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Archivio per il mese di Dicembre 2008


domenica 21 Dicembre 2008, 14:29

Qualità DVD

Ieri sera eravamo in casa, e per trascorrere la serata abbiamo deciso di guardare un DVD; così ho tirato fuori il DVD originale, acquistato mesi fa al supermercato a prezzo stracciato, di 8 Mile (un film grandemente sottovalutato, probabilmente per l’idea snob di molti che un film sull’hip-hop con Eminem non possa essere bello; in realtà, raramente ho visto immagini così ben fatte sul degrado abissale delle periferie americane e sulla difficile scelta tra i propri sogni e lo squallore della realtà).

Bene, naturalmente dopo aver inserito il DVD ho dovuto subirmi le immancabili scritte antipirateria; poi dieci secondi di logo animato della Universal; poi loghi e presentazioni degli altri produttori del film; poi quindici secondi di menu animato, prima che potessi arrivare a fare qualcosa. Ho selezionato la lingua del menu tra “inglese” e “italiano”, al che è partita una ulteriore animazione, consistente in una fotografia che lentamente veniva spostata per lo schermo; dal menu che è infine apparso ho selezionato l’opzione per la configurazione audio; ho aspettato un altro cambio di menu; ho selezionato “DTS”; è comparsa una lunga schermata scritta da un avvocato che mi spiegava cos’è il DTS e mi chiedeva conferma, rifiutando esplicitamente ogni responsabilità nel caso in cui avessi attivato il DTS senza avere un amplificatore compatibile. Dopo aver confermato, è partito un filmato di trenta secondi, con immagini di pianoforte e altri strumenti, per mostrarmi il logo DTS e specificare che è un marchio registrato. Dopodiché è ripartito il menu animato di prima, e ho dovuto aspettare altri quindici secondi, per poi rivedere i loghi dei produttori e finalmente arrivare al film.

In pratica, da quando ho messo il lettore nel DVD a quando sono riuscito a vedere le prime immagini saranno passati tre o quattro minuti di immagini inutili e impossibili da saltare, in quanto il pulsante “avanti” era stato disabilitato. Ah, e alla fine del film è ricomparso il messaggio antipirateria, però in cecoslovacco; si sa mai, avessi avuto un ospite ceco in casa che voleva copiare il DVD…

Conclusione: la prossima volta lo scarico dal peer-to-peer, oltre ad essere gratis funziona pure meglio.

[tags]dvd, pirateria, film, download, eminem, 8 mile[/tags]

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sabato 20 Dicembre 2008, 17:39

L’acconto

Ieri mattina mi arriva una mail dal commercialista, che insieme agli auguri mi dice: guardi che entro il 29 dicembre deve pagare l’acconto IVA, le allego i conti. Apro e scopro che sono diverse centinaia di euro: quindi strabuzzo gli occhi e chiedo spiegazioni.

Già, perché va detto che l’IVA non è come l’IRPEF, per cui è normale avere un acconto. L’IRPEF è una tassa annuale, il cui ammontare può essere calcolato soltanto ben dopo la fine dell’anno a cui si riferisce; di fatto, è una tassa il cui debito con lo Stato concettualmente si forma man mano che ti entrano dei ricavi, ma che per forza di cose pagherai tutta con ritardo. A questo punto, mi sembra accettabile che lo Stato ti chieda già durante l’anno in questione un acconto, visto che tu comunque stai guadagnando e che alla fine dell’anno comunque dovrai pagare una cifra consistente; ha senso cominciare a pagarla durante l’anno e poi, alla scadenza, fare soltanto un aggiustamento. (Ha meno senso che l’acconto arrivi ad essere qualcosa come il 99% delle tasse dell’anno precedente, in modo che se per caso il tuo reddito scende tu vada a credito e debba poi aspettare un rimborso per anni e anni.)

Il problema è che questo discorso non vale per l’IVA: l’IVA è una partita di giro che ogni mese o ogni trimestre, a seconda della formula scelta, tu incassi dai clienti e subito versi allo Stato. Anzi, non è nemmeno così: la realtà è che tu emetti fatture che incasserai generalmente dopo tre, quattro, talvolta sei mesi, ma entro il 16 del mese successivo sei obbligato ad anticipare l’IVA allo Stato, e se per caso il cliente scappa senza pagare tu hai già anticipato dei soldi che non vedrai mai, se non compensando con anni di ritardo. (A fronte di questo, lo Stato ha persino il coraggio di obbligarti a pagare a fondo perduto l’1% di “interesse” se scegli l’IVA trimestrale: in pratica, siccome con l’IVA trimestrale mediamente trascorreranno 60 giorni invece di 30 tra la data della fattura e la data del pagamento IVA, per questo mese extra lo Stato pretende un interesse del 12,7% annuo, sempre su soldi che tu comunque non hai ancora incassato!)

Dunque, a fronte di una tassa che è una partita di giro, che senso ha chiedere un acconto? Acconto di cosa, esattamente? Perché è vero che a maggio, insieme alla dichiarazione annuale IRPEF, si fa anche una dichiarazione annuale IVA per chiudere i conti, ma se hai sempre fatto le cose regolarmente e non ci sono stati casini contabili il saldo da pagare è ovviamente zero. Se ti chiedessero un acconto basato sulla dichiarazione annuale IVA dell’anno precedente, come avviene per l’IRPEF, qualsiasi percentuale di acconto tenderebbe comunque a risultare zero.

Siccome però lo Stato ha continuamente bisogno di soldi, già dal 2001 ha introdotto questa meraviglia: in pratica, senza alcun motivo logico, a dicembre sei obbligato a pagare l’88% dell’IVA del dicembre o dell’ultimo trimestre dell’anno precedente, così, solo per dare un po’ di soldi allo Stato; soldi di cui poi potrai richiedere rimborso o compensazione una volta fatta la dichiarazione annuale diversi mesi dopo. E qui notate la maligna perversione: tradizionalmente, dicembre è un mese dove si fattura molto più della media, perché – come è successo a me l’anno scorso – si chiudono i conti di progetti e servizi annuali e magari ci scappa anche qualche bonus di fine anno per chi ha collaborazioni regolari (come? chi ha collaborazioni regolari dovrebbe essere assunto e non lavorare a partita IVA? grazie per la battuta). Di conseguenza, non solo chi lavora a partita IVA a Natale invece di ricevere la tredicesima la paga allo Stato, anticipando una consistente cifra di IVA su fatture di fine anno che mediamente incasserà ad aprile-maggio dell’anno dopo, ma dovrà rianticiparla una seconda volta l’anno dopo.

Tutto questo è pensato dando per scontato che chi lavora come libero professionista navighi nell’oro e possa venire spremuto come un bancomat ogni volta che vien voglia. Peccato che al giorno d’oggi la maggior parte dei “liberi professionisti” – in Italia, si dice, le partite IVA individuali sono ormai quasi dieci milioni, con un boom incredibile negli ultimi vent’anni – siano giovani precari dai redditi bassi, generalmente dipendenti travestiti da libero professionista.

E’ per questo che l’odio per il fisco e per lo Stato provocato dai loro atteggiamenti vessatori – odio che un tempo era limitato ai “padroni”, che si lamentavano ma intanto erano dotati di commercialisti maestri nell’elusione, e per questo era liquidato dal resto del Paese come “ma è giusto così tanto sono evasori e pieni di soldi” – ormai si espande a macchia d’olio dentro classi nuove, tra i figli trentenni della piccola borghesia, tra i giovani che un tempo sarebbero stati operai e ora sono operai delle aziende dell’informazione e invece di votare a sinistra, dopo aver pagato l’ennesimo acconto fiscale a fronte dello sfascio generale, votano Lega.

Io fossi nello Stato ci starei attento, perché qualsiasi azienda sa che, facendo regolarmente arrabbiare i propri clienti, prima o poi questi smettono di pagare; e dopo tutti questi acconti verrà un giorno la resa dei conti.

[tags]tasse, fisco, iva, acconto, precari, partite iva, professionisti[/tags]

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venerdì 19 Dicembre 2008, 15:03

New economy

Ne ho saltati alcuni, perché insomma, ormai il sito lo conoscete e non devo mica imboccarvi sempre io. Questo video, però, lo bloggo e mi tiro giù il cappello: a questi concetti – alla necessità di una società regolata stocasticamente anziché deterministicamente, all’insostenibilità del nostro modello economico, all’insopportabile avanzata dell’autismo digitale – ci siamo arrivati in molti, ma non è facile riuscire a parlarne su Youtube con un linguaggio visivo innovativo, sperimentale e postmoderno. Se tutti i nostri festival di cinema non fossero impegnati a premiare i cugini degli amici, magari qualcuno se ne accorgerebbe anche.

[tags]economia, società, crisi[/tags]

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giovedì 18 Dicembre 2008, 12:58

Carriera

Una delle cose più divertenti dell’ascoltare regolarmente Radio Flash è il fatto che, ogni tot di tempo, passano le notizie e le pubblicità del circuito Radio Popolare.

Radio Flash, infatti, è la radio della sinistra torinese, quella riformista e moderna (pure troppo, visto che la casa madre Hiroshima Mon Amour è in pole position tra gli ammanicati per ricevere fondi pubblici quando ci sono da organizzare eventi musicali, e che la costruzione del loro nuovo fiore all’occhiello, il Teatro della Concordia di Venaria, fu bellamente appaltata alla famosa e onnipresente De-Ga). Su Radio Popolare, invece, circolano ancora le idee e gli slogan della sinistra tosta di un tempo: anticapitalista, antiamericana, antiberlusconiana talvolta al limite del ridicolo.

E così, sospesi da un pezzo i mitici spot dei Comunisti Italiani con Diliberto che parlava sopra un assolo di chitarra (si sa, bisogna attirare i giovani), circolano però con frequenza da mesi gli spot animalisti contro le pellicce, la caccia, la vivisezione e il consumo di carne. Di base, il rispetto degli animali è una pratica fondamentale su cui l’uomo ha ancora molto da fare; l’estremismo di questi spot, però, è da manuale, e, accompagnato a musiche drammatiche, testi lirici e richieste complicate (tipo “non scrivere sul modulo Unico il codice fiscale di un ente di ricerca che usa animali”), finisce spesso per generare risvolti involontariamente comici.

Quello che circola ora è relativo alla vivisezione degli animali, una pratica orribile che sarebbe da vietare completamente, salvo al massimo qualche caso estremo in cui è provatamente insostituibile a scopi sanitari. Lo spot, in un crescendo drammatico, arriva all’accusa più forte: queste ricerche (che “non sono scienza, ma vivisezione”) sono condotte “per interessi economici e di carriera”.

Che per la sinistra ortodossa l’economia sia il male è noto: in Italia, poi, si somma la doppia influenza dell’anticapitalismo marxista e della Chiesa Cattolica, per cui notoriamente il denaro è lo sterco del diavolo (il che spiega la discreta presenza al suo interno, oltre che di pedofili, anche di coprofili).

Qualche tempo fa, per esempio, ho conosciuto una persona di questo genere; spendendo la sua vita, con encomiabile impegno, tra un presidio anti-inceneritore e un gruppo d’acquisto solidale, mi disse che secondo lui bisogna smetterla di far lavorare la gente per le cattive multinazionali, nelle fabbriche, nei trasporti e in generale in attività economiche inquinanti, e farle invece lavorare per lo Stato, nella sanità, nell’assistenza agli anziani e ai lavori socialmente utili. Io, allora, ho provato ad obiettare che, a meno di grandi rivoluzioni nella nostra struttura sociale, magari necessarie ma non in vista a breve, i posti di lavoro pubblici esistono soltanto in quanto esiste una economia privata che genera utili, che possono essere tassati e rimpinguare le casse pubbliche; bene, questo discorso proprio non veniva capito. Si dava per scontato che esistesse da qualche parte una miniera di ricchi da tassare, naturalmente ladri perché nessuno può essersi arricchito onestamente e comunque la proprietà è un furto, e che tutti i problemi della società si potessero risolvere aumentando le tasse.

Per questo capisco che la frase “interessi economici” abbia una connotazione negativa così diffusa; ma perché devono essere negativi anche gli “interessi di carriera”?

E’ ovvio che ci siano nella nostra società fenomeni eticamente sbagliati, di persone che violano la legge o la morale pur di guadagnare di più, o che trascurano i propri cari per i propri obiettivi professionali (di solito queste ultime persone sono ampiamente punite dalla vita, anche quando riescono effettivamente a fare carriera). Ma perché deve essere sbagliato, tout court, il desiderio di fare carriera?

In pratica, siamo giunti in questi ambienti antagonisti al rifiuto puro e semplice del fare, del partecipare all’economia: il cittadino ideale è presumibilmente uno che sta seduto in un angolo a non far niente, anzi, a disprezzare quelli che pensano a sbattersi per migliorare la propria posizione, e di riflesso anche quella degli altri. Vive, immagino, grazie al “reddito di cittadinanza” o ad altri modi di ricevere del denaro grazie alla ricchezza prodotta da altri e senza doversi sporcare le mani.

Al di là della questione economica, però, è il rifiuto dell’aspirazione a una condizione personale migliore che fa spavento: perché è vero che questa aspirazione genera competizione, lotta, spesso infelicità e talvolta anche atti spregevoli, ma essa è da sempre il motore dell’evoluzione umana. Un sistema economico più umano, rovesciando le priorità collettive tra produzione e qualità della vita, è certamente necessario, ma non si può nemmeno pensare che la nostra società, con il suo livello di vita materiale così elevato, possa sopravvivere senza fatica e senza sbattimento.

[tags]economia, animalismo, sinistra, radio, pubblicità, vivisezione[/tags]

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mercoledì 17 Dicembre 2008, 13:52

Frigo

Alle volte, anche una frase è sufficiente per dire tante cose, per far capire qual è la mentalità che la genera e che non viene esplicitamente detta, ma traspare dai pensieri che vengono naturalmente a chi scrive e che si trasformano in testo.

La frase che oggi mi ha colpito è in questo articolo di cronaca de La Stampa, che racconta le vicissitudini dovute al maltempo sulle montagne coperte di neve. E’ indubbiamente vero che quest’anno – e direi, finalmente – abbiamo un inverno eccezionalmente nevoso: la stagione non è nemmeno cominciata e sulle montagne abbiamo già metri di neve.

E così, il giornalista scrive che in diverse zone montane del Cuneese sessantamila persone sono senza elettricità, col rischio di rimanervi per un paio di giorni. Senza corrente, prosegue, quei paesi “piombano in condizioni settecentesche. Anche per questo la domanda di generatori si è impennata, e chi ne ha uno benedice il momento in cui l’ha comprato. Se non altro salva la spesa, accumulata in frigo.”

Dunque, ho capito che ormai per molti la natura è un fattore estraneo ed ostile da cui difendersi (l’articolo è classificato in “l’assalto dell’inverno”, come se ce l’avesse con noi), ma analizziamo la situazione: tu sei in montagna, senza elettricità, bloccato in casa dalla neve. Il tuo drammatico problema è che il latte e la carne che hai in frigo andranno a male (e questa passiamogliela ancora, dato che si suppone che il riscaldamento, che sia via caminetto, via stufa o via caldaia a gasolio, non dipenda dall’elettricità; per il cibo, esistono le scorte; e per la luce esistono tuttora le candele). E la soluzione qual è?

Comprare un generatore di elettricità, presumibilmente a gasolio, un oggetto che fa un rumore e una puzza pazzeschi, per metterlo in funzione allegramente, grazie a carburante derivato dal petrolio che ha dovuto viaggiare per mezzo mondo per arrivare fino in Valle Maira, il tutto per alimentare il tuo frigo?

Quando il problema che stai cercando di risolvere è che fuori dalla finestra hai da uno a quattro metri di neve, che naturalmente – anche supponendo, cosa tutta da dimostrare, che la semplice temperatura ambiente all’esterno salga sopra i quattro gradi del frigorifero – al proprio interno garantisce una temperatura ben al di sotto di quella del frigo?

E tu non solo trovi questa geniale soluzione del generatore e del gasolio, ma ti freghi le mani tutto contento dicendo “guarda come son stato furbo, per fortuna che l’ho comprato”?

Io spero vivamente che la colpa di questa uscita sia di un giornalista cittadino: perché se veramente le nostre valli si stanno riempiendo di generatori a gasolio con cui, persino quella volta a decennio in cui manca l’elettricità, spendere soldi ed energia per raffreddare un metro cubo del proprio appartamento, rispetto alla calda temperatura interna generata spendendo contemporaneamente altri soldi ed energia, invece di infilare semplicemente un sacchetto con carne e uova dentro i due metri di neve che hai sul balcone o di mettertene una badilata nella vasca da bagno, mi pare che siamo decisamente alla follia.

[tags]clima, energia, montagna, generatori, petrolio, elettricità, frigorifero, maltempo, neve, cuneo, cuneesi, cuneesi geniali, uomini di mondo[/tags]

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martedì 16 Dicembre 2008, 11:47

Freesouls

Da qualche giorno è uscito Freesouls, il libro di ritratti fotografici di Joi Ito. Joi è ormai universalmente noto come uno dei massimi guru internazionali di Internet: inventore, investitore in praticamente qualsiasi startup di successo degli ultimi anni (che so, Flickr, Twitter, aziendine così) e promotore di molte delle grandi iniziative della rete, a partire da Creative Commons.

Quello che il mondo non sa – ma che voi affezionati lettori dovreste sapere, visto che ne avevamo già parlato – è che Joi è anche un ottimo fotografo: per questo ha pubblicato un libro con i ritratti di circa 250 grandi e piccoli personaggi della rete che ha incontrato in questi anni. Nel libro ci sono un po’ tutti, da Larry Lessig a Vint Cerf, da George Lucas a Gilberto Gil, da Jimbo Wales a Shawn Fanning. Ma non è tanto la fama dei personaggi ritratti (nonché gli annessi saggi da parte del gotha dei pensatori della rete) a rendere il libro interessante: è che sono proprio delle belle fotografie.

Poi bon, comunque la mia foto che c’è nel libro l’avete già vista, nel libro (credo – l’ho ordinato ma non l’ho ancora visto) è giustamente stampata in un angolino formato francobollo. Una parte di me, comunque, vorrebbe tirarsela; ma è prevalente la tristezza nel notare che gli italiani del libro sono solo tre – io, De Martin e Gaetano, che peraltro vive all’estero da decenni -, e questo dovrebbe far riflettere tutto quel circo di personaggi che sulla nostra rete si atteggiano a grandi guru dell’innovazione digitale, senza però aver mai avuto l’umiltà di andare a vedere cosa succede davvero nel mondo, né le capacità per avere un riconoscimento internazionale di qualche genere.

Io sarei solo contento se tanti altri dei nostri very important blogger, invece di chiacchierare all’infinito sui propri blog, si rimboccassero le maniche, venissero alle conferenze internazionali e riuscissero ad esporre qualche idea o qualche progetto innovativo e di valore assoluto, anziché una semplice ripetizione alla buona degli slogan che circolano in giro, talvolta senza averli nemmeno capiti. Ma è abitudine dell’Italia parlarsi addosso a lungo, spesso in modo interessato, e poi sparire quando i nodi vengono al pettine e c’è da dimostrar qualcosa.

[tags]fotografia, joi ito, freesouls, creative commons, internet, innovazione, blogger[/tags]

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lunedì 15 Dicembre 2008, 17:50

Porta Susa Sotterranea

Forse non ve ne sarete ancora accorti, perché ne ha parlato soltanto ieri sera il TG Regionale del Piemonte con un servizio, ma oggi è stata ufficialmente aperta la nuova stazione di Torino Porta Susa. Si tratta di un evento storico: è da venticinque anni che le Ferrovie, con i tempi biblici dello Stato italiano, lavorano alla realizzazione del passante ferroviario e della nuova stazione. Il servizio di ieri sera era piuttosto celebrativo, ma si è dimenticato di dire alcune cosette – per esempio, se tutti i treni ora fermano là sotto oppure no. Pertanto, oggi all’ora di pranzo, passando in zona, sono andato a fare un piccolo reportage.

Il risultato è stato scoprire che, come intuibile, la notizia dell’apertura è un tre quarti di bufala: al momento, la stazione è servita soltanto da nove treni al giorno, con destinazione Bra o Chieri; tutto il resto transita dalla stazione vecchia. Infatti, sono aperti soltanto i due binari 5 e 6, e soltanto in direzione Torino Lingotto; il resto del passante e della stazione è ancora da finire, e in certi casi proprio da costruire; anche dentro la parte aperta della stazione, incuranti degli scarsi passeggeri (ok, quando ero lì l’unico treno in un’ora era il regionale per Chieri delle 13:26), ci sono operai ovunque che montano piastrelle e sistemano cavi.

Sull’orario Trenitalia, comunque, la stazione viene indicata a parte, con nome Torino Porta Susa Sotterranea, o abbreviato Torino P.SS; potete quindi effettuare ricerche specifiche da o per essa, anche se generalmente vi verrà proposto di “cambiare” andando alla (normale) Porta Susa mediante “Percorso interno alla stazione”.

Anche solo arrivare alla stazione è difficile: sono aperti soltanto tre ingressi. Uno è identificato come “Ingresso C corso Inghilterra” e consiste in una scalinata (niente scala mobile) sul marciapiede di corso Inghilterra circa all’angolo di via Susa; il secondo, sempre sul marciapiede di corso Inghilterra, si chiama “Ingresso D corso Inghilterra” è circa all’altezza di via Duchessa Jolanda, verso via Grassi, e ha anche la scala mobile (solo in salita) e l’ascensore. Esiste infine un terzo ingresso, che rappresenta l’unica forma di comunicazione con il centro di Torino e con Porta Susa di superficie: si trova nel corridoio dell’ingresso D, dal lato opposto, dove una scaletta di una dozzina di gradini (segno che la stazione è davvero poco in profondità) sbuca direttamente all’estremità sud del marciapiede del binario 3 di Porta Susa, ben oltre la fine della pensilina. Grazie a questo trucco, le due stazioni sono intercomunicanti; ma l’unico modo che avete per sbucare in piazza XVIII Dicembre è riscendere nel sottopasso di Porta Susa vecchia e uscire di lì.

Comunque, sono riuscito a farmi un’idea della struttura della nuova stazione quando sarà completata. I marciapiedi (veramente lunghissimi) hanno l’estremità nord all’altezza del vecchio cavalcavia di Porta Susa, e l’estremità sud all’incrocio di corso Vittorio. Trasversalmente, a intervalli regolari, ci saranno quattro passaggi con le uscite: il D e il C sono già attivi, anche se il C è aperto solo dal lato di corso Inghilterra; il B e l’A sono ancora chiusi, e sul binario si vedono chiaramente pareti di cartongesso che bloccano gli accessi. Il B sarà all’altezza di via Cavalli, e sul marciapiede di corso Inghilterra, davanti all’ex Telecom, si vede lo sbocco già quasi completo; l’A sarà quasi all’angolo di corso Vittorio.

In verticale, la stazione è su due soli piani: quello dei binari, e quello del corridoio di accesso, il cui soffitto è a livello del terreno, e che ha un’altezza da parcheggio sotterraneo. Il tutto è veramente squallido: infatti, pensate che il corridoio C e il corridoio D non comunicano nemmeno – per andare da uno all’altro bisogna passare dai marciapiedi dei binari – e si tratta comunque di semplici passaggi, vuoti di tutto e claustrofobici (sono decisamente più bassi degli ingressi della metro). Dentro, non c’è assolutamente niente: non dico un bar o un’edicola, ma nemmeno cartelli, pubblicità, macchinette automatiche, cestini della spazzatura… in tutta la stazione non c’è nemmeno una toilette. Ci sono solo dei pannelli per gli orari, la maggior parte dei quali sono vuoti; e qualche sparsa obliteratrice (ai binari però, dove il cartello ne indicava la presenza, erano ancora da mettere). Se seguite le frecce per le biglietterie o per la stazione della metro vi ritrovate all’uscita sul binario 3, per andare alla vecchia stazione!

A livello binari, almeno, hanno cercato di ingentilire il tutto con grandi pannelli che riproducono foto delle bellezze di Torino, anche se diventeranno velocemente grigi e polverosi; l’insieme però mette davvero tristezza. Certo, è tutto provvisorio; al momento, di fatto, non ci sono nemmeno i treni e i passeggeri; soprattutto, il grosso della stazione – con gli spazi commerciali, le biglietterie, e il promesso tetto di vetro – si troverà tra gli ingressi A e B, cioè tra via Cavalli e corso Vittorio, ed è tutto ancora da costruire.

Le parti da costruire, però, sono ancora davvero troppe: mancano i primi quattro binari, e manca tutto il fabbricato viaggiatori vero e proprio. Manca il collegamento con la metro, e temo che l’apertura della fermata M1 Porta Susa sia tutt’altro che vicina: infatti, essa si trova dall’altro lato del passante, e per arrivarci bisognerebbe scavare il passaggio dove ora ci sono i binari tuttora attivi in superficie. Ho come il sospetto che prima debbano finire il passante a nord, permettendo di usare i binari sotterranei per tutte le direzioni; poi dovranno dismettere Porta Susa vecchia; poi potranno cominciare a scavare gli altri quattro binari della nuova stazione e l’area che si troverà sopra di essi, incluso l’accesso alla metropolitana e le uscite lato corso Bolzano. Insomma, campa cavallo.

In compenso, all’estremità nord della stazione il tunnel sembra già fatto, e si nota la forte pendenza con cui esso comincia a scendere, visto che sopra di esso ci deve stare la discesa del sottopasso stradale con cui corso Inghilterra eviterà piazza Statuto. Tuttavia, gli scavi sotto la Dora stanno finendo in questi giorni e non so quanto ci voglia ancora per aprire i binari 5 e 6 verso nord, anche solo in maniera provvisoria. Ricordo che la sistemazione definitiva prevede la costruzione di altre due stazioni sotterranee, Dora e Rebaudengo, prima che i binari riemergano all’altezza di corso Grosseto: se per aprire Porta Susa Sotterranea verso nord dobbiamo aspettare pure questo… campano intere generazioni di cavalli.

In breve, mi è chiaro che l’apertura di questi due binari ha due significati: il primo è una sperimentazione sulla pelle dei chieresi, scelti come cavie (il regionale delle 13:26, pur essendo l’unico treno in un’ora, è riuscito a partire con dieci minuti di ritardo); il secondo è poter dire, sotto Natale ed entro la fine dell’anno, che qualcosa si è mosso. Certo che se voi foste un pendolare di Chieri che arriva in stazione con la metropolitana, vi toccherebbe un percorso a ostacoli degno di miglior causa: scendete dalla metro, salite in superficie, aprite l’ombrello, arrivate a Porta Susa vecchia, chiudete l’ombrello, prendete il sottopassaggio, risalite dagli strettissimi gradini del binario 3, vi incamminate verso sud, riaprite l’ombrello, arrivate al nuovo ingresso, chiudete l’ombrello, fate il terzo sottopasso del percorso e scendete al binario… e tra l’altro, anche qui le scale mobili sono solo in salita e peraltro ancora quasi tutte ferme. In più, per poter attestare un po’ di treni nella nuova stazione, hanno ri-prolungato delle tracce orarie del Chieri-Rivarolo che in questi anni di lavori erano state interrotte tra Lingotto e Porta Susa, con risultati talvolta comici: come il treno che arriva da Chieri alla sotterranea alle 16:51 quando la sua prosecuzione per Rivarolo parte dalla superficie alle 16:50.

Chiudendo, vi lascio con un po’ di foto e con il filmino, ripreso da circa metà stazione e un po’ sfocato, del regionale che entra in stazione a passo di lumaca: il contrasto tra il trenino GTT e la lunghezza del tunnel, persino se appiattita dall’obiettivo, è stridente.

pss.jpg

[tags]torino, porta susa, sotterranea, passante ferroviario, ferrovie, treni, stazione, trenitalia, gtt[/tags]

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domenica 14 Dicembre 2008, 16:17

Regali di Natale

È passata abbastanza sotto silenzio, la decisione coordinata di Comune e Regione di destinare un milione di euro di contributi pubblici a fondo perduto per rifare facciate e decori di parecchi palazzi privati in San Salvario.

Ovviamente, La Stampa l’ha presentata come una grande idea, ma è invece il solito copione: i nostri amministratori scelgono arbitrariamente dei privati a cui regalare dei soldi. Qui, poi, la cosa è ancora più odiosa, perché ad essere premiati con il regalo sono proprio quei privati che sono venuti meno al proprio dovere, a cui centinaia di migliaia di torinesi adempiono regolarmente con i propri soldi, di mantenere il decoro esterno della casa di loro proprietà. Insomma, è l’ennesimo premio a chi si è comportato peggio, abitudine culturale a cui la nostra ex sinistra (adesso non si sa bene che sia) non sembra proprio voler rinunciare.

Ma c’è di peggio: infatti, molte delle case di San Salvario sono di proprietà di individui senza scrupoli, che li affittano a caro prezzo, spesso in nero, ad immigrati anche irregolari, magari pigiati in sei in una stanza. Nell’articolo non si specifica quali siano esattamente le case in questione, ma si parla genericamente di un meccanismo per evitare il problema: “Ai proprietari andrà il massimo dell’aiuto economico, a chi specula sfruttando il degrado e l’emarginazione affittando tuguri alle fasce più deboli non arriverà un soldo”, dice l’assessore Ilda Curti. Peccato che questa frase non abbia alcun senso, visto che “chi specula sfruttando il degrado” è anch’esso un proprietario, altrimenti non potrebbe farlo; e quindi, non si capisce cosa succederà.

Resta il dubbio fondamentale: in genere, chi lascia andare un palazzo al totale degrado non è chi ci abita, ma chi affitta gli alloggi solo per soldi e cercando di massimizzare il profitto; è naturale quindi attendersi che i palazzi più degradati siano proprio quelli di chi specula affittando agli immigrati.

C’è però un dubbio ancora più serio: da anni, a Torino, si dice che la famosa De-Ga – l’azienda edile di cui abbiamo parlato in passato per aver ricevuto appalti pubblici privilegiati – abbia fatto i soldi acquistando vent’anni fa moltissimi alloggi nella zona del quadrilatero romano, proprio prima che l’allora sindaco Castellani – parente di uno dei soci della De-Ga – investisse abbondanti soldi pubblici nella riqualificazione della zona, facendo schizzare il valore degli alloggi stessi.

Bene, come toglierci allora il dubbio che qualche società di amici degli amici dell’attuale cupola cittadina abbia fatto incetta di alloggi a San Salvario in questi anni, in attesa dell’inevitabile gentrificazione dell’area, sostenuta con i soldi di tutti?

In generale, ha senso, davanti a un mercato immobiliare che per moltissime persone determina il valore di una parte preponderante del proprio patrimonio, che gli amministratori pubblici investano del denaro (non loro, ma nostro) a favore di certe aree e non invece di altre, al punto da sostituirsi a spese che sono per definizione di competenza dei proprietari?

[tags]torino, san salvario, riqualificazione, de-ga, contributi, politica[/tags]

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sabato 13 Dicembre 2008, 11:06

Lascia stare i boh

Visto che oggi è sabato e non ci legge nessuno, possiamo dedicare un post a uno degli argomenti più tabù che ci siano in Italia: la pedofilia nella Chiesa Cattolica.

L’occasione viene dall’articolo di cronaca de La Stampa che riporta a grandi lettere “SCAGIONATI”, a proposito di quattro preti accusati di molestie e pedofilia da parte di un loro ex allievo (da ragazzino) e poi ex prostituto a ore. L’articolo è un capolavoro di “informazione” all’italiana, di mezze verità e di giri di parole.

L’accusatore è Salvatore Costa, un ventiquattrenne che, buttato fuori di casa a quattordici anni, fu accolto dai preti; poi mise su famiglia, cominciò a guadagnare prostituendosi con uomini e per arrotondare ricattò questi preti. Quando fu arrestato per estorsione, rispose con le accuse di essere stato violentato da due preti sin da ragazzo, giustificando così anche la propria asocialità.

I primi tre paragrafi sono dedicati a buttare fango sull’accusatore (che peraltro, oggettivamente, deve essere un tipo poco raccomandabile): se ne scrivono di tutti i colori, cioé che si contraddice, che è un ricattatore professionista, che sembra uscire dai Miserabili di Victor Hugo, che è un irresponsabile e un questuante regolare. Probabilmente è tutto vero, ma in mezzo a questo viene nascosta la seguente, splendida frase, abilmente interrotta da un punto a capo:

Circostanze che hanno reso incerto che allora Costa fosse, in ogni caso, ancora minorenne. La procura non ha ritenuto di chiederne il processo anche per calunnia. E pure questo è un fatto significativo.

Vuol dire che Costa non è stato ritenuto sufficientemente credibile perché l’inchiesta nei confronti dei sacerdoti procedesse.”

In pratica, si dice, cercando di non farlo notare, che una delle ragioni per l’archiviazione è che non si è certi del fatto che gli eventuali rapporti siano avvenuti quando l’accusatore era ancora minorenne e costituiscano quindi un reato, visto che, in sé, la prostituzione omosessuale tra maggiorenni consenzienti è assolutamente legale. Insomma, scagionati, archiviati, ma non è detto che sia perché i rapporti sessuali in questione non siano mai avvenuti: l’articolo non ce lo dice.

In più, si dice anche un’altra cosa: che Costa non è stato denunciato per calunnia, e questo “è un fatto significativo”. Perché? Beh, perché se le sue accuse fossero state palesemente false, allora egli sarebbe incorso nel reato di calunnia, che avviene quando qualcuno davanti ai giudici “incolpa di un reato taluno che egli sa innocente, ovvero simula a carico di lui le tracce di un reato” (art. 368 del codice penale). Se non c’è stato nemmeno il dubbio della calunnia, vuol dire che certamente Costa non ha inventato niente, che le cose che ha raccontato di aver vissuto sono vere; se mai, non costituiscono reato.

E invece, cosa scrive l’articolo? L’esatto opposto: “vuol dire che Costa non è stato ritenuto sufficientemente credibile”! Io ci ho pensato un po’, e poi ho capito: quel “vuol dire”, grazie al punto a capo, non è riferito alla frase precedente, ma a tutto il paragrafo, che racconta dell’archiviazione: quindi “l’archiviazione vuol dire”, mentre cosa voglia dire la mancata denuncia per calunnia non ce lo spiegano. Eppure, messo così, è fatto ad arte in modo da confondere le idee a proposito della mancata denuncia.

Se continuate a leggere, infatti, cominciate a scoprire alcune cosette che l’articolista non può non dirvi. Si parte dal primo prete, che ha ammesso “qualche abbraccio e carezza”, e subito si precisa che la cosa è confermata dall’accusatore e che non si è mai andati oltre; seguono poi due parametri per dimostrare che, comunque, la Chiesa ha già punito abbastanza quegli abbracci.

Del secondo, l’ex economo del Valsalice, ci dicono per prima cosa che è stato già trasferito a Roma, sempre per mettere bene in chiaro che il Vaticano non tollera queste devianze (da cosa, poi?). Solo dopo, stabilita la scomunica, ci spiegano che il sacerdote ha dichiarato apertamente di essere gay e di frequentare regolarmente prostituti a pagamento, ovviamente adulti. Ci dicono chiaramente che non è reato (strano, visto come i giornali trattano normalmente i gay, facendo sembrare reato anche solo girare senza maglietta su un carro allegorico) e che il fatto che abbia dato soldi e trovato lavoro a Costa “non vuol dire nulla” e non prova che ci sia mai andato a letto. A me, peraltro, questo prete che ammette le cose sta già simpatico, effettivamente non commette reati e perlomeno ha il coraggio di vivere la propria sessualità: in un ambiente pieno di sessuofobi non deve essere facile.

L’ultimo prete è quello che avrebbe violentato Costa da ragazzo; la procura ha indagato “con scrupolo” e ha provato che le date non tornano, e il prete non era a Moncalieri quando diceva Costa. Ovviamente non ci viene detto se sia che la violenza non è mai avvenuta, oppure che Costa ha indicato il prete sbagliato e non si sa chi sia quello vero.

Comunque, tutto a posto? No, perché proprio a questo punto, quando la maggior parte dei lettori ha già smesso di leggere da un pezzo, arrivano le ultime due righe, riferite a questo prete: “Nel suo computer erano passate immagini pedopornografiche. Un’accusa in più, anch’essa da archiviare: «Non è pacifico che la sola visione integri il reato».”

Scusa? Chiaro che qualcosa bisognava dire: tutti i giornali avevano messo in risalto, all’epoca, il reperimento di immagini pedofile sul PC di questo prete. E quindi, che ci dice La Stampa? Che era solo “un’accusa in più” (in mezzo a tutti i vaneggiamenti ricattatori di questo ragazzo, che però non sono calunniosi) e che era da archiviare perché… sì, il prete aveva l’hard disk pieno di immagini pedopornografiche, e le guardava regolarmente, immagino seduto sul divano fumandosi un sigaro, così per passatempo. Ma “non è pacifico” che il fatto di possedere e guardare immagini pedopornografiche sia un reato.

Alla buon’ora: personalmente, sono perfettamente d’accordo che guardare una immagine, di qualsiasi genere essa sia, non dovrebbe essere reato. Ma siamo nel Paese dove la Polizia Postale, mediante un semplice fax, può ordinare a tutti i provider di censurare un sito che non dico mostri queste immagini, ma addirittura parli della pedopornografia in termini non esclusivamente censori; nel Paese dove il semplice fatto che una bambina di pochi anni contragga una malattia sessuale simile a quella del padre è sufficiente per spezzare la famiglia, mandare madre e bimba in comunità e mettere lui sotto processo, anche se poi dopo anni si scopre che era soltanto colpa di un asciugamano condiviso. E poi mi venite a dire che potrei riempirmi il computer di pedofilia e pure guardarla regolarmente senza commettere alcun reato? Me lo segno, e la prossima volta lo dico a Vulpiani

Il problema della pedofilia è ovviamente gravissimo, ma attorno ad esso c’è una chiara isteria, fomentata da persone che “amano” i bambini (in genere senza averne) così come altri “amano” i cani, la Madonna, Ronaldinho, Tiziano Ferro o qualsiasi altra persona o categoria possa diventare un oggetto d’amore lontano, idealizzabile e privo di volontà indipendente, tale da soddisfare il nostro senso di incompletezza. Tuttavia, quando si passa a parlare di preti – e di preti pedofili, nonostante i media ne parlino il meno possibile, ne saltano fuori continuamente – magicamente tutto questo non è più un problema; anzi, bisogna essere comprensivi e garantisti ad oltranza.

Per fortuna, la Chiesa Cattolica è ben più di questo (tra l’altro colgo l’occasione per segnalare il blog di don Piero Gallo, che meriterebbe maggior seguito), ma si caccia nei guai da sola, con questo persistere nell’ignorare il naturale istinto sessuale dei propri membri; e se i preti non possono sfogarlo, come tutti gli altri, con una compagna o con un compagno adulto, finiranno necessariamente per sfogarlo con chi gli capita a tiro, partendo dai bambini dell’oratorio.

Personalmente, ai preti presunti santi che secondo la favoletta vivono cinquant’anni in castità grazie alla superiore forza della fede nel Signore, preferisco i preti boh come il secondo di cui sopra, che sopportando la vergogna e la discriminazione sul proprio posto di lavoro hanno il coraggio di vivere la propria sessualità. A questo punto, però, è davvero ora di chiedersi quando la Chiesa smetterà di produrre pedofili, omosessuali repressi e omofobi deviati; perché poi le conseguenze ricadono su tutta la società.

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venerdì 12 Dicembre 2008, 11:47

Te lo dico con le buone

Dunque, ieri il nostro Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi è andato in Europa a protestare duramente contro i proposti impegni collettivi del continente contro l’inquinamento, il riscaldamento globale e le alterazioni del clima, rilasciando dichiarazioni come “è assurdo parlare di emissioni quando c’é una crisi in atto: è come uno che ha la polmonite e pensa di farsi la messa in piega”; in pratica, secondo Berlusconi, è essenziale difendere gli interessi delle nostre fabbriche pesanti – come se ne avessimo ancora, e come se il motivo della loro crisi fosse il non poter più inquinare impunemente, anziché l’incapacità di realizzare prodotti moderni ad un costo decente – e se nel frattempo i ghiacciai si sciolgono, i campi si inaridiscono, i tifoni aumentano e moriamo tutti, cosa volete che sia rispetto alla crescita del PIL?

Bene, proprio lo stesso giorno, Dio o chi per esso gli ha mandato: alluvione del Tevere a Roma, con un morto; a Firenze, l’Arno quasi ai livelli del 1966; in Sicilia e in Sardegna, mareggiate che hanno messo a rischio persino i traghetti; a Reggio Calabria, vento e pioggia fanno crollare un ponte, un altro morto; sull’Etna, otto boy scout bloccati da due giorni senza cibo in alta quota da una tempesta di neve; a Foggia, un fulmine fa cadere la linea elettrica su un Eurostar di passaggio che prende fuoco, rischiando la strage; persino a Monza, nota zona alluvionale, il temibile fiume Lambro ha rischiato di esondare, costringendo ad aprire gli argini nel parco per dare all’acqua modo di defluire.

Certo, alla fine sarebbe potuto accadere ben di peggio: insomma, per stavolta, la natura a Berlusconi l’ha detto ancora con le buone. Eppure, Silvio non ha fatto una piega: mi sa che la famosa barzelletta su Dio e Berlusconi – “Qual è la differenza tra Dio e Berlusconi? Che Dio non crede di essere Berlusconi” – ormai non è più una barzelletta.

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