La stazione di Bologna
In questi giorni ho davvero poco tempo per bloggare… questo è il mio post per il 25 aprile, e scusatemi se lo riesco a pubblicare solo ora; un supplemento di liberazione comunque non fa male.
La stazione di Bologna è il ventricolo dell’Italia: i treni dal Sud e dall’Adriatico, dal Veneto e dal Piemonte, dal Brennero e da Roma si incrociano tutti lì, sfoderando spesso (come nel mio caso) dei clamorosi 105 minuti di ritardo, causa maltempo a Termoli, battito di farfalla in Cina o altre scuse del genere. Vite e parlate di ogni genere si mescolano nel grande atrio sempre intasato, nella tigelleria tradizionale (qualunque cosa sia) e nel bar che, essendo i baristi talmente presi dal servire in fretta i clienti da non aver nemmeno tempo di pensare un nome, è stato direttamente chiamato “Bar Su” (mi sembra di ricordare che esistesse anche un “Bar Là ”, ma non sono sicuro).
La stazione di Bologna quindi è enorme: oltre a una distesa infinita di binari sul davanti, ci sono cinque binari nel lato ovest, mentre nel lato est, dopo una bella scarpinata, c’è il McDonald’s con annessa McPizzeria. Poi praticamente tutti i treni fermano sul binario 1, ma questo è un dettaglio: volendo, i binari ce li hanno.
La stazione di Bologna è tenuta nel classico stile delle Ferrovie dello Stato: sporchina, incasinata, piena di foglietti appiccicati l’uno sull’altro e di clienti persi dietro a indicazioni incomprensibili. Già non si capisce perché debbano per forza avere due binari 1, due binari 2, due binari 3 e così via, invece di numerare i binari tronchi con numeri propri e inconfondibili. Poi non si capisce perché sull’intero piazzale ovest ci sia una sola obliteratrice e sia fuori servizio, e ci siano solo due macchinette di cui una è stata spostata in un punto infame per permettere l’installazione di un banchetto pubblicitario di 3. Ma potete andare sul binario 1, schivando i treni che fermano uno dopo l’altro, per scoprire che l’obliteratrice è rotta anche lì.
La stazione di Bologna è piena di ricordi per ogni italiano, perché non c’è nessuno che, durante qualche epico viaggio in treno, non sia passato di lì; il mio ricordo è della tarda primavera del 2001, quando dopo una riunione esecutiva della fu Naming Authority conclusasi nel pomeriggio spesi la serata prima in un cinema vicino a piazza Maggiore (guardando Le follie dell’imperatore) e poi alla stazione di Bologna, salendo poi verso le due di notte su un treno per Siracusa che stava vicino a un treno per Lecce, e giù un’ora di gente che dai finestrini dei due treni chiacchierava o litigava su tutto, e poi quando il mio treno finalmente partì era talmente pieno di siculi accampati che feci in piedi fino alla stazione di Orvieto, tra le tre e le sei e qualcosa, per poi andare a visitare la città e crollare finalmente svenuto dal sonno, dopo aver messo la sveglia, sui banchi del duomo di Orvieto.
La stazione di Bologna però ha un angolo che è talmente sul davanti che non ci passa nessuno, perché la gente preferisce entrare dentro oppure tagliare attraverso la piazza, tra le maledizioni dei taxisti. Guardando la stazione sta sulla facciata a sinistra, e sulle prime sembra un angolo qualsiasi, con un paio d’auto abbandonate davanti, un cestino della spazzatura, delle finestre con le serrande abbassate, e delle grandi macchie sul marciapiede, di olio o di piscio.
E’ lì che si trova la grande lapide che ricorda la fine di 85 persone – una bimba di tre anni, turisti tedeschi, persone di tutte le provenienze e tutte le mancate destinazioni, e una targa separata per i lavoratori del buffet, che non erano nemmeno lì in vacanza – e in cima alla lapide c’è scritta una sola cosa, “Vittime del terrorismo fascista”.
Era meno di trent’anni fa, e – pur con tutto il rispetto per le cause sbagliate e le morti in guerra, pur con tutta la volontà di perdonare e riconciliare – l’idea che sottilmente, da qualche lustro a questa parte, si sia fatto passare il concetto che avere fascisti al governo sia una cosa normale, anzi un segno positivo di progresso culturale, mi provoca una sensazione che non so bene come definire: se sia più rabbia, angoscia o voltastomaco.
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