Sky
Vittorio vb Bertola
Affacciato sul Web dal 1995

Gio 21 - 15:25
Ciao, essere umano non identificato!
Italiano English Piemonteis
home
home
home
chi sono
chi sono
guida al sito
guida al sito
novità nel sito
novità nel sito
licenza
licenza
contattami
contattami
blog
near a tree [it]
near a tree [it]
vecchi blog
vecchi blog
personale
documenti
documenti
foto
foto
video
video
musica
musica
attività
net governance
net governance
cons. comunale
cons. comunale
software
software
aiuto
howto
howto
guida a internet
guida a internet
usenet e faq
usenet e faq
il resto
il piemontese
il piemontese
conan
conan
mononoke hime
mononoke hime
software antico
software antico
lavoro
consulenze
consulenze
conferenze
conferenze
job placement
job placement
business angel
business angel
siti e software
siti e software
admin
login
login
your vb
your vb
registrazione
registrazione

Archivio per il giorno 3 Febbraio 2007


sabato 3 Febbraio 2007, 17:09

A Nightmare on Elm Street

Salto per il momento il racconto di tutte le procedure di sicurezza che ho dovuto subire per entrare in America, e che meritano un discorso serio, per raccontarvi del mio primo approccio con un pianeta sconosciuto: la provincia del New England.

Mi ritrovo difatti in un’ala semidimenticata del megaaeroporto di Filadelfia, scaricato lì da una navetta svogliata della US Airways: è l’ala più vecchia e lontana, e viene usata per i voli locali, quelli dei pendolari. Il punto è che in America hanno un concetto di pendolare aereo che noi non abbiamo: e difatti, percorrendo i vari gate scopro voli in partenza per i buchi più minuscoli degli Stati Uniti orientali. Passi il volo per Knoxville, che è già abbastanza nota; passino anche quelli per Ithaca o per Syracuse, che a voi non diranno niente ma sono centri dell’intellighenzia bene che si è spostata nell’upstate New York per sfuggire alla vita vuota di Manhattan. Ma il volo per Massena? Quello per Newport News? Elmira? Altoona? Harrisburg/York? Utica? Hartford/Springfield? Ogdenville? Shenandoah Valley? Tutti questi posti non solo esistono veramente, ma dispongono di un aeroporto e di collegamenti diretti con Filadelfia (neanche New York).

Peccato che questi collegamenti siano più o meno dello stesso livello dei nostri treni interregionali. Già il gate scrostato con i tubi in evidenza e la moquette strappata mi avrebbe dovuto far intuire qualcosa; ma l’orrida verità si materializza quando salgo sull’aereo. Che si rivela essere un vecchissimo bimotore ad elica, risalente almeno agli anni Sessanta, più probabilmente ai Cinquanta: ha due sedili per lato e nove file, di cui l’ultima è contro una paratia e ha pure il sedile in mezzo, proprio come nei pullman. Ecco, questo aereo ha battuto il record dell’aereo più vecchio e scassato su cui abbia mai viaggiato, surclassando persino il temibile volo Aerolineas Argentinas da Buenos Aires a Montevideo che ho preso nel 2001 (ed era il periodo in cui Aerolineas era in fallimento). (Devo però dire che non sto contando il volo su Cessna che ho fatto in Nuova Zelanda, decollando da una striscia di terra battuta e atterrando in un prato zuppo d’acqua: quello è hors categorie.)

Comunque, il volo sembrava un po’ come quello nel finale di Ti presento i miei: difatti c’era la hostess di mezza età e tuttofare, che al gate chiama i passeggeri delle file posteriori (quattro) e poi, dopo avergli strappato le carte d’imbarco, annuncia al microfono con estrema professionalità che “ora imbarchiamo i passeggeri delle file anteriori” (altri sei). Abbiamo ballato come dei dannati, visto che fuori pioveva a dirotto ed era buio, ma soprattutto che l’aereo era uno sputacchio nel risucchio del vento. La suddetta hostess ha pure annunciato al microfono che “a causa delle turbolenze, vi preghiamo di tenere strette le bevande che vi saranno versate” (il verbo al passivo naturalmente copre la verità, cioè che a bordo c’era solo lei). Ma è la prima volta che vedo un aereo dove sui sedili, al posto di “Life vest under your seat”, c’è scritto “Use bottom cushion for flotation”.

La situazione è divenuta ancora più ridicola dopo l’atterraggio all'”aeroporto” di New Haven, che si è rivelato essere una specie di autogrill prefabbricato in mezzo a un piazzale. In pratica, si scende dall’aereo, si cammina per il piazzale, si svolta dietro una parete di cartongesso e lì c’è il recupero bagagli. Umano: non c’è un nastro trasportatore, c’è un omino che tira su a mano una serranda che dà sull’esterno, poi fa il giro, e attraverso la serranda prende i bagagli dal camioncino e li butta per terra davanti ai viaggiatori. Fuori, oltre al parcheggetto per le macchine dei pendolari, c’è lo stand dei taxi, con un taxi solo. Chiuso e vuoto. Vado in giro, chiedo all’unico impiegato dell’aeroporto (che fa check in, gate di ingresso, gate d’uscita e distribuzione bagagli) dove trovo un taxi, mi dice: ma hai visto dentro? Torno là, mi avvicino al taxi sotto il diluvio. Dentro, a ben guardare, ci sono avanzi di McDonald’s per tutti i sedili, e un nero che dorme sdraiato. Busso, lo sveglio, e mi butto dentro.

Il percorso per arrivare in città prevede l’attraversamento di una zona di ville: ecco, al buio e sotto la pioggia, sembra un film di Nightmare, con le casette di legno con le verande e i tetti a punta in cima alle collinette, circondate da alberi spettrali. Non a caso la strada principale di New Haven si chiama Elm Street.

divider
sabato 3 Febbraio 2007, 15:09

Americani

Il mio volo da Parigi a Filadelfia era occupato quasi esclusivamente da americani; d’altra parte, chi mai vorrebbe andare a Filadelfia da turista? E così, mi sono beccato un paio di americanate fantastiche.

La prima è la ragazza – nè alta nè grassa, semplicemente grossa – che tornava con le amiche da una vacanza a Parigi (ne hanno chiacchierato per tutto il viaggio). Ora, supponi di essere americana, e di essere cresciuta nella prateria con le vacche oppure nella infinita periferia di una megalopoli tutta uguale. Per una volta nella vita, ti concedi una vacanza e vai a Parigi: ebbene, qual è il monumento simbolo, quello che anche se ci stai pochi giorni non puoi mancare, quello di cui ti compri la maglietta e la sfoggi sul volo di ritorno? La torre Eiffel? Montmartre? Il Louvre? Notre Dame? No, ovviamente è un altro: Eurodisney.

La seconda è il tizio che per tutto il santo viaggio, seduto davanti a me, ha lavorato sul portatile a powerpoint aziendali scaricandoli via Bluetooth dal palmare aziendale e parlando con il collega aziendale di nuovi fantastici piani aziendali, intervallati da esibizionismo tecnologico relativo al nuovo portatile aziendale e soprattutto al nuovo palmare aziendale, che sembrava fare di tutto di più. Stavamo già scendendo quando la hostess, pure dovendo insistere, è riuscita a ottenere che spegnesse tutto e si mettesse buono. Ebbene, manca non più di un minuto all’atterraggio, vediamo le case, l’altimetro segna cinquecento metri scarsi, stiamo anche un po’ ballando causa maltempo, e nel silenzio totale della cabina in tensione d’improvviso si sente fortissimo: “PIII-PIII!! PIII-PIII!!!”. Ottanta occhi guardano il malcapitato con il palmare in mano, mentre la hostess gli grida “MA NON L’AVEVA SPENTO?”. No: difatti, a cinquecento metri d’altezza, gli era appena arrivato il primo SMS aziendale per una urgentissima faccenda aziendale. Per poco non veniva (giustamente) linciato.

divider
 
Creative Commons License
Questo sito è (C) 1995-2024 di Vittorio Bertola - Informativa privacy e cookie
Alcuni diritti riservati secondo la licenza Creative Commons Attribuzione - Non Commerciale - Condividi allo stesso modo
Attribution Noncommercial Sharealike