Ne ha già parlato qualcuno in queste settimane (ad esempio .mau.), ma sui giornali la notizia è passata sotto silenzio: a partire dall’inizio del mese, chi come me viaggia spesso con il treno regionale da Torino Porta Susa a Milano e viceversa si è trovato di fronte alla bella sorpresa di un aumento nascosto del 19,4%.
Il meccanismo dell’aumento è tanto perverso quanto complesso. In passato, per i treni di categoria normale, vigeva un’unica tariffa chilometrica nazionale. Dopodiché, già da molti anni, per poter scaricare un po’ di costi dal proprio bilancio, lo Stato ha passato la competenza sul trasporto locale, compreso quello ferroviario, alle regioni; questo significa che i treni regionali, anche quando coprono più regioni, sono di competenza di una regione specifica, che ne negozia prezzi e orari con Trenitalia provvedendo allo stesso tempo a sovvenzionarli. Per esempio il Torino-Milano è di competenza della Regione Piemonte, mentre il treno suburbano Novara-Milano è di competenza della Regione Lombardia; sono così stati fatti sparire i treni “interregionali”.
Fino ad ora, però, sui treni “ex interregionali” vigeva ancora una tariffa nazionale; se il percorso del treno era interamente in una regione si applicava invece la tariffa regionale, concordata tra Trenitalia e regione di competenza del treno.
Siccome però molte regioni avevano provveduto ad aumentare per bene le tariffe, su varie tratte interregionali si verificava il paradosso per cui il biglietto per la prima città fuori regione, calcolato sulla tariffa nazionale, costava meno del biglietto per l’ultima città della regione, calcolato sulla tariffa regionale. Per fare un esempio, sul regionale costava meno il biglietto Genova – Massa che il biglietto Genova – La Spezia, con conseguenti trighi dei pendolari più accorti che prendevano il biglietto per la città fuori regione e poi scendevano prima.
E così, Trenitalia e le regioni “care” come Liguria e Piemonte si lamentavano del “mancato introito”, ovvero delle persone che cercavano di sfuggire ai loro aumenti di prezzo. Soluzione: dal primo febbraio, il biglietto sulle tratte interregionali viene calcolato sommando il prezzo dei chilometri percorsi nella prima regione alle tariffe di quella regione con il prezzo dei chilometri percorsi nella seconda regione alle tariffe di quella regione. E, per un gioco di fasce chilometriche, il risultato è che il biglietto da Porta Susa a Milano è rincarato del 20%, allineandosi a quello da Porta Nuova a Milano che invece non è aumentato (peccato che tre quarti dei viaggiatori per Milano salgano a Porta Susa).
Questa è la spiegazione tecnica, ma la sostanza non cambia: in un periodo di crisi, con la gente che fatica ad arrivare a fine mese e con gli uffici che continuano a spostarsi verso Milano, Trenitalia e la Regione Piemonte hanno pensato bene di lucrare con un bel 20% di aumento sulla tratta di medio raggio più gettonata dai torinesi.
Del resto, il pendolarismo tra Torino e Milano è un business enorme, e solo al primo gennaio si era completato un aumento del 34% in otto mesi del pedaggio autostradale: come poteva la ferrovia essere da meno? Fa un po’ specie se si pensa che l’autostrada è gestita dai privati mentre la ferrovia è pubblica, ma poi ci si pensa bene e si capisce come sia proprio vero che tra pubblico e privato non c’è più differenza: comunque sia, la risorsa (spesso costruita generazioni fa con fondi pubblici) viene adibita a impresa di lucro privato senza alcun tipo di rischio, con tariffe imposte in regime di monopolio, e benefici che vanno non nelle tasche dell’ente pubblico, ma nelle tasche di chi lo governa (da quelle dell’ente usciranno poi in pubblicità , consulenze, appalti…) e dei suoi amici.
Tutto questo, naturalmente, nel silenzio generale dei media collusi, che alla questione non hanno dedicato nemmeno un trafiletto: essendoci le elezioni regionali alle porte non si vuol certo mettere in difficoltà la giunta attuale, che anzi andrà sicuramente a vantarsi di avere “messo alla porta Trenitalia” per migliorare i treni regionali…
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