Inferno
Ok, avrei potuto infilarmi sulle tangenziali invece di fare di nuovo il giro dei viali (stavolta quelli esterni, Cermenate compreso). Avrei potuto fare Pavia – Alessandria; ci ho pensato, ma per una forma di lealtà sono rimasto sulla vecchia autostrada. Però l’esperienza di oggi si avvicina discretamente all’idea che ho di un girone dantesco.
Non intendo offendere chi è nato a Milano o chi ci abita; ognuno è attaccato alla propria città . Io, però, esco da questi due giorni chiedendomi seriamente come ci si possa vivere. Probabilmente, una volta che ci si è dentro, ci si abitua e non ci si rende più conto di quanto male si viva a Milano, o quanto bene si viva in altre città del Nord Italia.
Per dire, il traffico è un problema normale. Ma che l’unico posto per parcheggiare per una notte l’auto non palesemente in divieto, nel raggio di un chilometro, sia su un marciapiede, è insensato. Che tu chieda in giro e tutti facciano tanto d’occhi all’idea che tu trovi strano parcheggiare su un marciapiede, anche. Dopodichè, al mattino ti vergogni, e hai l’idea brillante di spostare la macchina e parcheggiarla un paio di fermate di metro più giù, dove non si paga.
Lo fai, e nel frattempo scopri un altro brutto angolo di Milano, la zona di corso Lodi, viale Brenta e piazza San Luigi. Dove su vie laterali strettissime e dal percorso zigzagante (era tutta campagna, cosa costava fare delle vie dritte e larghe?) ci sono auto su entrambi i lati, più sui marciapiedi, se ci sono dei marciapiedi. Se c’è uno spartitraffico, ci sono auto sullo spartitraffico. Se lo spartitraffico è troppo stretto, ci sono auto con due ruote sullo spartitraffico e due sulla carreggiata. E pare normale.
Se provi a muoverti con l’auto, incappi in un sacco di gente elegante, a bordo di un sacco di auto eleganti: Audi, BMW, fuoristrada, Cayenne. Tutte ferme. Tutte in lotta per cinque centimetri, a colpi di clacson e talvolta insulto, in cinquecento metri di auto completamente ferme. Quelli col fuoristrada, dopo un po’ prendono e passano sui marciapiedi, o persino attraverso i giardinetti.
In più, tutte le vie secondarie sono a senso unico, casuale. Di solito, si inverte a ogni isolato. Quando arrivi su una via un po’ più grande, c’è in mezzo un cordolo o una corsia preferenziale che ti costringe regolarmente a girare nella direzione sbagliata. Dopodichè, arrivi in una piazza rotonda (in modo da perdere l’orientamento) o in un incrocio a cinque vie, in cui la precedenza va per portellate.
Qualunque strada tu prenda per arrivare alle tangenziali, conquistandoti centimetro dopo centimetro l’avanzata come in una trincea, finirai poi sull’autostrada che non solo è piena di cantieri, ma è anche bloccata senza preavviso dopo Arluno. Due chilometri di auto ferme perchè una Audi, un BMW e una 159 si sono toccate e sono finite di traverso tra un cantiere e l’altro. Quaranta minuti di coda.
Ma non è solo il traffico – del resto, anche muovendosi a piedi cambia poco, visto che camminando ti trovi ogni cinque minuti contro un’auto che, due centimetri dal muro e due dagli alberi, si sta infilando sul marciapiede per cercare un “parcheggio”. E’ la gente in metropolitana che (evitando l’acqua che cola in piena stazione Duomo) si mette a litigare per chi ha il diritto di salire per primo sulla scala mobile. E’ l’albergo dove ti chiedono duecento euro a notte per una stanza microscopica col bagno scrostato. E’ il ristorante che ti fa il prezzo fisso per il gruppo compreso dolce, ma del dolce prepara metà delle porzioni necessarie e quando sono finite fa finta di niente. E’ il padrone del catering che, davanti ai commensali, si mette ad insultare le cameriere (“Cretina! Aggiungi dei bicchieri lì! Le bottiglie spostale più in là ! Ma come fai a lasciare questa roba qui, che poi uno ci inciampa, scema!”) nell’indifferenza generale, come se fosse normale. Tutto in un giorno solo.
Tornando a Torino, mi sono trovato davanti a un tramonto bellissimo: si vedeva tutto l’arco delle Alpi, dal Monviso in su, con il sole a scendere dietro e tutte le gradazioni dal giallo all’azzurro. Alla fine sono arrivato a casa finalmente rilassato. Passando davanti alla Thales Alenia Space già Alcatel Alenia Space già Alenia Finmeccanica già Alenia Spazio già Aeritalia, mi son detto: la nostra economia andrà un po’ da schifo, ma nessuna quantità di denaro potrebbe convincermi ad affrontare ogni mattina quell’inferno.