Sky
Vittorio vb Bertola
Wandering on the Web since 1995

Thu 18 - 8:02
Hello, unidentified human being!
Italiano English Piemonteis
home
home
home
about me
about me
site help
site help
site news
site news
license
license
contact me
contact me
blog
near a tree [it]
near a tree [it]
old blogs
old blogs
personal
documents
documents
photos
photos
videos
videos
music
music
activities
net governance
net governance
town council
town council
software
software
help
howto
howto
internet faq
internet faq
usenet & faqs
usenet & faqs
stuff
piemonteis
piemonteis
conan
conan
mononoke hime
mononoke hime
ancient software
ancient software
biz
consultancy
consultancy
talks
talks
job placement
job placement
business angel
business angel
sites & software
sites & software
admin
login
login
your vb
your vb
register
register

Archivio per il giorno 29 Settembre 2008


lunedì 29 Settembre 2008, 15:13

Chi ha paura del mercato

In parecchi, in questi giorni, hanno stappato lo champagne per festeggiare la fine del libero mercato, dopo che il Presidente degli Stati Uniti ha contravvenuto a un secolo di liberismo chiedendo un pesante intervento statale per nazionalizzare le banche e le assicurazioni in crisi.

E’ indubbiamente vero che, a livello globale, il mercato sia fuori controllo: ad aziende e cupole finanziarie globali si contrappone un potere politico ancora diviso per nazioni, quindi incapace di imporre alcunché su scala mondiale. Le Nazioni Unite sono un timido dinosauro a cui le nazioni più importanti evitano accuratamente di dare alcun potere, specie in materie economiche; il WTO (che non fa nemmeno formalmente parte delle Nazioni Unite) è uno strumento dei paesi occidentali per imporre al resto del mondo le proprie condizioni commerciali, e nelle rare occasioni in cui decide contro un paese sviluppato le sue decisioni sono semplicemente ignorate.

E’ altrettanto indubbio che gli eccessi di questi vent’anni di capitalismo non più frenato dalla paura del comunismo abbiano dimostrato l’importanza di rimettere gli “animal spirits” un po’ sotto controllo, ed avere la possibilità di imporre regole al mercato per assicurarsi che tale strumento svolga la sua funzione – quella di ottimizzare gli scambi e quindi produrre ricchezza per tutti – e non venga invece manipolato al servizio di pochi.

Permettetemi però di esprimere qualche perplessità di fronte ai molti che stanno tentando di applicare questo ragionamento, valido per i paesi sviluppati, anche all’Italia. In Italia, infatti, il libero mercato non c’è e non c’è mai stato: abbiamo sempre avuto una economia pesantemente condizionata dalla politica e da poteri di vario genere, dalla Chiesa alle maggiori aziende, fino alle logge massoniche.

Per cinquant’anni, l’economia italiana è stata in gran parte in mano allo Stato, e per il resto nelle mani di un capitalismo familiare, dagli Agnelli in giù, che ha fatto molto per lo sviluppo del Paese, ma anche creato l’abitudine a scaricare sullo Stato le perdite e tenersi i profitti. Bene o male, comunque, era un sistema che stava in piedi; dopo il crollo del comunismo, però, siamo passati a una economia di mercato per finta, dove in realtà il potere politico è direttamente occupato dagli interessi finanziari, e dove i politici di tutti gli schieramenti si preoccupano soprattutto di passare pezzi di economia agli amici. E’ successo con Telecom, è successo con le banche, è successo con le autostrade, sta succedendo ora con Alitalia.

In Italia, insomma, il mercato non c’è mai stato; e prima di preoccuparci di rimetterlo sotto il controllo dello Stato, dovremmo preoccuparci di arrivare ad averne uno vero.

Purtroppo, la vedo dura: culturalmente, gli italiani sembrano del tutto impreparati a concetti come concorrenza, meritocrazia, rischio in proprio, o all’idea che a ogni spesa debba corrispondere un’entrata, e che un diritto di qualsiasi genere può esistere soltanto quando esistono in cassa i soldi per implementarlo. Questa impreparazione è peraltro una delle cause fondamentali della nostra crisi economica, che la rende strutturale e difficilmente reversibile.

Questo vale a tutti i livelli; per esempio, tempo fa ho discusso con un insigne professore universitario torinese sul fatto che l’Università, pur contando su ampi contributi pubblici, dovesse arrivare al pareggio di bilancio, se necessario con entrate da vendita di servizi, senza convincerlo; la sua idea era che “l’Università è importante, quindi lo Stato deve far saltare fuori i soldi in qualche modo”.

Più nel piccolo, bastano le solite lettere a Specchio dei Tempi: oggi c’è una che si lamenta che in un bar in orario serale ha pagato sette euro un chinotto anche se non ha consumato l’aperitivo, e il tavolo era sporco, e il cameriere era sgarbato. Ma non basterebbe cambiare locale? Perché si deve invocare che lo Stato-mamma vada a sorvegliare tutti i camerieri del Paese o stabilisca per decreto (come chiede un altro nei commenti) che è obbligatorio che i bar ti vendano il chinotto separatamente dal buffet anche in orario di apericena? Non ci si poteva lamentare direttamente col proprietario del locale, invece di stare zitti e poi scrivere a Specchio dei Tempi?

Purtroppo, pare che il mercato sia troppo difficile da sopportare per buona parte degli italiani: il mercato, infatti, è basato sulla responsabilità individuale di tutti coloro che vi partecipano, mentre ciò che sognano questi italiani è l’uomo forte che prende le redini della cosa pubblica e sistema tutto senza che loro debbano preoccuparsi di se stessi, del proprio futuro, della propria ricchezza. Così, poi, sapranno con chi prendersela quando piove.

[tags]economia, mercato, nazioni unite, wto, italia, piangioccioni[/tags]

divider
 
Creative Commons License
This site (C) 1995-2024 by Vittorio Bertola - Privacy and cookies information
Some rights reserved according to the Creative Commons Attribution - Non Commercial - Sharealike license
Attribution Noncommercial Sharealike