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domenica 20 Luglio 2008, 10:10

Stai a Napoli e poi muori

No, nonostante il titolo non voglio parlare del crollo del palazzo nei Quartieri Spagnoli avvenuto qualche giorno fa. E’ che sono rimasto stupito da un fatto che ho osservato negli ultimi due o tre mesi: apparentemente, a Roma sono comparse legioni di napoletani (almeno, a me paiono tali dall’accento) che cercano di arrangiarsi per vivere. Prima non c’erano; d’improvviso, mi è capitato di incontrarne tre in due fuggevoli visite.

Uno era pure divertente, anzi gli darei l’oscar dell’arrangiamento in almeno due sensi diversi: difatti, si era messo nel lungo corridoio sotterraneo che collega Roma Ostiense alla metro Piramide – uno dei maggiori esempi italiani di pessima pianificazione trasportistica – e cantava, accompagnandosi con una base registrata, Can’t Help Falling In Love di Elvis Presley (che poi, come già dissi tempo fa, è una romanza settecentesca di Jean-Paul Martini). Ma il punto è che non la cantava mica: faceva il playback. La voce era quella di Elvis, e usciva dalla scatola; lui faceva soltanto le facce, abbrancato ad un microfono che non portava a niente.

Gli altri erano più normali; alla Stazione Termini, tu sei seduto sul treno in attesa di partire – una volta per Fiumicino, un’altra per Torino Porta Nuova – e sale un ragazzo che cerca di venderti qualcosa.

Quello di due mesi fa era simpatico, e siccome io ho sorriso e ho detto “No grazie” guardandolo negli occhi si è subito creata simpatia; così mi ha attaccato un bottone pluriparte – a un certo punto ha comunicato “vado a cercare un altro pol… cliente ma poi torno da te” – che è durato fino a Parco Leonardo. Cercava di vendermi un pacchetto di calzini e altra paccottiglia cinese, utilizzando qualsiasi mezzo, comprese le foto della (presunta) figlia piccola, mostrate peraltro su un Nokia rosso fiammante nuovo di pacca. Una volta mi sarei alterato, ma ora, avendo visto Marrakech e Pechino, riconosco il pattern comportamentale: è semplicemente un gioco, il gioco della vendita. Tu devi restare sulle tue (specie se non hai intenzione di comprare; non è bello promettere e non mantenere) e sapere che ciò che sta facendo lui è una sceneggiata ben studiata; e godere dello spettacolo apprezzandone la professionalità.

A un certo punto gli ho offerto un euro in cambio di niente, come premio di prestazione, e lui ha risposto alla grande: ha finto di offendersi mortalmente e iniziato un lungo pippone sulla dignità che mi stava strappando un applauso, ribadendo che lui non avrebbe mai potuto accettare l’elemosina, perchè lui voleva solo lavorare e vendermi i suoi calzini. Ovviamente, venti minuti dopo ha preso l’euro – ma solo dopo che io sono stato al gioco a mia volta e ho insistito che non era una elemosina ma semplicemente un caffè, e solo dopo avermi chiesto se per caso potevo offrirgli anche ‘o cornetto – e se n’è andato. Purtroppo questo ragazzo parlava un dialetto strettissimo, che facevo molta molta fatica a capire; ma è stata una grande esperienza.

Quello di ieri era meno bravo e meno disposto a spendere tempo, anche perché il treno andava lontano e non poteva rischiare di restarci sopra; ha semplicemente blaterato che l’oggetto che voleva vendere c’aveva scritto “canalecinquo” sulla confezione, quindi era sicuramente di ottima fattura; è bastato un no per farlo andare via.

Stavo per concludere che probabilmente la crisi si fa sentire, e che da Napoli hanno individuato Roma come una possibile fonte di denaro. Purtroppo, è anche possibile – vista la sistematicità – che si tratti di un racket, e che questa gente sia organizzata e caporalata dalla camorra. E’ comunque una forma di degrado, ma d’altra parte si deve pure tirare a campare.

[tags]roma, napoli, venditori ambulanti[/tags]

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Un commento a “Stai a Napoli e poi muori”

  1. Nick:

    Sono stato a Pechino con un mio amico napoletano. Per le cose che volevamo acquistare per strada si occupava lui della “trattativa commerciale” riuscendo a tirare dei prezzi che io, per nascita sabauda, non mi sarei mai nemmeno permesso di proporre come “boutade” iniziale al ribasso. La cosa curiosa è che abbiamo acquistato anche merce regolarmente in vendita nei negozi, pagandola circa un decimo (il prezzo richiesto all’inizio era circa trenta volte maggiore!). Trattandosi di Pechino, dove la polizia è BEN più presente che da noi, non credo si trattasse di merce rubata e se era contaffatta era assolutamente indistinguibile dall’originale (compresi libri di foto in brossura). Se per loro era comunque vantaggioso vendere, capisco come gli occidentali facciano la fortuna di QUALUNQUE negozio cinese più dei turisti nei bar di Venezia!

 
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