgorante nella sua incomprensione, è stata “Sì sì sono viva”.

Ora, non vorrei sembrare troppo drammatico; la guerra è finita, e anche da quelle parti, faticosamente, l’economia cerca di sollevarsi. La mia corrispondente lavora in una concessionaria Volkswagen (“Molte Volkswagen, non molte Fiat”) e studia italiano grazie ad amici cooperanti. E così, prima di andarmene dopo aver scambiato gli indirizzi di mail, ho chiesto anche cosa fa la gente a Tuzla di lavoro: il dialogo è stato più o meno il seguente.

“Che lavoro fa la gente?”
“Ci sono gente a Tuzla, ma non lavorano”
“Perchè?”
“Perchè industria non lavoro”
“Nessuna?”
“No, ci sono poche lavorano: fabbrica di scarpe, e fabbrica di sale.”

E io, senza offesa per nessuno, mi son chiesto se gli operai della fabbrica di sale bosniaca (a non più di quattrocento chilometri dal Bel Paese) si sarebbero lamentati del posto di direttore di filiale alla Lidl.

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