Monetine (2)
Anche oggi, la continuazione del post di ieri avrà un sottofondo musicale: è quello di Daniele Silvestri, che ha appena pubblicato un nuovo singolo intitolato appunto Monetine.
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In realtà – trattandosi del singolo che precede la raccolta in uscita tra poco – non è un brano nuovo, ma una canzone di quasi dieci anni fa, Pozzo dei desideri, riarrangiata pesantemente in stile Manu Chao e senza ritornello. Comunque, parla anch’essa del gioco d’azzardo, di come sia diventato in questi anni la speranza dei disperati, l’unica proposta che la società riesce ad offrire a un consistente strato di persone.
E’ interessante vedere Caparezza e Silvestri affrontare contemporaneamente il problema di chi resta ai margini del fiume di ricchezza che attraversa le nostre società , molto visibile ma accessibile soltanto a pochi. Tanto sicuro e rabbioso è Caparezza, quanto intimo e amaro è Silvestri, un artista forse sottovalutato per via di questa sua dimensione un po’ minore nei toni, ma che ha prodotto alcuni dei pezzi più emozionanti di questi anni, da Cohiba a L’autostrada.
Il gioco d’azzardo è sempre stato un no-no, monopolizzato dallo Stato, vietato ai figli come e più della droga, e mantenuto sotto traccia, come vizio imbarazzante dei ricchi. E’ per questo che qualche giorno fa, andando in centro, io mi sono indignato per una intera parete di piazza Carlo Felice occupata da una enorme pubblicità del poker.
Per fortuna non sono stato l’unico, tanto che ne ha parlato qualche giorno fa La Stampa in cronaca. Eppure, quel cartellone non è arrivato lì da solo: qualcuno deve averlo commissionato, certo. Ma qualcun altro deve averlo stampato, trasportato, montato. Immagino anche che un certo numero di uffici pubblici l’abbiano vagliato ed autorizzato. E certamente hanno dato il loro via libera, in cambio di una congrua quantità di denaro, i proprietari del palazzo. Che a nessuno di questi sia venuto un qualche dubbio è francamente deprimente: testimonia di quanto in basso sia sceso il livello di etica, il senso di comunità e di responsabilità reciproca che sta alla base di qualsiasi convivenza civile.
Forse, è davvero questione di disgregazione sociale. Perché i signori degli appartamenti ottocenteschi di piazza Carlo Felice devono aver pensato che, loro, non avranno mai problemi col gioco d’azzardo, e che comunque avranno i soldi per pagarselo, o i mezzi culturali per evitarlo. Perché storie come questa, che risale solo all’inizio del mese, accadono regolarmente, ma alla Falchera, alle Vallette, al fondo di via Artom o nelle strade più popolari di Santa Rita. Moneta dopo moneta, le vite degli altri, private di ogni credibile alternativa, si consumano; ma, appunto, sono altri.
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