Grattacieli
Ieri mattina, approfittando della giornata ad ingresso libero per l’anniversario della riapertura, sono andato a visitare Palazzo Madama.
Il museo in sé non ha nulla di particolarmente interessante, a parte forse un po’ di decorazioni lignee subito all’inizio, alcuni bassorilievi in marmo e in avorio, e il famoso (ma microscopico) ritratto di Antonello da Messina; è però veramente bella la vista dalla cima della torre dell’ascensore, una veduta del centro di Torino che non ti aspetti ma che è proprio all’altezza giusta, non così in alto come dalla Mole (dove tutto sembra piccolo e perduto) ma abbastanza in alto da spaziare fino ai confini della città .
Il museo ospita però in queste settimane anche la mostra sui sei progetti per il discusso grattacielo che il fu Sanpaolo dovrebbe costruire sui giardinetti accanto alla futura stazione di Porta Susa 2.0, su quel fazzoletto di terra dove per decenni c’è stata la stazione degli autobus.
Dall’esame della mostra emerge chiaro che non ha vinto il progetto migliore, ma quello più conservatore: un banalissimo parallelepipedo che Renzo Piano deve aver disegnato con la mano sinistra, ma che probabilmente aveva gli appoggi giusti (in senso architettonico, s’intende). Praticamente tutti gli altri progetti – a parte forse quello degli spagnoli – erano più originali, più innovativi, più scenografici, insomma più belli. Due in particolare erano magnifici: quello di Perrault, fatto di sei enormi cubi appoggiati in modo irregolare l’uno sull’altro, e quello di Libeskind, una forma a cristallo fatta di superfici piatte ma sghembe, in relazione con tutti i punti cardinali della città e del circondario, dal Monviso a piazza Castello.
L’impressione è che la banca abbia scelto il progetto che, oltre a minimizzare i costi e massimizzare il valore edilizio dell’opera, potesse sembrare più rassicurante per le vecchiette sabaude, notoriamente critiche a priori di qualsiasi innovazione. Il risultato però è discutibile: perché – anche senza andare a discutere i problemi di traffico, di sostenibilità energetica, di effettiva utilità a fronte di una quantità abnorme di aree industriali da risistemare e di edifici per uffici vuoti e in decadenza, a partire dal grattacielo Rai qualche centinaio di metri più in là – un’opera del genere è innanzi tutto un nuovo monumento, che ridefinisce pesantemente l’immagine della città .
Allora, la Torino del futuro qual è: la città apparentemente provinciale e cullata dalle montagne che vediamo adesso? O la città innovativa e fuori dagli schemi che sceglie per simbolo un grattacielo destrutturato come quello di Perrault o anticonformista come quello di Libeskind? (Ma anche, per dire, come la bellissima biblioteca civica di Bellini, di cui infatti nessuno s’è lamentato.) Oppure la città anonima e grigia che comincia a fare banali parallelepipedi di vetro e cemento cinquant’anni in ritardo su tutti gli altri, senza guardare alla qualità , purché siano firmati?
Io, sul fare grattacieli a Torino, non ho una posizione a prescindere, a differenza del “club no tutto” che è prontamente sorto anche su questo tema. I grattacieli, se fatti bene, sono un investimento per il futuro; ma possono anche diventare errori ingestibili (e tremo all’idea del secondo grattacielo in arrivo, quello di Fuksas: uno che a Porta Palazzo è riuscito a costruire un edificio bellino ma talmente inadatto allo scopo che è ancora lì abbandonato dopo anni, che disastro potrà fare su una scala venti volte maggiore?). Per cui non contesto l’idea in sé, ma il progetto che è stato scelto: ce ne presentino uno più bello, e poi se ne potrà parlare.
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17 Dicembre 2007, 12:02
lo sai, vero, che il grattacielo della Rai dovrebbe essere buttato giù ma con attenzione, vista la quantità di amianto che ha?
17 Dicembre 2007, 12:57
No, non l’ha disegnato con la mano sinistra, ha semplicemente rivenduto e ridimensionato un progetto che aveva lì nel cassetto: il nuovo grattacielo del NY Times. Fossi la Sanpaolo gli pagherei solo la carta delle fotocopie per i disegni e lo stipendio di due o tre architetti neolaureati che, da co.co.co., che gli hanno ridotto la scala tolto qualche fronzolo.
17 Dicembre 2007, 13:01
(Posso tirarmela un pochino? Il nuovissimo sito di Palazzo Madama l’ho fatto io, a parte il layout)
BTW, 10 anni fa il mio compagno di appartamento di allora aveva comprato “Le Scienze” (parente stretto del prestigioso Scientific American) e l’articolo di copertina era “La tecnologia sta rendendo obsoleti i grattacieli”. Forse noi italiani lo capiremo tra 30 anni.
Io mi chiedo:
Ha senso fare un grattacielo enorme in un settore dove si potrebbe lavorare a distanza in modo agevole?
Ha senso fare un grattacielo enorme in una zona difficile da raggiungere da fuori città via auto? (via treno sarà facile con la nuova Porta Susa, ma una stazione non terminale e con poche destinazioni non credo che possa portare abbastanza persone per riempirlo. Al massimo qualche dirigente in prima classe del Pendolino da Milano.)
I grattacieli sono più una dimostrazione di potenza che altro: “io sono più grande di te e quindi faccio un grattacielo più grande”, una sorta di simbolo fallico.
17 Dicembre 2007, 15:11
Sciasbat: Se è così rafforza il mio pensiero: è evidente che un grattacielo a parallelepipedo è perfetto in una città piena di grattacieli a parallelepipedo, mentre isolato così dal suo contesto, in mezzo al nulla… è semplicemente un pirillone.
19 Dicembre 2007, 17:12
(piccola correzione alla mia vanteria nel commento #3: neanche il Flash è mio)
Il parallelepipedo è quasi l’unica forma di grattacielo a Torino (l’unica notevole eccezione è l’orrido “littorio”): il grattacielo Lancia, quello della RAI… fortunatamente i grattaciale sono rari.
Per quanto riguarda il partito “no tutto”, semplicemente non esiste. Ogni decisione importante, per quanto logica ed intelligente, produce degli scontenti che più o meno spontaneamente si organizzano in comitati; bollare ciascuno di questi comitati con i tag “anti-progresso”, “retrogradi”, “anti-sviluppo”, “integralisti del no”, “partito del no” è pura propaganda politica.