Mi succede, in genere, di arrivare qui a scrivere un post con opinioni chiare e spiegazioni sperabilmente lucide. In questi giorni, invece, c’è un argomento su cui continuo a riflettere e però resto confuso. Si parla infatti tanto di debiti, di crolli di Borsa, di soldi bruciati, e io ancora non riesco bene a capire: ma cosa sono questi debiti?
Noi abbiamo un concetto di debito spicciolo estremamente chiaro: debito è quando mi faccio dare dei soldi che non ho, con i quali faccio un acquisto, in cambio della promessa di restituire i soldi in futuro. E’ quindi un modo di drogare la mia vita, cioè di permettermi di vivere al di sopra delle mie possibilità demandando al futuro il problema di guadagnare i soldi necessari.
Già questo primo punto ci fa capire l’insensatezza dei comuni sistemi finanziari, senza nemmeno dover arrivare ai future e agli swap: una cosa è un debito dovuto alla necessità di rateizzare, cioè al fatto che non ho i soldi tutti insieme e allora me li faccio dare subito e li restituisco un po’ alla volta, contando sul fatto che ogni mese, rispetto a ciò che mi serve per vivere, produco un surplus di ricchezza che posso dedicare a questo scopo. Una cosa è, invece, un debito contratto (o concesso da una banca) a fronte dell’evidente impossibilità di ripagarlo, cioè di una persona che non solo non ha garanzie di poter produrre un surplus di ricchezza su base stabile per dieci, venti o trent’anni, ma non lo produce nemmeno adesso. Cosa può spingere una banca, che di queste cose dovrebbe capirne, a dare un prestito a qualcuno che chiaramente non lo potrà mai ripagare?
C’è poi una seconda considerazione: istintivamente, noi consideriamo il debito come compensato dalla ricchezza che esso permette di comprare, visto che in generale nessuno prende a prestito dei soldi solo per tenerli lì. In altre parole, a un debito di X corrisponde un valore X di qualche cosa che io, con i soldi avuti a credito, andrò ad acquistare. Tutto questo debito che adesso affossa le banche, insomma, deve pur corrispondere a una ricchezza che è stata acquistata spendendolo; ma che ricchezza è, dov’è, da dove è venuta e dove è andata a finire?
Le banche, infatti, non prestano soldi loro; prestano i soldi che i clienti danarosi hanno loro affidato. Dunque, in termini pratici, si tratta di soldi che a qualcuno non servivano, e che sono andati a finire a chi non ne aveva, permettendo a quest’ultimo di comprarsi un’auto o una casa che altrimenti non si sarebbe potuto permettere. In un certo senso, è una misura di efficienza: si fanno circolare soldi che altrimenti resterebbero fermi. In un altro senso, è una misura di equità sociale: i ricchi finanziano gli acquisti dei poveri. Salvo, naturalmente, chiedergli poi indietro il doppio dei soldi o quasi.
Eppure, se c’era del denaro inutilizzato, esso a cosa corrisponde? A ricchezze immobilizzate? Già , perché il denaro nasce come “abbreviazione” per il baratto: invece di darti una capra ti do un foglio di carta che può essere scambiato con una capra. Ancora fino a pochi decenni fa, le banconote dovevano essere coperte da altrettanta quantità di oro depositato nei caveau della banca nazionale. Poi, però, si accorsero che la copertura non c’era più da tempo, e che tutta questa quantità di denaro che circolava non era coperta da niente, se non dal fatto che la gente accettava per qualche imperscrutabile motivo di scambiare una automobile – tonnellate di metallo, plastica, gomma, nonché di ingegnosità e abilità costruttiva – con qualche foglietto di carta colorata.
In altre parole, il denaro esiste solo perché ci crediamo: è una religione. Se appena smettiamo di crederci, come succede in questi giorni, il sistema ha una crisi. Se smettessimo di crederci sul serio, e ad esempio andassimo a ritirare i nostri soldi per poi convertirli tutti in beni tangibili, il sistema esploderebbe.
Ed esploderebbe soprattutto perché ho la netta sensazione che non ci sarebbero affatto abbastanza beni tangibili da corrispondere alla quantità di denaro (e quindi, istintivamente, di ricchezza) che noi pensiamo di possedere.
Questo deriva, in parte, dal fatto che la nostra economia si è smaterializzata: sempre di più, i beni e i servizi che acquistiamo sono immateriali, dunque non tangibili, non effettivamente esistenti, legati soltanto al valore che noi attribuiamo loro nella nostra mente. Che però, da un momento all’altro, potrebbe sparire, anche perché i soldi in playstation, musica e vestiti griffati si spendono quando ci sono, ma non quando scarseggiano (in realtà è provato che nelle case popolari si taglia la carne dal menu ma non si vive senza Sky, però i consumi materiali, a differenza di quelli immateriali, non si possono comunque comprimere all’infinito: oltre un certo livello di crisi, si è forzati a tagliare i consumi immateriali).
In parte, però, questo deriva da meccanismi finanziari di base che non funzionano, che non possono venire spinti all’infinito, e che invece vengono esasperati. Il sistema, infatti, si autoalimenta: di fronte ai debiti – siano essi di un individuo, di una banca, di uno Stato – la soluzione è fare altri debiti per un importo ancora maggiore. Questo meccanismo, però, non mi sembra del tutto involontario né casuale.
Sarà pur vero che, in questi anni, le banche hanno cominciato a vedere nei clienti chiaramente insolvibili un modo per fare comunque utili; d’altra parte, se il denaro circolante e il debito circolante non corrispondono più alla ricchezza effettiva, il fatto che il capitale prestato non venga mai restituito e venga coperto con ulteriori debiti non costituisce un problema: non corrisponderà a ricchezza, ma corrisponde a ricchezza finta depositata nelle banche da ricchi parzialmente finti a cui, per fortuna del sistema bancario, non viene in mente di prelevarla.
C’è però un’altra considerazione più inquietante: il debito inestinguibile di un individuo costituisce il modo migliore di tenerlo sotto controllo, se non addirittura in schiavitù. La persona sarà costretta ad obbedire, lavorare, guadagnare a qualsiasi condizione, pur di non perdere la possibilità di pagare i propri debiti e allo stesso tempo di vivere al di sopra delle proprie possibilità .
Peraltro, questa vita “al di sopra” raramente si esplica in ricchezza vera, perché in genere il denaro preso a credito va a soddisfare bisogni indotti artificialmente mediante il marketing e la pubblicità , spesso tramite la vendita di prodotti immateriali e dunque finti, o meglio in cui il costo materiale di produzione è solo una minima frazione del prezzo di vendita, e il margine è elevatissimo. In pratica, io sistema industriale ti presto 100, che però tu spendi in qualcosa che a me costa 10, per cui alla fine io ho riavuto indietro i miei 100, ho speso 10, e vanto nei tuoi confronti ancora un credito di 100: una rendita del 90% per ogni ciclo di debito e spesa. Tu, in compenso, sei indebitato a vita; e anche se non mi restituirai mai buona parte del capitale, io avrò lo stesso guadagnato ampiamente, e in più ti tengo sotto controllo.
La questione diventa ancora più inquietante quando provate ad applicare lo stesso sistema agli Stati: già , perché tutti gli Stati del mondo sono in debito… ma perché, e con chi, e a quale scopo? Questa condizione di debito perenne della collettività , se ci pensate, è inspiegabile: come è possibile che non esista neanche uno Stato in credito, senza debiti e con le casse piene? Questa è un’altra domanda inquietante a cui mi piacerebbe tanto trovare risposta: ma per oggi credo che basti così. Per domani, dipende se il nostro sistema economico esisterà ancora.
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