Mascalzone latino
Oggi sono stato allo stadio a vedere una partita magnifica, in cui il Toro ha messo sotto dall’inizio alla fine la seconda squadra più forte d’Italia, e soltanto per un mix di sfiga, imbranataggine e sviste arbitrali (peraltro compensate da un possibile rigore non dato alla Roma) non ha vinto 3-0. Poi sono tornato a casa, ho acceso il televisore e ho messo su Italia 1 per vedere Controcampo, la trasmissione che, in regime di monopolio, trasmette i gol nel tardo pomeriggio.
Peccato che la trasmissione si sia occupata della giornata di campionato per sì e no dieci minuti, per poi trasformarsi in due ore di celebrazione del Milan e di leccata di piedi a Berlusconi, presente in studio in tutto il suo splendore. El presidente ha concluso la performance con un toccante brano, scritto di suo pugno per festeggiare l’odierna vittoria del Milan; per quanto con Google si scopra subito che l’avesse già scritto di suo pugno per Una storia italiana, il libretto autocelebrativo che recapitò a mezzo posta a tutti gli italiani prima delle elezioni del 2001.
E così, siamo in grado di riportare a futura memoria questo pezzo di bravura di marketing politico: leggetelo con attenzione.
A MIO PADRE
Questa immagine del Milan Campione d’Europa e del Mondo allo scoccare dei suoi novant’anni, si fonde e si confonde in me con tanti ricordi della mia infanzia.
Le dispute con i compagni di scuola, le lunghe ore di studio, l’attesa di mio padre che tornava tardi dal lavoro e si affacciava sulla porta col suo sorriso. Era come se in casa fosse entrato il sole. Carissimo, dolcissimo papà .
E con lui, dopo aver parlato dello studio, della scuola, subito a parlare del Milan, quasi l’incarnazione dei nostri sogni, delle nostre utopie. “Vedrai, papà , vinceremo, dobbiamo vincereâ€, come se in campo potessimo andarci noi due. E poi la liturgia della Messa insieme la domenica mattina, i commenti e le riflessioni sulla predica, la puntata a comperare le meringhe per la mamma che ci aspettava a casa, in cucina, a preparare il pranzo della festa, l’unico che si consumava in sala con la tovaglia ricamata e i fiori in mezzo al tavolo. E io sempre a chiedere l’ora, impaziente, timoroso di fare tardi.
E finalmente, la mano nella mano, eccoci là all’entrata dello stadio, l’Arena o San Siro, e io a farmi piccolo piccolo per profittare di un solo biglietto in due. E, poi, il cuore in gola nell’attesa, le braccia al collo per la vittoria, la tristezza per le partite-no. E mio padre a consolarmi: “Vedrai, ci rifaremo!â€. Caro vecchio Milan, il Milan dei Puricelli, dei Carapellese, dei Tosolini, dei Gimona, che non era riuscito a vincere niente di importante. Caro papà , dalle notti in bianco, con il lavoro portato a casa per far quadrare il bilancio di una famiglia del dopoguerra. Com’è dolce, ora, ricordarvi insieme.
Nel momento del trionfo, degli osanna, della notorietà internazionale del Milan di oggi, lasciami, caro vecchio Milan, confondere la mia storia alla tua, lasciami inorgoglire per aver contribuito a farti grande e famoso, lascia che io dedichi questa vittoria, che i campioni rossoneri dal campo hanno voluto dedicarmi, a chi nei momenti più difficili mi consolava e mi incitava: “Chi crede, vince. Vedrai, ce la faremoâ€. Ce l’abbiamo fatta.
Domani sogneremo altri traguardi, inventeremo altre sfide, cercheremo altre vittorie. Che valgano a realizzare ciò che di buono, di forte, di vero c’è in noi, in tutti noi che abbiamo avuto questa avventura di intrecciare la nostra vita a un sogno che si chiama Milan.
Ora, se voi leggendo questa roba avete provato istintivo ribrezzo – per l’uso e la manipolazione della propria storia personale a fini di propaganda politica, per esempio – significa che non avete capito gli italiani. Perché il modello tradizionale di famiglia – papà e figlio maschio allo stadio e la donna in cucina, ma con tutti gli onori – stride certo con la realtà di oggi, ma trovatemi qualcuno, anche tra i giovani, che opporrebbe con orgoglio il racconto di una domenica in cui se lui va allo stadio lei va in palestra e poi la sera non ci si vede nemmeno, che si è tutti e due stanchi e comunque non si sarebbe d’accordo nemmeno su cosa guardare in TV.
Ma il tocco da maestro sta in quell’inciso in cui Berlusconi racconta che andavano allo stadio in due, ma che poi lui bambino si fingeva più piccolo di quel che era, in modo da rubare un ingresso gratis. L’italiano medio qui applaude, e pensa che questo qui è come lui, furbo e ladro se appena può, ma in fondo in fondo un gran simpaticone; e dal cuore d’oro, perché lo fa per sventolare il bandierone e dopo aver onorato i santi. Un vero mascalzone latino.
A forza di sentirmelo dire, sto cominciando a pensare che, nel millennio globalizzato, il “grande posto nel mondo” degli italiani sarà quello che immagina Berlusconi: una nazione di furbi che vivono alle spalle degli altri, arrangiandosi grazie ad un naturale charme. Probabilmente io dovevo nascere in Svizzera.
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