Moderazioni accidentali
Stamattina Specchio dei Tempi pubblica uno “speciale via Monte Ortigara”: ben due delle lettere odierne si lamentano del tratto di strada di fronte alla biblioteca civica.
Nella prima, una signora si lamenta di essere stata molestata da due ciclisti che percorrevano il marciapiede e le hanno chiesto di spostarsi; nella seconda, la lamentela è che durante le partite giovanili domenicali sui campi di calcio ci sono numerose auto parcheggiate in doppia fila e bisogna andare sulle tribune a chiedere di spostarle, e nonostante questo un vigile presente non è intervenuto.
E io ho pensato che in entrambi i casi le persone che si lamentano hanno formalmente ragione, ma che la cosa si sarebbe risolta molto più semplicemente con un po’ di cortesia e tolleranza reciproca; in fondo alla signora sarebbe costato poco fare un passo più in là e far passare le bici, invece di piazzarsi in mezzo al marciapiede come una giustiziera, e anche il dover perdere un minuto a farsi spostare una macchina può essere compensato da quando toccherà a noi scendere un attimo per una commissione veloce, e lasciare la macchina in doppia fila sarà magari l’unica alternativa allo spuzzettare in giro per venti minuti cercando un posto che non c’è. Certo questo non giustifica lo sfrecciare in bici sotto i portici o il mollare la macchina in mezzo alla strada per mezz’ora senza curarsene; ma, appunto, est modus in rebus.
Pensavo a queste cose quando, poco fa, stavo guidando su corso Ferrucci per tornare in ufficio. Sono arrivato all’incrocio con via Monginevro, dove volevo girare a sinistra per prendere da mangiare nella piazzetta. Mi sono accodato a una lunga fila di auto in attesa di svoltare; in cima c’era una macchinetta, che poi ho scoperto guidata da un vecchietto, cosa peraltro intuibile perché si era fermata per storto proprio all’inizio dell’incrocio, costringendo il furgone e le auto che la seguivano a restare molto indietro.
Il vecchietto pareva del tutto addormentato: non ha girato anche quando dall’altra parte non è arrivato più nessuno, e non ha accennato a muoversi nemmeno quando il semaforo è diventato giallo. A quel punto ho capito che non ce l’avrei mai fatta a girare; per cui, sfruttando l’assenza di auto in arrivo, mi sono spostato e ho cominciato a superare sulla destra la fila di veicoli fermi, per poi girare più avanti e parallelamente a loro.
Peccato che il furgone che stava un paio di auto davanti a me, spazientito dall’abulia del primo della fila, abbia avuto la stessa idea e abbia cercato di spostarsi sulla destra esattamente mentre io lo sorpassavo. Andavamo entrambi piuttosto piano, io ho suonato il clacson e il furgone ha subito inchiodato; ma ci siamo toccati.
A questo punto abbiamo accostato, siamo scesi, e il signore del furgone si è subito scusato. La situazione era dubbia; tecnicamente io avevo ragione, ma fino a un certo punto, visto che stavo sorpassando a destra la fila di auto in svolta (cosa permessa) ma anche che il semaforo era già diventato rosso e che io comunque volevo poi svoltare a sinistra davanti a loro. Il signore però non ha provato né a scaricare la colpa, né a lamentarsi; abbiamo guardato il danno, che consiste in un rotondo incavo nella carrozzeria all’altezza della ruota, dal lato del guidatore, tra la fine della porta davanti e la ruota stessa. L’incavo è visibile e innegabile, ma non più di questo; se non lo si va a cercare, probabilmente non lo si nota.
Insomma, il signore mi ha detto che se volevo mi dava i dati e facevamo la denuncia. Io ci ho pensato; avendo ragione, avrei potuto rifarmi gratis la parte bassa del davanti, compreso il paraurti che già ha graffi e sbugnature. Però il danno era davvero minimo, e io ho ripensato alle considerazioni della mattina. Una città è un luogo sovraffollato, dove siamo tutti di corsa; di manovre così ne facciamo a bizzeffe; sarebbe potuto succedere anche a me. Quindi mi sono limitato a prendere i dati, in caso di necessità , ma poi ho lasciato perdere.
E’ un periodo in cui c’è una evidente e sempre più folle tendenza a giudicare per categorie e per preconcetti, attribuendo ragione e torto con tanta prontezza quanta approssimazione. Questo vale per episodi clamorosi come il ragazzo nero ucciso a Milano, dove pare che la vittima avesse prima rubato nel negozio degli uccisori e che la rissa sia iniziata per questo, e dove alcune testimonianze suggeriscono persino che sia stato lui il primo a menare le mani, o che sia morto per un singolo colpo sferrato durante la colluttazione, e insomma non si capisce ancora bene chi abbia fatto cosa e perché, ma per mezza Italia è già diventato un episodio di razzismo e di “caccia di gruppo al nero con le spranghe”. Ma vale anche per piccoli casi di cronaca come questo, intitolato “Ventenne travolto da ubriaco”, dove come al solito i parenti della vittima parlano di “giustizia”, e però poi nel testo dell’articolo si scopre che l’“investitore” era sì ubriaco, ma fermo in attesa di girare a sinistra, e il “ventenne travolto” gli è arrivato dentro da dietro ad alta velocità .
Alla fine, persino quando c’è una ragione e c’è un torto, sono pochi i casi in cui chi ha torto ha anche mostrato cattiveria, supponenza, cattiva fede. Eppure, in un clima di frustrazione generale, è più facile per tutti se al torto si associa automaticamente la dannazione assoluta. Purtroppo, però, questo non facilita la convivenza.
[tags]torino, incidenti, giustizia[/tags]
16 Settembre 2008, 17:59
Sottoscrivo.
Capiti a fagiolo: da due giorni sto scambiando mail con il mio (ex) capitano per un’incomprensione. Io ho ammesso la mia parte di colpa, da lui arrivano solo insulti ed offese (risposte poche e solitamente contraddittorie… per quanto io cerchi di rimanere nel civile ogni tanto mi esce qualche ironia nei suoi confronti. Che faccio? Lo meno? :-D ).
Anyway, nei rapporti tra persone è necessaria un po’ di comprensione reciproca altrimenti siamo alla guerra; purtroppo attualmente c’è grosso egoismo e la gente è sempre meno disposta a cedere la propria porzione di terreno per un compromesso.
16 Settembre 2008, 19:05
Bravo! Bene! Esatto.. quoto pienamente. Anche se probabilmente questa tua extratolleranza e’ un residuo del viaggio in Africa. Pero’ e’ cosi’ che bisognerebbe convivere, visto i formicai in cui ci hanno abituati. Ma ora ho poco tempo, e prometto che approfondiro’ questa questione successivamente.
16 Settembre 2008, 21:54
Un po’ di tolleranza va bene e serve sempre, ma è difficile mettere un limite se si deve usare il buon senso. Io non lascio mai la macchina in seconda fila per principio e rispetto per gli altri, perché devo accettare che altri lo facciano liberamente?
Ti racconto una caso: un mio amico di ritorno dalla Svizzera raccontava scandalizzato il caso avvenuto a una signora italiana che ha lasciato la macchina in seconda fila con le frecce accese per na breve commissione in banca. Al ritorno (pochi minuti pare) ha trovato DUE multe per divieto di sosta e per uso scorretto delle luci di emergenza (non sapevo neanche ci fosse questa infrazione).
Io vorrei vivere in un paese così, perché se tutti lasciassimo la macchina in seconda fila non si circolerebbe più.
17 Settembre 2008, 11:01
Stefano: il motivo per cui le cose funzionano nei paesi civilizzati è
17 Settembre 2008, 12:20
In the Castle of AAAARGHHHH!
17 Settembre 2008, 12:48
La tolleranza è sicuramente una qualità nei rapporti sociali soprattutto in quelle realtà urbane che tanto sembrano esasperare i nostri comportamenti.
Non capisco però come possa condizionare la valutazione di un comportamento criminale come quello di un omicidio volontario.
Dato per scontato che sarà il magistrato inquirente a stabilire un rinvio a giudizio e per quale reato,
non vorrei che dietro la tolleranza si nascondesse una qualsiasi forma di solidarietà “giustificazionista” nei confronti di chi comunque è responsabile di un omicidio volontario o preterintenzionale che sia.
http://www.ansa.it/opencms/export/site/notizie/rubriche/altrenotizie/visualizza_new.html_762346170.html
17 Settembre 2008, 13:42
Mi spiego: in quel caso non è tanto questione di tolleranza (che comunque è limitata, certo non si applica all’omicidio e comunque anche nel mio caso, se il danno fosse stato rilevante, avrei simpatizzato ma fatto la denuncia) quanto di comprensione reciproca, ovvero di “capacità di mettersi nei panni dell’altro”. Persino quando questi panni sono spregevoli, si scopre che difficilmente la storia vista dall’altro coincide con le schematizzazioni assolute che invece vanno per la maggiore, cioè appunto “caccia al nero” e “guidatori ubriachi assassini”. Questo passaggio è essenziale per capire la realtà e quindi per poterla affrontare, perché se invece ci si limita a ricondurre le cose a schemi preconcetti il risultato è l’incapacità di affrontare i problemi di ognuno in modo efficace, e quindi di permettere una convivenza civile.
17 Settembre 2008, 19:06
Considero la sua spiegazione assolutamente condivisibile.
Non so se le sia mai capitato di assistere a un dibattimento giudiziario. Ecco in quell’aula spesso il “mostro” di turno torna ad assumere le semplici sembianze di un umano fallace.
Come ognuno di noi.