Cinesi all’italiana
Si è sparsa in un lampo, ieri pomeriggio, la notizia secondo cui i provider italiani stavano provvedendo a censurare The Pirate Bay, il sito svedese che costituisce il più noto aggregatore mondiale di file torrent – i file che, semplificando, contengono i link che permettono lo scaricamento di film, musica e programmi dalla rete peer-to-peer BitTorrent. L’utente che scarica i file commette spesso violazioni del copyright (ma anche no, visto che su queste reti esistono anche molti file resi liberamente disponibili dagli autori); se ne sia responsabile chi fornisce i link che permettono tale operazione, è un altro paio di maniche. L’industria della musica lo vorrebbe, ma in Svezia la legalità di questo sito è stata più volte confermata.
Per qualche ora si è cercato di capire: pare che un magistrato italiano – il pubblico ministero Giancarlo Mancusi, già responsabile di indagini su altri siti del genere, che avevano portato al loro sequestro – abbia inviato ai provider un qualche provvedimento che li vincola a censurare il sito. I provider hanno aderito alla spicciolata; stando alle verifiche organizzate in rete, alcuni hanno provveduto a rendere inaccessibile il suo record DNS, mentre altri hanno bloccato il traffico diretto al suo indirizzo IP, e altri ancora non hanno fatto nulla, forse perché non hanno ricevuto alcuna ordinanza.
Già questo fa capire che questa storia è una barzelletta, visto che, a seconda del provider che vi capita, potreste vedere il sito oppure no. Si sa poi che questi provvedimenti sono inefficaci: e difatti, nel giro di poche ore gli svedesi di The Pirate Bay hanno cambiato l’indirizzo IP e si sono resi accessibili anche al nuovo indirizzo http://labaia.org/, in questo modo aggirando entrambi i tipi di blocco. Hanno poi pubblicato un duro comunicato accusando l’Italia di fascismo; in effetti, abbiamo un Presidente del Consiglio che è anche proprietario del maggiore conglomerato mediatico del Paese, che ha appena fatto causa a Google e che ha soltanto da guadagnare dalla chiusura dei siti che permettono forme alternative di distribuzione dei media.
Il vero problema, però, è che nessuno capisce cosa sia successo dal punto di vista legale. La legge italiana permette alla polizia postale di obbligare i provider a censurare dei siti, ma soltanto in caso di pedopornografia o di gioco d’azzardo non autorizzato. In questo caso, l’unica ipotesi credibile pare che questo giudice abbia ordinato il sequestro preventivo del sito in quanto strumento per commettere reati; ma un sequestro è un provvedimento oppugnabile che va inviato al responsabile. In base a cosa il giudice possa sequestrare un sito obbligando dei terzi a renderlo inaccessibile sfugge a qualsiasi comprensione giuridica.
Inoltre, è chiaro che questo provvedimento danneggia anche gli utenti finali; milioni di utenti Internet italiani che improvvisamente si ritrovano privi della possibilità di accedere a un sito, pur pagando un regolare abbonamento a Internet, che dovrebbe permettere di accedere a qualsiasi sito della rete. Come è possibile per un utente difendere i propri diritti, contro un provvedimento che non si sa cosa dica, a chi sia indirizzato, dove sia stato emesso? Il giudice aveva il potere di ordinare questa censura, e in base a cosa? Se non ce l’aveva, ed è stata una libera iniziativa dei provider, come faccio a denunciare la violazione del contratto di accesso?
Insomma, ciò che lascia davvero scoraggiati è che non siamo nemmeno buoni a censurare i siti in modo ben organizzato; un giudice di Canicattì o di Roccaperetola si sveglia e decide che un sito deve essere cancellato dalla rete, senza alcun contraddittorio o verifica; dopodiché i provider un po’ alla spicciolata fanno quel che vogliono, alcuni censurano in un modo, altri nell’altro, altri non fanno proprio niente; dopo mezz’ora il blocco è aggirato e il mondo ci ride dietro; nel frattempo il cittadino resta lì, con la propria libertà di informazione offesa (almeno teoricamente) e senza saper bene che fare. Cinesi, insomma, ma all’italiana.
Cercheremo di capire meglio come possa stare in piedi (se lo sta, e ne dubito) questo misterioso provvedimento; nel frattempo, chiunque si trovasse il sito oscurato farebbe bene a scrivere al proprio provider e lamentarsi duramente. Non paghiamo certo l’abbonamento ADSL per lasciare che il nostro provider decida a piacimento cosa farci o non farci vedere; almeno su questo, è il caso di insistere.
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