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Archivio per il giorno 12 Maggio 2007


sabato 12 Maggio 2007, 08:50

Google

Non mi hanno lasciato fare foto all’interno, solo all’esterno, e quindi per la maggior parte delle cose dovrete accontentarvi della descrizione a voce. Certo che la mezz’oretta di visita alla sede di Google sfida tutte le logiche sul lavoro d’ufficio che noi europei abbiamo bene in testa.

Google sta a Mountain View, in un insieme di edifici di due-tre piani a metà tra la fabbrica ristrutturata e il cubo di vetro e metallo, che erano precedentemente occupati da SGI, e che si estendono per alcune centinaia di metri attorno a un giardino centrale. In questi uffici, SGI aveva quattrocento persone; Google ne ha circa novecento. Ma non è perchè pigi le persone: è perchè Google ha abolito il concetto di ufficio individuale, con la porta, la scrivania, il ficus benjamin e il telefono per chiamare Fantozzi. Per rimarcare la cosa, hanno persino riciclato le vecchie porte appendendole in alto sulla parete dell’atrio, penzolanti sul vuoto, come decorazione e memento.

All’interno degli uffici, quindi, ci sono soltanto open space oppure sfilze di cubicoli liberi e micro-sale riunione – io ne ho vista una fila denominata con i nomi dei linguaggi, inclusi persino Ocaml e Mathematica – che ognuno si può prendere quando ha voglia, lavorando ogni giorno in un posto diverso; oppure mettersi col portatile sulle scale di legno dell’atrio, sotto la Spaceship One di Paul Allen appesa al tetto, o nel giardino. Dopodichè, ci sono anche le sale riunione più grosse, e delle tende all’interno (appropriatamente denominate yurt) che possono ospitare i meeting.

Nei quattro edifici, poi, sono sparse una quindicina di “microkitchen”, di mense e di caffè, dove il cibo è gratuito, tranne quello insalubre; c’è abbondanza di frutta organica, parte della quale è coltivata in un mini-orto biologico nel giardino degli uffici. Non solo c’è cibo gratis 24 ore su 24, ma ogni impiegato può invitare qualcuno a cena due volte al mese. Oggi è “bagel day” (bagel gratis per tutti) e, a pranzo, “seafood day”.

E poi… c’è un sacco di altra roba. C’è uno scheletro di tirannosaurus rex (“il monumento al consiglio d’amminsitrazione di Silicon Graphics”) a cui qualche dipendente ha attaccato dei piccoli fenicotteri rosa per scherzare. C’è una biblioteca ad uso libero, con tanto di lego e costruzioni per chi ci vuole giocare. C’è un pianoforte a coda in un corridoio, con il cartello “per favore suonare solo dopo le ore d’ufficio”. C’è un campo di pallavolo tra i due edifici principali, ma anche i tavoli da ping pong. C’è una palestra sterminata, a libero uso dei dipendenti, aperta 24 ore su 24, con la possibilità di farsi fare massaggi per trenta dollari l’ora. C’è la piscinetta all’aperto, con un bagnino sempre in servizio. C’è il “venerdì auto”, in cui i dipendenti possono portare la macchina sul retro (non ci sono parcheggi vicini, per cui Google ha assunto dei valletti per parcheggiare le auto un po’ più in là) e far cambiare l’olio e farla lavare. C’è, appeso sopra ogni reception, un proiettore che manda le query che stanno venendo fatte sul motore di ricerca, due o tre per secondo, in tutte le lingue. Ci sono opere d’arte moderna, ma anche “progetti 20%” (come noto, ogni programmatore ha diritto a dedicare il 20% del proprio tempo a un progetto personale privo di scopo diretto, anche se alcuni di questi sono poi diventati Orkut o Google News) come un globo terrestre rotante in tre dimensioni dove la quantità di query provenienti da una determinata città è rappresentata con un fascio di luce che si proietta dalla Terra verso la galassia, più intenso se le query sono tante, e colorato a seconda della lingua.

Ok, non tutto è condivisibile: la paginetta di lezioncina su come testare il codice appesa sopra il pisciatoio è secondo me un po’ troppo; e, discretamente, c’erano guardie nerborute dovunque andassimo – insomma, probabilmente la libertà non è così assoluta come sembra a prima vistg. Tuttavia, questo posto trasuda di pensiero, di creatività, di intelligenza al lavoro. Non è un ufficio, è un happening, una manifestazione collettiva, una cosa viva a cui tutti sono orgogliosi di partecipare.

Ad essere onesti, questo genere di visite ravviva il pensiero che ogni tanto mi viene – e che è già venuto a parecchi, contando la quantità di amici brillanti ed espatriati – cioè, cosa ci faccio io ancora in Italia, alle prese con aziende sparagnine, commerciali viscidi, manager sfruttatori, raccomandati e corrotti vari, preti saccenti, politici incompetenti, fancazzisti ad oltranza, e un generale senso di stanchezza e disillusione. In fondo, l’Italia del Duemila è un capolavoro di mediocrità, di ottusità, di provincialismo. Non fosse che sono affezionato a Torino, non fosse che sono pigro, non fosse che vivere negli Stati Uniti non mi attira per nulla, passerei lo stramaledetto curriculum a Vint e andrei in un posto dove avrei davvero delle chance di combinare qualcosa.

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