Quattro maggio
Quasi tutti gli anni, a Torino il quattro maggio piove. Succede persino in quest’anno di siccità globale: quattro mesi di deserto, e poi tac, arriva il quattro maggio e sembra novembre: una giornata di tregenda, con l’acqua che viene a rovesci, i tombini che saltano, il traffico che impazzisce tra alberi caduti, giovani tamponati e vecchie zie inchiodate a trenta all’ora sui viali, nella loro uscita in macchina annuale.
C’era stata, è vero, l’eccezione dell’anno scorso, con una splendida grigliata al Filadelfia, le partite di calcio dei bambinetti, la sfilata dei giocatori, il concerto conclusivo. Ma il 2006 era un anno speciale. Questo, invece, è un anno qualsiasi; uno di quegli anni in cui le cose vanno un po’ bene e un po’ male, e poi arriva il quattro maggio e piove.
Piove come pioveva nel grigio e nella nebbia del 1949 stremato di post-guerra, il giorno della tragedia di Superga (the Superga air disaster). Un giorno che riguarda il calcio solo superficialmente; perché il disastro vero e incredibile è il simbolo dell’unità della vita e della morte, della basilare imperscrutabilità della vita umana.
Se non le avete mai viste, prendetevi il tempo di guardare le immagini di quella storia, quei rottami lì, a un metro, distrutti ma non disintegrati, talvolta beffardamente interi; quel funerale impossibile, con più gente di quanta il centro di Torino ne abbia mai potuta contenere, le persone ridotte a pallini che si affacciano schiacciati ed impazziti, straripanti da ogni angolo e finestra e buco disponibile; e quegli stadi così diversi, pieni di umanità , del sangue e del vino a cui testardamente, contro ogni logica ed ogni evidenza, il tifoso del Toro rimane attaccato.
I tempi sono cambiati, e si vede; per gli altri, il ricordo è sbiadito. Certo, c’è qualcosa di cocciuto e di perdente, nel rimanere attaccati a un fatto diventato leggenda e forse mito, nel cercare nel pallone volgare e sguaiato di oggi una conseguenza qualsiasi di quello di un tempo. C’è, però, che il gioco è la rappresentazione della realtà , e il calcio è un condensato della vita.
Nelle partite del Toro – ormai siamo abituati – le cose vanno un po’ bene e un po’ male, e poi, alla fine, di solito piove; ma non fa niente, perché l’importante non era stare al caldo. Quando in terra comincia a piovere, il Toro ha già vinto; perché l’importante è esserci sempre, nonostante la pioggia.