Se lo Stato arretra
Non è difficile trovare esempi in cronaca: solo negli ultimi giorni, si sono visti (a Torino) un gruppo di pusher senegalesi occupare per tre giorni una delle principali arterie cittadine, difendendo il territorio con la forza; e (a Roma) un gruppo di italiani di periferia assaltare a colpi di mazze e spranghe il bar dei romeni, accusati di ubriacarsi e molestare gli abitanti del quartiere, per riportare un po’ di “ordine” nel luogo dove vivono.
Sono casi di arretramento dello Stato: casi in cui le istituzioni rinunciano al proprio ruolo di mediatori e di garanti – con le buone o con le cattive – della convivenza civile e del rispetto della legge, lasciando libero sfogo agli istinti e agli attriti fino a che la situazione, non gestita, esplode.
D’altra parte, è difficile prendersela con le forze dell’ordine, cronicamente sottodimensionate, utilizzate anche per compiti impropri, e spesso prive di mezzi; costrette ad inseguire ladri e spacciatori che, anche se presi, il giorno dopo sono di nuovo in giro. Il problema è chiaramente politico.
In questo senso, il governo Prodi ha mandato due pessimi segnali all’Italia. Da una parte, con l’indulto, ha rimesso in circolazione malfattori di ogni genere, dimostrando che il crimine paga; dall’altra, al di là di tutte le foglie di fico che in questi giorni vengono agitate, ha prontamente aumentato le tasse. Come a dire: non ce ne frega niente della vostra vita quotidiana o della vostra sicurezza; veniamo una volta l’anno a prendervi dei soldi, e poi sono tutti cavoli vostri.
Non meraviglia, quindi, che di fronte a questo genere di messaggi la reazione crescente sia il fai da te, sia da parte degli onesti esasperati che dei criminali incalliti.
Chissà quanto manca al punto in cui anche da noi, come nelle periferie di Los Angeles o di San Paolo del Brasile, ci saranno intere zone in cui la polizia non oserà più mettere piede, demandate all’autogestione violenta delle fasce più povere e disintegrate della società .