Elogio della censura consapevole
Sono sicuro che il film di Borat, appena uscito con gran successo nei paesi anglosassoni, è divertentissimo. Seguo gli sketch di Baron Cohen da tempo, tramite amici che vivono in Inghilterra, o tramite la rete. Avevo visto in diretta l’apparizione di Borat agli MTV EuroAwards di un anno fa, spanciandomi dalle risate. (Per i pochi che non lo conoscono, Baron Cohen è un comico inglese di grande successo, in particolare con i personaggi di Ali G, un rapper nero e coatto, e appunto di Borat Sagdiyev, un ingenuo e volgare giornalista del Kazakistan alla scoperta dell’Occidente.)
Il film è basato su una serie di “candid camera” in cui Borat raggira americani di ogni genere, da politici e star televisive fino all’uomo della strada, con una serie di comportamenti provocatori, battute razziste, sessiste e omofobe, volgarità di ogni genere, presentate come il normale comportamento dei kazaki. Per questo le esibizioni di Borat provocano regolari proteste diplomatiche del governo di Astana; difatti i kazaki – che sono, tra l’altro, uno dei popoli più variegati dell’ex Urss – vengono rappresentati come una schiatta di bifolchi ignoranti, arretrati e maschilisti, che vivono come bestie, e i cui vanti secondo Borat sarebbero “le prostitute più pulite di tutta l’Asia Centrale” e la bevanda nazionale a base di piscio di cavallo (vedi il trailer). Eppure, in Occidente Borat è un idolo dei giovani.
Bene, dunque? Voi sapete che io ho sempre un’opinione su tutto, ma questo film mi ha spiazzato. Non riesco a capire se è una intelligente provocazione contro l’ignoranza degli americani, o una squallida operazione commerciale per fare dei soldi schernendo un popolo remoto e rinforzando pregiudizi di vario genere. Non riesco a capire se farà del bene al Kazakistan, costringendolo a confrontarsi con la propria immagine internazionale e insieme promuovendolo agli occhi del mondo, o se diventerà un tormento decennale per qualsiasi kazako all’estero. E così, mi sono chiesto se dovremmo esaltarlo, o censurarlo del tutto, come si apprestano a fare la Russia e tutti i paesi dell’Asia Centrale.
Il confine tra libertà di espressione e licenza socialmente inaccettabile è sempre molto difficile da tracciare, perchè si sposta con l’evoluzione della cultura di ciascuna società ; è sempre successo e sempre succederà che vi siano individui che rompono le regole e spostano i confini, ma anche che pagano questa scelta con l’ostracismo, magari per essere rivalutati a posteriori. L’errore sta nel pensare che tutto questo sia ingiusto, anzichè naturale, e che possa non esserci un confine, insomma che libertà di espressione significhi che qualsiasi espressione è lecita.
Si tratta di una questione di principio piuttosto seria, perchè rappresenta forse il principale elemento di incomprensione tra la cultura occidentale e quei due mondi, quello islamico e quello asiatico centrale e orientale, che sono i soli nella storia a non essere stati culturalmente colonizzati a forza dagli europei, e che includono però quattro dei sei miliardi di esseri umani.
Solo nella nostra cultura, e solo negli ultimi quarant’anni, è stato progressivamente abolito il cosiddetto senso del pudore collettivo, ossia l’idea che esistano argomenti, comportamenti ed opinioni che deve essere vietato esporre in pubblico. La facilità con cui si parla e si mostra il sesso in pubblico, che per la nostra società occidentale è una conquista libertaria di cui andare fieri, per il resto del mondo è una barbarie cruda e offensiva. La volgarità , la blasfemia – intesa non come offesa a un dio, ma come mancanza di rispetto per le convinzioni religiose di altre persone -, l’aggressività diretta a chi la pensa diversamente – con tanto di risse – che occupano in permanenza la nostra TV, che noi magari deploriamo ma che poi guardiamo con divertimento o comunque come una libertà tollerabile, ci rendono lascivi, perversi e depravati agli occhi di altre culture, che non hanno nessuna intenzione di adeguarsi.
Questo genere di comportamenti è tutto intorno a noi. In alcuni casi scatta ancora un po’ di deplorazione, come nel caso del videogioco in cui bambine di pochi anni seppelliscono viva una coetanea, recentemente assurto all’onore delle cronache; in altri, non è ammesso nemmeno porre il problema.
L’altra sera, ad esempio, ho assistito a uno spettacolo teatrale (peraltro molto bello) intitolato Elogio della sbronza consapevole, in cui per novanta minuti si spiegava quant’è bello e poetico ubriacarsi volontariamente; la semplice espressione di un dubbio sul fatto che fosse giusto proporre un messaggio del genere (perdipiù finanziato con soldi pubblici) ha provocato imbarazzo, risate di scherno, accuse di bigottismo o tout court di fascismo. Come se l’artista, pur di fare uno spettacolo di successo, avesse il diritto di fregarsene delle conseguenze sociali ed umane del proprio lavoro; come se si potesse assumere che tutti gli spettatori siano in grado di elaborare criticamente il messaggio, in una società di bambini precocemente esposti ai media e di adulti ignoranti ed eternamente immaturi.
Nel caso di Borat, vediamo alcune di queste conseguenze. Gli zingari in Germania hanno protestato per le battute razziste nei propri confronti e hanno ricevuto indietro sonore pernacchie. Alcune delle persone raggirate nel film hanno perso il lavoro e talvolta la fiducia in se stessi. Una bambina kazaka di sette anni, adottata in America, è scoppiata in lacrime sentendo Borat definire il Kazakistan in TV come “un paese da cui nessuno vorrebbe adottare un bambino”.
Tutto questo, a che pro? Borat non fa scherno dei razzisti per contestare il loro razzismo, come sosterrebbero i cultori della “libera espressione”: Borat dileggia chiunque, sia i razzisti che le vittime del loro razzismo, dall’americano medio al kazako medio passando per donne ed ebrei. Egli è un antisociale che se la prende con tutti, probabilmente per sentirsi superiore: un perfetto esempio di persona priva di empatia e di rispetto per gli altri, in un mondo che ha un disperato bisogno di costruire una cultura di rispetto reciproco della diversità , per riuscire a sopravvivere tutti insieme senza spararsi addosso. Una persona del genere andrebbe curata, non certo messa sugli schermi di tutto il mondo come modello di comportamento.
Il problema fondamentale è che in una cultura priva di valori etici e in cui lo scopo della vita di molte persone è più o meno esplicitamente l’arricchimento economico, qualsiasi cosa diviene lecita pur di fare soldi: anche il cosiddetto principio di Paris Hilton, per cui, dato che l’importante per vendere è che se ne parli, e che la violazione del senso del pudore fa sicuramente parlare la gente, si può costruire una fortuna economica sulla violazione del senso del pudore: sulla volgarità , sul sesso esibito, sulla blasfemia, sul razzismo, sull’aggressione verbale verso gli altri, sul prendere in giro i più deboli.
So di dire una cosa che va profondamente contro la nostra cultura, ma del fatto che questo comportamento debba essere permesso dalla legge, o che questo renda arretrate e bigotte le società che invece lo puniscono duramente, non sono affatto convinto. Sono invece sicuro che Voltaire, quando disse di essere disposto a morire per permettere l’espressione delle idee altrui, non si riferiva affatto a tutto questo.