Impatto su Pechino
Il viaggio per la Cina è devastante; perché è verso est, e quindi il corpo lo regge molto peggio, trovandosi a fare i conti con due giornate sostanzialmente fuse in una sola da 41 ore. Sull’aereo, complici le chiacchiere con i compagni di viaggio e la scomodità dell’economy, ho dormito a malapena un’ora; così oggi sono stato uno zombi, come peraltro anche gli altri. In più, il volo da Malpensa era in ritardo, e mentre noi abbiamo preso la coincidenza al pelo (ci hanno anzi aspettato per una decina di minuti) i nostri bagagli non ce l’hanno fatta; così li aspetteremo fino a domani sera.
Il primo impatto con Pechino – limitato peraltro all’aeroporto, ai quartieri universitari della zona nordovest e al Palazzo d’Estate – è stato comunque molto interessante. Tutto è enorme, ma la città non è affatto sovraffollata, sporca e caotica come le altre metropoli asiatiche che ho visto; i palazzi sono alti (20-30 piani sono la norma) ma distanziati, come torri che emergono da una piana coperta tutt’al più da piccole costruzioni a un piano solo, residui del passato che vengono via via sostituiti da vetro e acciaio o in subordine da muratura e piastrelle eleganti, collegate da strade a quattro o otto corsie ciascuna con isolati da mezzo chilometro l’uno. E il nostro albergo è praticamente un quartiere, con nove palazzine che ospitano almeno un migliaio di stanze di vari livelli di comfort.
Insomma, l’impressione è di ordine e benessere, anche se l’ordine esclude il traffico, dove si vedono grovigli di auto, bici e pedoni modello Nordafrica: è la prima volta che vedo una torma di bici attraversare tutte insieme in svolta a sinistra un gigantesco incrocio, e in mezzo alle bici si aggiungono svariati pedoni che attraversano in diagonale, usando le bici come scudo, e quindi correndo per rimanere insieme a loro; e in tutto ciò il colore del semaforo è sostanzialmente irrilevante, si va a clacson e portellate. L’ordine invece include una selva di telecamere, decine a ogni incrocio, appese sui palazzi, nei parchi, ovunque.
L’altra cosa che colpisce è che in giro si vedono solo giovani indaffarati che corrono a frotte; gli anziani sono pochissimi, e da nessuna parte c’è gente ferma a far niente; per quanto in qualsiasi negozio ci siano almeno cinque commessi per ciascun potenziale cliente, sono tutti attivi, dinamici, inarrestabili. Di conseguenza, l’assalto fastidioso di massa è la modalità commerciale comunemente usata con l’occidentale; un ragazzo di un negozietto di computer ci ha inseguiti per tre piani del centro commerciale, sempre dicendo “come on, sir, follow me, we good prices” (questo era già uno che parlava inglese benissimo). Mentre al Palazzo d’Estate una ragazza ci ha abbordati mentre scendevamo dal taxi, ha negoziato un quindici euro di onorario, e ci ha guidati in buon inglese per due ore di visita, con soddisfazione reciproca e quindi ulteriore mancia.
E’ peraltro vero che Pechino è la capitale imperiale, e vive da millenni di burocrazia; ce ne siamo resi conto compilando i moduli per il reclamo delle valigie, dove ci hanno chiesto informazioni chiaramente inutili – come il peso della valigia, la carta di imbarco del Milano-Francoforte, o il numero di carta Miles&More – semplicemente perché erano previste dal formulario statale. Certo, immagino che chi sgarra finisca male, per cui capisco anche il desiderio di essere ligi alla lettera. Eppure come si possa non solo tenere insieme una società di queste dimensioni, ma anche farla crescere al dieci per cento l’anno e oltre, coniugando una evidente ricchezza con la pace sociale e con disuguaglianze di classe che per ora mi sono sembrate nettamente inferiori alle nostre, è un mistero che merita di essere approfondito.
Nel frattempo, nonostante sia praticamente impossibile comunicare e si senta un po’ il rischio di rimanere persi da qualche parte, ho constatato come l’ambiente non sia affatto intimidente; sarà per la sensazione di sicurezza, sarà per il sorriso che quasi tutti ti mostrano, ma la tentazione di restare chiuso in albergo – che spesso ti assale in posti come gli Stati Uniti o il Brasile – qui proprio non c’è.
[tags]cina, pechino[/tags]