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Archivio per il mese di Giugno 2007


giovedì 21 Giugno 2007, 10:12

Informatici simpatici

Ieri sera mi sono incaponito a voler finire un lavoretto che stavo facendo, e che richiedeva di scrivere una funzione Javascript per aprire un pop-up, ma un pelino più complessa della media: ossia, che centrasse il pop-up nella finestra e che, se il pop-up era già aperto, si limitasse a riportarlo in primo piano anzichè aprirne uno nuovo (nelle questioni tecniche sono un perfezionista).

La cosa non è affatto difficile; richiede tre minuti di codice, e un’ora di pacioccamenti per adattare il codice a tutte le paturnie dei vari browser, visto che, per esempio, la larghezza e l’altezza della finestra corrente al variare del browser si leggono da tre proprietà diverse, e che richiamarne una dal browser sbagliato può piantare il codice e di lì tutti gli script nella pagina.

Però non pensavo di dover perdere quasi un’ora per scoprire che Internet Explorer 7, per qualche arcano motivo, non supporta una variabile chiamata top all’interno di una funzione del documento; o meglio, almeno in quel contesto, la interpretava come chissà quale proprietà di chissà quale oggetto sottinteso, e rispondeva al mio tentativo di assegnarla con l’esaustivo messaggio d’errore “Non implementato”. Dopo aver provato inutilmente tutte le combinazioni di proprietà delle finestre, mi è venuto il dubbio; è bastato rinominare la variabile perchè tutto andasse a posto.

Per par condicio, comunque, devo lamentarmi anche di Apple, e in particolare della meravigliosa funzione di ricerca del famigerato Finder di Mac OS X, in cui tu inserisci una stringa e lui la cerca all’interno dei file contenuti nella directory e nelle sottocartelle: ossia, legge i PDF, apre i DOC… guarda persino sotto il tappeto e nell’angolo dietro all’armadio. Peccato che nel 99% dei casi io stia cercando semplicemente un file che ha quella stringa nel nome, e che invece di mostrarmelo immediatamente lui mi faccia aspettare decine di secondi perchè deve aprire le foto delle vacanze e ricalcolare le celle di tutti i fogli Excel per vedere se c’è la mia stringa nel risultato; finché io non mi stufo e non vado a cercarmelo a mano. Geniale.

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mercoledì 20 Giugno 2007, 11:27

Collaborazioni

Chi di voi ha un Mac conosce senz’altro NeoOffice, ossia la versione per Mac OS X di OpenOffice, l’alternativa free a Microsoft Office. Difatti, la comunità di OpenOffice.org – il gruppo di sviluppatori del programma, pesantemente sponsorizzato da Sun – non aveva mai provveduto a realizzare una vera versione per Macintosh, ma soltanto per Windows e per Linux; il buco era stato quindi coperto dal progetto NeoOffice.

I due signori alla base di NeoOffice, Peterlin e Luby, si erano allontanati da OpenOffice per divergenze sulle licenze e per la scarsa voglia della Sun di interessarsi alla piattaforma Apple; essendo NeoOffice l’unica suite per ufficio liberamente disponibile per Mac e vagamente integrata col sistema – specie da quando era stata eliminata la necessità di utilizzare l’emulatore di ambiente X11 – essa era velocemente diventata lo standard.

Insomma, i due, intorno al progetto, hanno costruito un piccolo Mac-impero; e dato che oltre al progetto offrono consulenze ben pagate, che raccolgono donazioni per finanziare il lavoro (non si sa di che entità, ma visto il successo dei Mac in questi anni non penso siano poche), e che NeoOffice ogni due per tre ti apre il browser sulla pagina per contribuire, dove viene offerta persino una opzione per la “donazione mensile”, ho il sospetto che la remunerazione economica dello sforzo fosse tutt’altro che marginale. Peccato però che il software lasciasse molto a desiderare, e fosse lento, pesante, poco ottimizzato (per avere i menu in italiano bisogna scaricare un language pack di 20 megabyte…) e sempre in ritardo di molti mesi sui nuovi rilasci di OpenOffice.

Dev’essere per questo che, pochi mesi fa, la Sun ha annunciato, con mossa a sorpresa, di voler sponsorizzare la produzione e il rilascio di versioni ufficiali di OpenOffice anche per Mac OS X, direttamente integrate con il framework Aqua del sistema operativo, e quindi più efficienti. Per gli utenti, una manna; ma i due signori non l’hanno presa molto bene. Per prima cosa, hanno messo su una petizione per la raccolta di firme sotto una ironica lettera aperta alla Sun, chiedendo implicitamente che, invece di sviluppare una versione concorrente, venisse finanziato il loro sforzo. La cosa non ha avuto effetto, tanto è vero che la prima versione alfa di OpenOffice per Mac OS X è già stata rilasciata. E allora, che fare?

Semplicemente, si sono rimboccati le maniche. Et voilà: miracolosamente, in questi due mesi, sono comparse raffiche di avvisi del rilascio di nuove patch, tutte accompagnate da annunci trionfanti sull’aumento di prestazioni: ora ci vuole un quarto del tempo ad aprire un documento! Finalmente non dovete più aspettare due minuti per leggere venti pagine! E così via.

Ora, sono contento – e non dimentico che, alla fine, tutto questo mi è offerto gratis – ma viene il dubbio che forse potessero pensarci prima, a fare un prodotto un po’ più performante, senza farmi soffrire per un paio d’anni ad aspettare fasi di caricamento e ridisegno grafico per interi minuti.

In questi anni, specialmente da noi, si sentono continue e sperticate lodi al concetto dello sviluppo collaborativo del software mediante il modello libero. Esso offre sicuramente grandi vantaggi in molte situazioni; per molti versi, ha cambiato il mondo. Eppure, alla fin fine, tocca sempre constatare che non c’è nulla come la concorrenza – quella che mette in pericolo la tua fama, la tua gloria, e soprattutto il flusso di dollari che scorre pigramente verso le tue casse – per far muovere le chiappe ai produttori, e permettere agli utenti di disporre di prodotti migliori.

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martedì 19 Giugno 2007, 18:56

Conferenza

Per i pochi che ancora non lo sanno, segnalo che venerdì a Milano presso lo IULM si svolgerà il terzo episodio di Condividi la conoscenza, la conferenza che Fiorello Cortiana organizza regolarmente per creare un dialogo tra tutti quelli che si occupano della società della conoscenza. Ovviamente ci sarò anch’io, nel pomeriggio, con un breve intervento dedicato a quanto sia difficile lavorare in questo settore in un’Italia ferma alle logiche industriali.

Maggiori informazioni qui, tra un po’ di musica libera e un forum di discussione: voi che di venerdì non avete niente da fare, siete tutti invitati a venire e contribuire al dibattito; è sempre meglio che lavorare.

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martedì 19 Giugno 2007, 14:06

Rivoluzionari

Come ci informa La Stampa addirittura in prima pagina, il sempre mascherato subcomandante Marcos, leader zapatista ed eroe di Bertinotti – insomma, la versione no global di Zorro – ha pubblicato un nuovo libro. A differenza dei precedenti, però, non è un saggio politico, ma un pornazzo senza ritegno.

Insomma, alla fin fine Marcos ha rivelato quel che tutti hanno sempre saputo a proposito dei rivoluzionari di mezzo mondo: che la principale molla che spinge ad assumere il fascinoso ruolo di leader delle rivolte popolari è il desiderio di rimorchiare meglio, e trombare di più…

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lunedì 18 Giugno 2007, 16:06

Le note sono secche

Ieri sera andavo tranquillamente in automobile per le vie di Torino, quando dalla radio una canzone ha attratto la mia attenzione: un pezzo di alcuni anni fa che conoscevo bene. Si tratta di The Seed 2.0 dei The Roots – anche se la canzone è originariamente di Cody ChesnuTT, un artista semisconosciuto “featured” nella versione dei The Roots, del 2003, distinta appunto dal “2.0”. I The Roots sono da vent’anni un gruppo hip-hop americano dei più quotati, anche se in Italia sono poco conosciuti. Il pezzo è molto bello, ha un riff di chitarra che si appiccica al cervello e racconta in modo crudo la storia di un uomo che commette un adulterio pur di avere un figlio, con tanto di dettagli su preservativi, pillole e test contro l’AIDS, e un metaforico parallelo con la nascita meticcia della musica nera di questi anni, che mescola jazz, rock e rap.

Peccato che qualcosa non tornasse: la musica era quella, ma sopra, invece di un flow in inglese, c’era la voce di Zucchero che cantava un testo altrettanto impegnato, qualcosa come “Sei proprio tu / Che cosa vuoi di più / Il poroporopompompero”. Insomma, alla fine il tutto era spacciato come “il nuovo singolo di Zucchero”: Un kilo, dal disco Fly dello scorso anno.

Ora, io ad Adelmo sono molto affezionato; Rispetto, oltre ad essere un capolavoro, è uno degli album a cui sono più attaccato, per motivi molto personali. Fino alla fine degli anni ’80 ha fatto della gran bella musica. Poi, però, la vena deve essersi seccata; e allora, è diventato il re del plagio: prende un pezzo bello ma poco conosciuto da noi, fa copia e incolla, cambia un paio di accordi in un angolino, e ci aggiunge un testo italiano pieno di vaghe e fini allusioni, tipo E scoppia la bomba, olé / Il grande baboomba è con te / E cala la mutanda, olé / Il grande baboomba è per te”; oppure, “Baila / Baila Morena / Sotto questa luna piena / Under the moonlight / E daila / Under the moonlight / Sotto questa luna piena / Daila Morena”. E poi, voilà, ecco il suo nuovo singolo!

Per rendervi conto di quel che intendo, se siete registrati (che qui ai bot non apriamo), potete ascoltare il pezzo di Zucchero, che, come dicono i crediti ufficiali, è “music & lyrics by Zucchero”:

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e confrontarlo con quello dei The Roots:

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Non solo il riff è sostanzialmente identico, ma persino la maggior parte del ritornello lo è; addirittura, Zucchero lo attacca cantando “Il tuo cervello non pesa un kilo” (con la k che fa più successo coi ggiovani) sulla stessa precisa melodia vocale di “I push my seed in her bush for life” dell’altra canzone (mi scusino le signore, il testo quello è).

Fin qui, niente di nuovo; del resto la manina lunga di Adelmo è nota a tutti, nonostante la sua faccia di tolla: qui trovate vari esempi (anche di altri: Tiziano Ferro che clona Kelly Osbourne è fantastico). Tornando al nostro, l’altra settimana l’ho visto vantare in TV la sua “collaborazione” col “grande poeta Piero Ciampi”, la cui poesia Mare al tramonto costituisce quasi alla virgola il testo del ritornello di una famosa canzone di Zucchero; peccato che sulla prima versione del disco non ci fosse menzione di Ciampi, i cui parenti dovettero fare causa per ottenere il riconoscimento di diritti morali e materiali e la correzione dei crediti: altro che collaborazione…

E però, in questo caso Zucchero si è superato, oppure la canzone dei The Roots doveva piacergli davvero tanto, perchè nello stesso disco, a qualche traccia di distanza, si trova una ulteriore canzone intitolata Pronto:

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Ok, qui ha cambiato almeno un paio di altre note del riff (la batteria è identica, eh). Ma si sa, le note sono sette, e queste cose succedono per caso…

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domenica 17 Giugno 2007, 10:24

Celebrità

Ieri sera siamo andati a fare una pizzata di fine anno in un locale di San Salvario. Il posto non era granchè, la pizza nemmeno, ma insomma non era quello il punto; ci siamo divertiti fino a tardi e poi, quando verso le undici e mezza hanno cominciato ad abbassarci le serrande in faccia, abbiamo capito che era tempo di andare.

Dopo aver pagato, usciamo e troviamo il proprietario seduto nel dehors con un amico. Il proprietario si informa se siamo soddisfatti, aspetta la risposta, poi indica l’amico seduto con lui e ci fa: “E lui, lo conoscete?”. Lo guardo, la faccia non sembra ignota, ma più che altro mi pare un qualsiasi tarro torinese ben oltre la quarantina. Il proprietario ci guarda, sorride, e poi, con orgoglio, ci dice: “E’ il fotografo di Corona!”. Il mio vicino sbarra gli occhi, al che lui aggiunge: “Quello che ha scoperto Lapo! Ma dai, è andato anche a Striscia la Notizia!”.

Lì, io collego: qualche mese fa, quelli di Striscia avevano rotto le scatole all’infinito – persino durante il TG5 – promettendo “scottanti rivelazioni sul caso Lapo Elkann”. Essendo presumibilmente una di quelle sere in cui la puntata dei Simpson su Fox si era rivelata una replica riproposta per la decima volta, avevo anche visto il servizio (dato che su Internet non si butta via niente, eccolo qua). Rispetto al servizio, si era rasato il pizzetto e stinto i capelli, ma era lui.

I due cercano invariabilmente di trascinarci nella conversazione, sembrando ansiosi di discutere dei dettagli. Noi facciamo l’osservazione standard ISO richiesta in questa situazione – “ma pensa uno che sta con Martina Stella e va con un trans” – e poi ce ne andiamo. L’unica domanda seria – “quanto paga Striscia?” – non sarebbe stata gentile, e poi siamo pur sempre piemontesi. Però, pensate a come se la tirerà questo tizio per il resto dei suoi giorni…

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sabato 16 Giugno 2007, 12:48

Rifiuti

È parecchie settimane che voglio commentare sull’infinita vicenda dei napoli che vivono nella propria merda. E, come potete notare, intenderei farlo senza ipocrisie: per cui, non parlare di “cittadini della Campania che si oppongono alla localizzazione di nuove discariche per il conferimento dei rifiuti solidi urbani”, ma di “napoli che vivono nella propria merda”, esattamente come è.

Premetto chiaramente che la generalizzazione è sbagliata e che le categorie di cui parlerò sono geografiche solo in modo tendenziale: sicuramente a Napoli esistono moltissimi individui onesti, lavoratori e con il senso della collettività, così come anche a Torino esistono moltissimi napoli – il termine dialettale per indicare un immigrato campano privo di istruzione e poco avvezzo all’igiene personale – dalle origini più varie, Piemonte incluso.

Eppure, quel che è successo a Napoli, a Torino sarebbe inconcepibile. Anche qui ci sono proteste di piazza, anche estremamente intense, contro discariche e inceneritori, così come contro altre opere che nessuno vuole nel cortile, a partire dalla TAV. Tuttavia, non è mai successo che le proteste arrivassero a bloccare le discariche per più di qualche simbolico pomeriggio; e non è mai successo che le proteste continuassero in modo violento e menefreghista anche di fronte a mesi e mesi di monnezza accumulata per le vie, ai topi che montano, alla puzza che manda le persone all’ospedale, ai roghi improvvisati che generano ogni specie di fumo tossico e poi magari si attaccano alle auto, alle scuole chiuse per pericolo di epidemie.

Perchè, sempre per dirlo chiaramente, nessuno di noi vuole vivere nella propria merda: da persone educate, abbiamo un rigetto istintivo verso l’idea, e persino la discarica nel cortile, alla fine, ci appare per quel che è, ovvero un male molto minore rispetto all’avere l’immondizia per le vie.

Ma anche perchè, avendo raggiunto la maggiore età, siamo tutti in grado di capire che i rifiuti esistono, che qualcosa bisognerà pur farne, e che questo è un problema collettivo, da cui nessuno può chiamarsi fuori; e quindi, si protesta finchè si può, anche duramente, ma una volta che la decisione viene presa, tramite le procedure più o meno democratiche che come Paese ci siamo dati, la rispettiamo perchè è la decisione di tutti.

A Napoli, invece, regna il menefreghismo più totale: l’immondizia è un problema di qualcun altro, e la collettività non esiste, esiste solo l’io, confidando che prima o poi appaia San Gennaro, o più probabilmente qualcuno più fesso di noi, a farsi carico del problema; o festeggiando il ritorno della squadra di calcio in serie A colorando di biancoazzurro i batteri del colera. Vi è, insomma, il rifiuto della società, del vivere insieme, della legge e dello Stato: il rifiuto della civiltà.

Davanti al rifiuto della società, la società ha due gradi di reazione possibile: l’educazione prima, e la repressione poi. Tuttavia, l’educazione è lavoro difficile e di lungo termine; nel momento in cui la società viene attaccata frontalmente, essa può soltanto cedere, o imporre l’interesse collettivo con la forza.

E così, in un paese civile, ad Ariano Irpino come in tutti quei posti con la monnezza per strada e la gente in rivolta, avrebbero già mandato da tempo i carri armati. Si è deciso che la discarica deve riaprire? E la discarica riapra, a qualsiasi costo; perchè se non lo si fa, è segno che lo Stato non esiste. I politici che invece impediscono questa risposta – dal sindaco del paese a Bassolino e Pecoraro Scanio – sono quindi doppiamente responsabili: perchè come amministratori pubblici hanno il dovere di imporre il rispetto della legge e dell’interesse collettivo, e invece sono i primi a sabotarlo.

Tutto questo, naturalmente, verrà prontamente bollato da alcuni come fascismo, leghismo o razzismo; e invece è il discorso più di sinistra che c’è, perchè quelli che perdono, nell’assenza di regole, sono i più deboli e non i più forti; lo Stato esiste proprio a garanzia dei deboli. In questa come in tante altre cose (dall’evasione fiscale alla microcriminalità cittadina), lo Stato italiano ha provato di non esistere più: di essere soltanto uno zombie che cammina per inerzia.
E quindi, cosa ci stiamo a fare noi, persone oneste e con il senso dello Stato, in uno Stato che non esiste, che chiede tasse sempre maggiori per finanziare la corruzione, le clientele e le libagioni dei potenti – come in un qualsiasi feudo medievale – e non garantisce nemmeno il rispetto della legge?

Si è parlato tanto, quindici anni fa, di secessione. All’epoca, era una proposta da burla, con un pirla in canottiera che delirava di ampolle magiche. In questi anni, però, i politici di entrambi gli schieramenti hanno lavorato duro per renderla realistica; la situazione è degenerata silenziosamente, e non so se siamo prima o dopo il punto di non ritorno. Perchè il mio sospetto è che la secessione già ci sia: perchè io, con quei “cittadini” che vivono nella propria merda e con quei politici che li assecondano, non ho nulla da spartire. Non è questione di divergenza di vedute, ma proprio della mancanza delle basi minime per poter impostare una convivenza civile. Io, da questa Italia, dentro di me ho già seceduto, e sono certo che non sono l’unico.

Cosa succederà, non lo sa nessuno; o finiremo per emigrare tutti, e lasciare che gli altri completino la trasformazione dell’Italia in un immondezzaio; o finirà di consumarsi lo Stato, in mezzo a bancarotte e proteste di piazza, dando luogo all’anarchia; o scatterà una guerra civile (anche se, vista la narcolessia da Grande Fratello, credo non ci siano le premesse culturali).

In tutto questo, è dura dover constatare che, forse forse, il progetto leghista era ancora la cosa meno drammatica.

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venerdì 15 Giugno 2007, 19:47

ICI online

In mezzo a tante lamentele, finalmente lo Stato italiano ne ha fatta una giusta: da quest’anno è possibile pagare l’ICI per qualsiasi comune d’Italia tramite il modello F24, e quindi, con praticamente qualsiasi banca, è possibile pagarlo online tramite Internet banking. Finora, esisteva soltanto qualche comune che accettava pagamenti tramite RID (ma richiedeva una lunga e burocratica procedura di accreditamento iniziale) o tramite carta di credito (ma con commissioni esorbitanti: a Torino si pagavano dodici euro, contro l’euro del bollettino postale…).

In pratica, una volta ricavate le cifre da pagare, si prende un modulo F24 (cartaceo o elettronico che sia), si va alla sezione “ICI e tributi locali”, e si compila una riga per ciascuna riga non vuota del classico bollettino ICI, ossia una riga per ciascun comune e ciascun tipo di immobili ai fini ICI (“abitazione principale”, “altri fabbricati”…). In ciascuna riga, bisogna indicare il codice catastale del comune in cui sono situati gli immobili – quella lettera e tre cifre che compaiono anche nel codice fiscale, es. L219 per Torino, e che potete ritrovare ad esempio qui -, barrare la casella dell’acconto (a dicembre sarà il saldo), inserire il numero delle unità immobiliari di quel tipo, e specificare il codice tributo 3901 per l’abitazione principale, 3902 per i terreni agricoli, 3903 per le aree fabbricabili o 3904 per gli altri fabbricati, box e case della nonna compresi; e poi, completare con l’anno – 2007, perché l’ICI si paga subito per l’anno in corso… – e l’importo. Nella casella in basso, va indicato l’importo di detrazione applicato per l’abitazione principale in questo acconto: 66 euro quasi ovunque.

Dopodichè, si invia; in genere si può anche indicare come data di pagamento quella della scadenza (lunedì, in questo caso), in modo da pagare il più tardi possibile. In caso di dubbi, il Comune di Torino offre persino delle pittoresche istruzioni, piene di effetti di testo in stile Word 6.0. Non male!

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venerdì 15 Giugno 2007, 13:35

Stile Moggentus

Ieri Marco Tardelli, ex giocatore campione del mondo ed ex allenatore della nazionale Under 21 campione d’Europa, ha lasciato il consiglio d’amministrazione della Juventus: il motivo da lui dichiarato ai giornali è che, dopo averlo cooptato nei giorni della bufera come “faccia pulita”, l’hanno accuratamente tenuto fuori da ogni attività tecnica o di mercato, che – tramite un prestanome, tal Alessio Secco – sono rimaste saldamente nelle mani di Bettega (non è un caso di omonimia: è lo stesso che dirigeva la Juve di Moggi). Capito che il cambiamento era solo di facciata, quando il contratto di Bettega è stato prolungato anche per i prossimi anni, Tardelli se ne è andato sbattendo la porta.

Tutto ciò sarebbe normale stile Moggentus, se non fosse per la ciliegina: oggi La Stampa dedica una intera pagina alla questione, che con toni pacati e vaselinosi parla di “questioni di potere” poste da “l’irrequieto Tardelli”. Aggiunge poi un disegnino (sui giornali vanno tanto di moda) raffigurante l’attuale CdA della Juve: esso comprende “Jean-Claude Blanc, amministratore delegato”, e poi “Aldo Mazzia, direttore amministrazione e bilancio Ifil”, e poi “Camillo Venesio, amministratore delegato e direttore generale Banca del Piemonte”… E poi lui, Tardelli, qualificato così: “Marco Tardelli, commentatore televisivo”. Che perfidia!

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giovedì 14 Giugno 2007, 18:03

Russi

Per equità, faccio seguire al post precedente – sulla tipica ignoranza della propria lingua che affligge gli americani – un post sullo stile retorico dei russi.

Qualche giorno fa, mi è stato forwardato questo articolo di una newsletter russa. Non starò a tediarvi con la traduzione in italiano della traduzione in inglese che un bulgaro ha fatto per me; in sostanza, si tratta di un pezzo sull’imperialismo americano che si estende alla rete. Intitolato “Gli americani vogliono governare la rete russa” (ossia, i domini in cirillico), presto inizia con le domande retoriche come “Non sarebbe ora che la Russia stessa controlli l’Internet in russo?”, supportato dall’inoppugnabile argomento che i cinesi già fanno così.

Ma la cosa più bella è che, in uno stile che ricorda i comunicati del vecchio PCI, il pezzo viene chiuso con un richiamo ad una famosa frase dell’immortale compagno Lenin Stalin Kruscev Breznev Gorbaciov Eltsin Putin, e precisamente «Мы проявили слабость, а слабых бьют», ovvero, se la sfilza di traduzioni non inganna, “Abbiamo mostrato debolezza, e i deboli vengono battuti!”.

Se la ripetete pensando al ghigno malefico di Vladimir, non potranno che venirvi i brividi; anche se non sono del tutto sicuro che siano preferibili le citazioni dei comunisti nostrani, “Attento alle comunicazioni” e “Facci sognare”.

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