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Archivio per il giorno 30 Novembre 2006


giovedì 30 Novembre 2006, 16:49

Se così si può chiamare

Che il TGR Piemonte non sia una testata giornalistica di particolare coraggio, sempre ben allineata con i poteri forti della città, non è una novità. Che quindi parli molto di Juve e poco di Toro è assodato; nonostante la prevalenza granata nella regione, la redazione sportiva ha sempre sfoggiato un imbarazzante servilismo verso la squadra della Famiglia, ben ripagato da un sordo ma chiaro odio da parte della tifoseria granata, in particolare quella organizzata, culminato nella torrida estate 2005 nell’inseguimento dell’anchorman Gianfranco Bianco da parte di duecento tifosi esasperati, su e giù per mezza via Garibaldi, finchè il suddetto, dopo un paio di spintoni per nulla benauguranti, non si rifugiò con uno scatto giovanile dentro un negozio di abbigliamento della via stessa.

Posso quindi immaginare che l’ondata di mail che i tifosi del Toro hanno riversato in questi giorni sulla redazione di via Verdi, per protestare contro lo scarsissimo spazio finora riservato dal telegiornale alla preparazione del centenario granata, sia stata caratterizzata da modi poco cortesi, oltre che dai beceri luoghi comuni sul pagamento del canone Rai, e abbia quindi fatto saltare qualche nervo.

Però fa lo stesso un po’ impressione leggere come questi nostri dipendenti, di questo servizio – se così si può chiamare – pubblico, rispondono alle lettere dei propri datori di lavoro:

Cari signori, date tempo al centenario di cominciare e state tranquilli che se ne parlerà eccome. Anzi se ne è già parlato ma non ve ne siete accorti. Accecati, come dire, dal tifo -se così si può chiamare – granata. E rassicuratevi: abbiamo altro cui pensare in redazione, altro che sporchi bianconeri. Ultima cosa: il canone lo paghiamo anche noi.

Avendo appreso che per il TGR Piemonte quello granata non è tifo, e conoscendo le maniere e le sensibilità di certa parte dei tifosi, mi sentirei di dire che sarà meglio che domenica Bianco eviti di mescolarsi alla folla, per evitare un – se così si può chiamare – calcio nel sedere.

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giovedì 30 Novembre 2006, 12:46

[[System Of A Down – B.Y.O.B.]]

È qualche settimana che ascolto musica più dura del solito, e così ho pensato di dedicare un disco della settimana ai System Of A Down, gruppo alternative metal che negli Stati Uniti è in cima alle classifiche, ma che da noi è rimasto confinato alla musica inascoltabile per giovani metallari.

Eppure, i S.O.A.D. hanno una profondità sconosciuta alla maggior parte dei gruppi di quest’epoca di musichine commerciali. Formato da quattro armeno-americani di Los Angeles (di cui uno nato sul posto, due nati in Libano e uno nato a Yerevan), il gruppo fa musica apparentemente durissima, incomprensibile ai più. Ci vogliono una decina di ascolti solo per cominciare a capirci qualcosa, distinguere le strofe dai ritornelli, i riff dal rumore, le parole dalle grida.

Ma è proprio questo a rendere le cose interessanti: l’eccezionalità del gruppo sta nella sua ricchezza culturale e compositiva, che porta dentro un classico speed metal influenze di ogni genere, dall’hip hop alla musica mediorientale, confluendo in improvvisi ritornelli orecchiabili da boy band, però in versione epica. Soprattutto, la grande idea dei S.O.A.D. è di riproporre nel 2000 una versione flash del progressive anni ’70, a velocità moltiplicata per dieci, in cui i brani migliori diventano dei concept album di quattro minuti, con tre o quattro brani completamente diversi che si intersecano e si riprendono alla velocità della luce, costruendo una vera opera rock in miniatura.

Di questo calibro è ad esempio Chop Suey!, in cui il cantante, travestito da mio sosia del periodo con barba, presenta una trattazione biblica della maledizione divina, dello squallore della vita moderna e del suicidio, discesa direttamente dal monte Ararat dentro una folla di ragazzini che pogano in delirio nel nirvana del metallo pesante.

L’ultima coppia di dischi – Mezmerize e Hypnotize, risalenti all’anno scorso – contiene tanti brani che ti catturano al decimo ascolto per non lasciarti più. Molti hanno temi sociali accuratamente nascosti dietro filastrocche, come Radio Video, una canzone tradizionale russa rifatta a vocine, che ripete ossessivamente Hey man, look at me rockin’out / I’m on the radio / Hey man, look at me rockin’out / I’m on the video, indirizzato agli amici d’infanzia e al loro ricordo interiore, talvolta con dolcezza, talvolta con violenza, talvolta con una esplosione totalmente psicotica. Oppure come Violent Pornography, che descrive la massa di comunicazione commerciale sputata dai media come uno stupro collettivo ad alta velocità, violento e narcotizzante (una non-stop disco), concludendo con un bel Can you say ‘brainwashing’?

Il brano che ho scelto per l’ascolto è B.Y.O.B., il singolo del primo dei due dischi. Parla ovviamente di guerra in Iraq, e visto che i nonni di uno dei quattro vivono tuttora laggiù, potete immaginare l’approccio. Anche in questo caso, però, la trovata geniale è di estremizzare la leggerezza con cui il mondo occidentale affronta la questione, descrivendo la guerra come una festa (BYOB è la sigla che, in America, indica i locali dove ci si può portare la birra da casa, anche se qui l’ultima B non sta per beer ma per bombs), e incastonando in mezzo a una strofa violenta, disperata e velocissima un ritornello cantabile che, oltre ad entrarti in testa immediatamente, starebbe senza problemi in un pezzo di Robbie Williams.

Per fortuna che, in mezzo al piattume della musica mainstream, ci sono ancora dei gruppi così.

Why do they always send the poor?

Barbarisms by Barbaras with pointed heels
Victorious victories kneel for brand new spanking deals
Marching forward hypocritic and hypnotic computers
You depend on our protection yet you feed us lies from the tablecloth
La la la la la la la la la la

Everybody is going to the party, have a real good time
Dancing in the desert, blowing up the sunshine

Kneeling roses disappearing into Moses’ dry mouth
Breaking into Fort Knox stealing our intentions
Hangars sitting, dripped in oil, crying “freedom!”
Handed to obsoletion, still you feed us lies from the tablecloth
La la la la la la la la la la

Everybody is going to the party, have a real good time
Dancing in the desert, blowing up the sunshine
Everybody is going to the party, have a real good time
Dancing in the desert, blowing up the sunshine

Blast off, it’s party time
And we don’t live in a fascist nation
Blast off, it’s party time
And where the fuck are you?
Where the fuck are you?
Where the fuck are you?
Why don’t presidents fight the war?
Why do they always send the poor?
Why don’t presidents fight the war?
Why do they always send the poor?
Why do they always send the poor?
Why do they always send the poor?
Why do they always send the poor?

Kneeling roses disappearing into Moses’ dry mouth
Breaking into Fort Knox stealing our intentions
Hangars sitting, dripped in oil, crying “freedom!”
Handed to obsoletion, still you feed us lies from the tablecloth
La la la la la la la la la la

Everybody is going to the party, have a real good time
Dancing in the desert, blowing up the sunshine
Everybody is going to the party, have a real good time
Dancing in the desert, blowing up the sun

Where the fuck are you?
Where the fuck are you?
Why don’t presidents fight the war?
Why do they always send the poor?
Why don’t presidents fight the war?
Why do they always send the poor?
Why do they always send the poor?
Why do they always send the poor?

Why do they always send the poor?
Why do they always send the poor?
Why do they always send the poor?
They always send the poor
They always send the poor

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