America, pimpami la storia
Oggi mi è capitata per caso nella playlist una vecchia (del 2004) canzone di Morrissey, America is not the world; in piena era Bush, Morrissey – con un sarcasmo davvero coraggioso per il mercato musicale anglosassone – si rivolgeva direttamente all’America invitandola a “stare al suo posto” e dicendole letteralmente “sai dove ti puoi ficcare il tuo hamburger?”. E poi aggiungeva: “America, la terra della libertà , dicevano, e delle opportunità , in modo giusto e per davvero; ma dove il presidente non è mai nero, donna o gay, e fino a quel giorno non c’è nulla che tu possa dirmi, America, per aiutarmi a credere nell’America”.
Ecco, sono passati cinque anni e tutto questo è già passato, è già stato ridicolizzato dalla storia. Morrissey non era certo l’unico a non crederci, anzi non ci credevano nemmeno gli intellettuali neri: quest’estate vedevamo una meravigliosa puntata della prima stagione dei Boondocks (2005), quella in cui Martin Luther King resuscita e si schifa a vedere come sono diventati puerili e ignoranti i neri americani, che si conclude prevedendo “il primo presidente nero Oprah Winfrey nel 2020”, e aggiungendo “ma è soltanto un sogno”.
Riconoscendo dunque agli americani, con tutta la loro innocente e violenta arroganza, quella capacità di fare la Storia che ai popoli europei da troppo tempo manca, penso che sarà interessante vedere se si avvererà presto anche l’augurio del secondo pezzo dello stesso disco di Morrissey, Irish blood, English heart, quello che si conclude dicendo “Sto sognando da un po’ il momento in cui gli inglesi saranno mortalmente stufi dei laburisti e dei conservatori, e sputeranno sul nome di Oliver Cromwell, e daranno il benservito a questa linea reale che ancora lo omaggia e lo omaggerà per sempre”. Chissà …
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