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Archivio per il mese di Aprile 2011


domenica 10 Aprile 2011, 18:38

Sempre grazie a Trenitalia

Ieri mattina sono andato a Milano per una riunione organizzativa tra tutte le liste del Movimento 5 Stelle, che è finita poco dopo le 14; e così sono andato con calma a Milano Centrale per prendere il regionale delle 15:15 e tornare a casa.

Giunto al binario, ho visto che la prima carrozza del treno era chiusa e fuori uso; e vabbe’, succede spesso. Anche la seconda però era chiusa. La terza, la quarta e la quinta erano dunque piene, con tutti i sedili occupati, nonostante mancassero ancora venti minuti abbondanti alla partenza. Ho capito però che qualcosa non andava perché man mano che proseguivo l’affollamento del treno continuava ad aumentare, invece di diminuire. A un certo punto le carrozze erano completamente piene anche di gente in piedi; cercando di arrivare in cima, ho scoperto che anche la penultima e l’ultima carrozza erano chiuse e fuori uso.

Sono tornato un po’ indietro e mi sono infilato nel primo buco che ho trovato, riuscendo a malapena ad entrare nell’anticamera del vagone, in piedi contro un palo; e lì ho saputo che non solo questo treno aveva quattro carrozze chiuse su dieci, ma che il precedente regionale delle 14:15 era stato cancellato.

A dieci minuti dalla partenza ogni interstizio del treno era occupato da persone in piedi, compresi i bagni e i passaggi tra una carrozza e l’altra; e sul marciapiede c’erano almeno un centinaio di persone in attesa. Sono arrivati i ferrovieri, che hanno fatto finta di non conoscere nessuno, evitando di dire o anche solo di guardare chiunque; ed è presto arrivata anche la polizia ferroviaria.

Alla fine le proteste (mai abbastanza rumorose, gli italiani sono abituati a subire in silenzio) hanno fatto aprire a forza le prime due carrozze, dove si sono pigiate le persone che erano ancora a terra; il capotreno, sempre senza accettare una parola da nessuno, si è infilato come un’anguilla nei vagoni per sbloccare i finestrini e tirarli giù, visto che c’erano trenta gradi e si rischiavano soffocamenti; e poi il treno è partito in condizioni da Terzo Mondo.

Solo tra Novara e Vercelli, dopo tre quarti d’ora, si è ridotto a condizioni vagamente umane, con poche persone rimaste in piedi; alcuni si sono comunque fatti il viaggio in piedi fino a Torino.

Che dire? Evidentemente che nei palazzi del potere non c’è nessuno a cui interessi migliorare questa situazione, dato che a Trenitalia conviene spingere con le cattive le persone a prendere l’alta velocità e al potere politico conviene fare favori a Trenitalia (si veda anche la vergognosa vicenda di Arenaways) e allo stesso tempo non investire sui trasporti pubblici per avere più soldi per clientele e appalti vari. E pensare che questo servizio è sovvenzionato, lo paghiamo noi; basterebbe non pagare a Trenitalia le corse in cui non vengono rispettati livelli di servizio decenti, e anzi imporre delle multe, e le cose cambierebbero.

[tags]treni, trenitalia, ferrovie, torino, milano[/tags]

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venerdì 8 Aprile 2011, 12:16

Metro sì o metro no?

Negli ultimi giorni, in occasione della discussione pubblica sul programma del Movimento 5 Stelle per Torino, si è aperta una accesa discussione, nella quale sono emerse due diverse visioni sul futuro della mobilità torinese e sulla politica delle infrastrutture.

Siamo ovviamente tutti d’accordo sul fatto che il futuro, visto il costo crescente del muoversi in auto e visto che Torino è la seconda città più inquinata d’Europa, stia nel trasporto pubblico collettivo e in forme di mobilità sostenibile, oltre che nel ridurre le esigenze di spostamento. Concordiamo anche che il progetto di metro 2 di Chiamparino non sia accettabile, perché è basato sulla cementificazione di una delle poche aree a bassa densità costruttiva rimaste a Torino, e tra l’altro abbiamo il sospetto (visto che il Cipe a quanto pare non ha ancora messo una lira sul progetto) che la linea 2 sia uno specchietto per far passare la cementificazione, e che poi facciano le case ma non la metro perché “ci siamo accorti che non ci sono i soldi”.

La differenza di visione verte invece sul fatto se la metropolitana in sè, come tipo di infrastruttura, sia utile per Torino oppure no.

La prima visione è che la limitazione del traffico privato deve essere ottenuta fornendo mezzi di spostamento alternativo che siano veramente efficienti, e dunque che sia vitale per la città puntare ad avere entro vent’anni una vera rete di metropolitane, con tre o quattro linee (tra l’altro esiste la possibilità di realizzare a basso costo una linea di metropolitana da Venaria a piazza Castello, sfruttando il tratto di Torino-Ceres che sarà abbandonato). Quanto ai costi, la scelta politica sarebbe di utilizzare le risorse che il governo vorrebbe spendere per il TAV in Valsusa, proponendo ai torinesi “no TAV, sì metro”; e comunque è necessario pretendere l’intervento del governo sulle metro di Torino come già sta facendo non solo per Napoli (dove il progetto prevede 11 linee tra metro e passante) e altre grandi città, ma per le metro di centri ben più piccoli come Brescia e Perugia. Dunque anche la linea 2 è utile, magari su un tracciato più dritto e prolungato verso nord, se non comporta cementificazioni.

La seconda visione è che le metropolitane siano comunque grandi opere inutili, costose e impattanti, e che sia impossibile realizzarle senza doversi basare su oneri di urbanizzazione e dunque sulla costruzione di nuovi quartieri. Pertanto si ritiene sufficiente un potenziamento della rete di superficie, ad esempio con più corsie preferenziali (cominciando dal togliere una corsia alle auto su tutto l’asse dei corsi Cosenza – Siracusa – Trapani – Lecce – Potenza – Grosseto, per avere una linea di bus protetta e intensificata), con una migliore sincronizzazione dei semafori e con una ristrutturazione della rete; e ci si vorrebbe opporre alla metro 2 comunque finanziata e ad ulteriori progetti di metro. A questo punto la riduzione del traffico privato avverrebbe perché sempre più strade sarebbero ristrette o vietate alle auto e riservate al mezzo pubblico.

Io personalmente sostengo la prima visione, e penso che il passaggio dal trasporto privato a quello pubblico debba corrispondere il più possibile a un miglioramento della qualità della vita, anziché a un sacrificio obbligato. Sono convinto che una rete solo di superficie o di “metropolitana leggera”, oltre ad avere in più punti seri problemi di spazio disponibile, non possa essere sufficiente per rendere la mobilità di Torino sostenibile ed efficiente a livello europeo, e comunque trovo insostenibile l’idea di dire ai cittadini che devono rinunciare all’auto ma anche alla metro; tagliamo il Tav, tagliamo la Tangenziale Est (il cui tracciato è sì a est, ma ha poco o nulla di tangenziale) e tagliamo tante altre opere inutili e anzi dannose, ma se c’è una cosa su cui concentrare gli investimenti infrastrutturali è la metropolitana.

Sono discussioni complesse dove sono richieste anche un’analisi dei dati effettivi di traffico e una competenza tecnica specifica (se no è come giocare con le macchinine). Tuttavia, nello spirito di partecipazione dal basso, vorremmo capire meglio cosa ne pensano i nostri simpatizzanti e tutti i cittadini. La discussione è aperta, dite cosa ne pensate: quale delle due visioni vorreste che il Movimento adottasse?

[tags]mobilità, trasporti, torino, metropolitana, urbanistica, movimento 5 stelle[/tags]

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giovedì 7 Aprile 2011, 20:15

Il nostro tempo è adesso

Uno dei grandi problemi irrisolti dell’Italia, a livello nazionale, è il welfare della nostra generazione: degli attuali trentenni, pochi hanno un posto fisso e una situazione contributiva regolare. Gli altri o non lavorano, o hanno lavori precari, o hanno una delle “nuove forme di lavoro” con tanti doveri e pochi diritti, dalla partita IVA all’amministratore della piccola società di amici che tira a campare.

La mia esperienza di precario di lusso – persona a partita IVA che quando lavora guadagna bene, ma che lavora quando capita, incassa dopo anni e non ha alcuna certezza per il futuro – è quella di pagare ogni anno il venti per cento del mio reddito – se lavoro poco anche di più, perché c’è un minimo di contribuzione sotto il quale non puoi scendere – in contributi INPS, che vanno essenzialmente a pagare la pensione di mia mamma, che negli anni ’80 ha potuto averne una dopo quindici anni di lavoro, di cui quattro di riscatto degli studi; nonostante tutto quel che ho pagato, io una pensione non l’avrò mai; anche se fanno apposta a non dircelo per farci stare buoni, come ha candidamente ammesso il presidente dell’Inps Mastropasqua in una dichiarazione improvvida e subito insabbiata.

Senza voler generalizzare e senza volerne fare uno scontro generazionale, se è vero che i giovani oggi vivono (spesso non per scelta) in casa dei genitori o comunque a loro spese fino alla soglia dei quarant’anni, è anche vero che il sistema pensionistico realizza un trasferimento costante di ricchezza dai giovani ai vecchi, così come lo realizza il fatto che mentre i posti di alta responsabilità e ben pagati in tutta Europa vanno ai quarantenni, da noi vanno ai settantenni.

Per fortuna qualcosa si comincia a muovere: sabato pomeriggio alle 15 è prevista una manifestazione in piazza Vittorio, che fa parte di una manifestazione nazionale trasversale, Il nostro tempo è adesso, che si diffonde a macchia d’olio. Questo è il video del flash mob che è stato realizzato la settimana scorsa per promuoverla.

Naturalmente io provo disgusto quando leggo che a queste manifestazioni aderiscono gli stessi partiti di entrambi gli schieramenti (specialmente quelli di sinistra) che per vent’anni hanno promosso e approvato la precarietà e tolto i diritti alle giovani generazioni, però sono contento di vedere che qualcosa si muove.

[tags]torino, manifestazione, precari, giovani, welfare, generazioni[/tags]

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mercoledì 6 Aprile 2011, 22:27

I cantieri del quartiere Parella (6)

Scrivo solo per comunicare che oggi, nella mia strada, sono apparse finalmente le macchine per asfaltare il marciapiede, che come vi avevo raccontato a inizio febbraio era stato aperto, richiuso alla bell’e meglio e lasciato a metà con i tombini sporgenti, tante pietruzze che si staccavano e colpivano chi passava, avvallamenti e polvere ovunque.

Hanno lasciato le cose a metà per “soli” due mesi (e per fortuna che ci sono le elezioni alle porte). Sono piccole cose, ma possibile che non si possano gestire i cantieri in modo da limitare i disagi, invece di fregarsene?

[tags]torino, parella, cantieri, lavori pubblici[/tags]

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lunedì 4 Aprile 2011, 23:32

Una nazione, tante vasche

Questa è l’ultima sera in Islanda, prima del ritorno a casa; sono da solo a Reykjavik, in attesa del volo di domani mattina presto.

Ho approfittato delle ultime ore in città per vedere qualche posto che ancora mi mancava; sono andato a visitare la chiesa di cemento in cima alla collina, il simbolo della città, davvero bella; e il giardino di sculture di Einar Jonsson, che sta proprio di fronte, belle pure quelle. Gli islandesi amano molto la scultura da esterno; se ne trovano ovunque, anche nei posti remoti, in mezzo ai giardini, sui ponti, lungo le strade. Ci sono anche molte grandi librerie, che fungono anche da caffè, da Internet point, da negozio di souvenir e di materiale vario: come ci si aspetterebbe da un popolo nordico, colto e progredito.

La situazione però mi pare un po’ diversa… la via principale di Reykjavik, per esempio, è un’infilata di negozi con pretese eleganti ma del tipo un tanto al chilo, come fosse la passeggiata delle Gru. Ovviamente l’eleganza è commisurata all’ambiente; per esempio c’è un negozio tutto fighetto e di marca, dedicato a ferramenta e utensili da giardino… ma solo quelli di moda!

Ho cominciato a sospettare qualcosa in questi giorni di viaggio; nonostante gli autovelox, ho notato che quasi nessuno rispettava alla lettera i limiti di velocità, e ciò a queste latitudini non è per niente normale. Ieri, infine, sono rimasto scioccato: davanti all’albergo c’era un enorme fuoristrada parcheggiato di storto nel posto degli invalidi. Non avevo mai, mai, mai visto da nessuna parte qualcuno parcheggiato abusivamente su un posto per invalidi in tutto il centro e nord Europa… Oggi in città ho persino notato un paio di macchine bruciare il semaforo e girare a sinistra col rosso: assurdo.

Ma è la radio che mi ha detto molto; ci sono solo sei stazioni, di cui soltanto due musicali. Una manda essenzialmente rock’n’roll anni ’60, ma per la maggior parte del tempo chiacchierano in islandese; l’altra manda, a qualsiasi ora e in qualsiasi sperduta landa desolata, On The Floor di Jennifer Lopez. La manda anche due o tre volte di fila, a tutto volume! Quando decide di dare una pausa a J.Lo, la stazione avvia un programma culturale che mi ha fatto conoscere a ripetizione altri grandi capolavori: innanzi tutto la scopiazzatura della canzone di J.Lo fatta da Britney Spears (qui la versione live ballata da un prosciutto travestito da Britney Spears), poi questo tizio che canta Hit The Lights, il singolo tamarro di Nelly Furtado e infine quella piccola gemma di stile ed eleganza che è Tonight I’m F***ing You di Enrique Iglesias. Tutte me le sono subite, tutte: era l’unica musica che c’era alla radio!

Sono così arrivato a una teoria, che peraltro già avevo concepito in Nuova Zelanda: vivere fuori dal mondo, in un posto dove non c’è niente se non meravigliosi paesaggi solitari, rende necessariamente tamarri. Ti viene solo voglia di prendere un quad e rombare in mezzo alle acque cristalline di torrenti primordiali, di comprarti un grosso fuoristrada per il gusto di fare più rumore possibile e di mangiare balena a colazione, pranzo e cena anche solo per spregio; ti viene voglia di lasciare la natura incontaminata a noi nevrotici urbani e di rivendicare in ogni modo la posizione dominante dell’essere umano nell’ecosistema planetario.

Secondo me, se prendi sti pezzi di islandesi alti due metri e li porti a Ibiza o a Rimini vanno completamente fuori di melone, passano trentasei ore di fila in discoteca, si fanno di qualsiasi cosa, guidano a fari spenti nella notte per vedere, si lanciano in un bunga bunga sfrenato e poi li ripeschi a vomitare in spiaggia alle sette del mattino.

Nel frattempo, io ho fatto un esperimento e stasera, fermo al semaforo sulla via principale, ho messo su Radio J.Lo e ho alzato il volume a palla. Ok, l’auto era una Hyundai grigia e non una Golf nera, ma ho fatto lo stesso la mia porca figura: due biondone si sono subito girate a guardarmi. Chissà cosa avranno pensato.

[tags]islanda, cultura, natura, tamarri, discoteca, rimini, ibiza, jennifer lopez, britney spears, fare le vasche in via roma[/tags]

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domenica 3 Aprile 2011, 23:39

Viaggio al centro della Terra

Non so quanto spesso capiti da queste parti una giornata piena di sole, quasi senza una nuvola nel cielo azzurro da ogni parte; visto che è stata l’unica in una settimana, non credo molto spesso. E’ capitata proprio l’ultimo giorno, quello in cui il programma prevedeva di partire dalla città e completare il lungo giro delle terre occidentali dello Snaefellsnes, cinque ore di macchina in tutto.

Naturalmente, in Islanda non esistono autostrade; il massimo del lusso è qualche tratto di statale a doppia carreggiata verso l’aeroporto o uscendo dalla città. Il limite di velocità è di novanta all’ora in tutto il Paese, e le zone popolate sono costellate di autovelox – anche se, per un tacito patto, quando si arriva nelle parti più remote gli autovelox spariscono e tutti corrono un po’ di più, qualcuno sfiora anche i centodieci. Fuori città, l’ottanta per cento del traffico è costituito da fuoristrada, superfuoristrada, megajeep, pick-up americani stile Hammer con sopra caricati due quad, e cose così; e devo dire che questa è una delle poche parti del mondo dove ciò può essere giustificato. Infatti, solo le strade principali sono asfaltate; le altre sono in ghiaia, terra, fango, erba, roccia o quel che capita; e non vi sono gallerie nè viadotti, semplicemente quando si trova un rilievo la strada lo prende dritto di punta o quasi, con pendenze da rampa di garage.

Nonostante questo, lontano dalla zona sudoccidentale si può viaggiare per un’ora incrociando una decina di macchine in tutto, e il viaggio dunque scorre fin troppo bene; il problema maggiore diventa stare attenti alla benzina. Questo è il primo Paese che visito dove l’atlante riporta, in tavola separata, una mappa contenente tutti i distributori di benzina del Paese; e, fuori dalla città, saranno una trentina in tutto. Il distributore di benzina, con annesso grill che vende hamburger e fish & chips, è l’unica forma di vita che abbiamo trovato, in questo viaggio fuori stagione; senza i benzinai ci saremmo persi nella landa desolata e non avremmo avuto niente da mangiare. Considerate dunque che chi vive nelle sparse fattorie deve, salvo proprie scorte, fare anche cinquanta chilometri solo per fare benzina o per trovare un locale pubblico aperto…

C’è poi da aggiungere un piccolo particolare: tutti i distributori di benzina che abbiamo visto sono self-service; non sono presidiati, e alle volte sono costituiti semplicemente da una pompa piazzata in mezzo a uno spiazzo a bordo strada, tra un prato e l’altro; e soprattutto funzionano soltanto a carta di credito (chiedendo il PIN); niente banconote. Non pensate di venire in Islanda e di affittare una macchina senza avere una carta di credito o senza saperne il PIN: non andreste da nessuna parte.

Non so se sono riuscito a trasmettere il concetto: qui, nemmeno muoversi è una cosa scontata. I benzinai hanno sostituito le stazioni di posta, le strade hanno dei ponticelli a senso unico alternato al posto dei guadi di un tempo, ed entro pochi anni avranno finito di asfaltare tutta la statale 1, quella che fa tutto il giro dell’Islanda ad anello, fatto salvo il fatto che ogni dieci anni un’eruzione, una piena, un ghiacciaio se ne porta via qualche chilometro; ma ogni viaggio è un’avventura contro il vuoto e la perdizione.

Quando stasera, dopo una giornata meravigliosa, in mezzo a un tramonto incredibile, siamo arrivati a Borgarnes – nel piazzale dove si concentrano tre benzinai, due grill, la fermata delle corriere, un supermercato e una banca, ovvero un concentrato di servizi che poi per centinaia di chilometri non si vede più – abbiamo parcheggiato la macchina, siamo entrati a mangiarci zuppa e pollo fritto in mezzo ai villici (quello c’è, ovunque andiate a mangiare fuori Reykjavik, per tutto l’inverno: zuppa, hamburger, pollo fritto, pizza e porcate confezionate), e ci è sembrato di essere arrivati al centro della Terra.

[tags]islanda, strade, viaggio, cibo[/tags]

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venerdì 1 Aprile 2011, 21:34

Decisamente altrove

Non è facile spiegare l’esigenza di essere ogni tanto altrove; nasce per caso e non riguarda tutti. C’è chi vivrebbe volentieri nello stesso posto tutta la vita e chi vivrebbe volentieri ovunque, pur di sperimentare ogni volta un’esperienza diversa. Credo che sia una forma mentale che si sviluppa e che se si sviluppa non può essere ritirata; e se una volta la conseguenza più tipica era una vita da marinaio, al giorno d’oggi viaggiare è molto più semplice ed economico e lo si può fare con comodo. Certo, resta il problema di scegliere dove andare; perché si può andare a cercare una piccola replica di casa propria, piena di italiani pizzerie e partite di pallone, oppure, appunto, si può andare altrove.

Se c’è un posto che rappresenta bene l’altrove, questo è appunto l’Islanda, un posto dove non si capita per caso – a meno che, come è successo a me, non ci si finisca in quanto attaché a una missione di lavoro. Io ci sono dunque finito per caso e ne sono molto lieto, perché il caso è la vera guida della vita e ad esso tanto vale arrendersi subito.

Ho conosciuto l’Islanda per gradi crescenti, così come si deve a una signora. Il primo impatto è stato con la zona attorno all’aeroporto, che è una specie di Irlanda piatta e coperta d’erba gialla. Il secondo impatto è stato con il cerchio d’oro, l’itinerario turistico più famoso, che partendo da Reykjavik porta alla piana dove fu fondato il primo Parlamento della storia, e poi a Geysir (l’originale) e alla grande cascata di Gullfoss; e quella è Scozia, la città pare una Inverness con una periferia e la statale 36 potrebbe benissimo essere una qualsiasi strada in mezzo alle Highlands.

Poi abbiamo preso per la costa meridionale e le cose si sono fatte serie; quando si esce dalla popolosa pianura e ci si avvicina alla zona dei ghiacciai e dei vulcani, l’unico paragone possibile è con la Nuova Zelanda (ed è un grosso complimento). Grazie a un timido sole (ma non temete, il tempo cambia ogni trenta secondi circa) abbiamo scoperto alcuni luoghi assolutamente magici; per esempio Seljalandsfoss, una cascata vertiginosa che finisce in un laghetto tra le rocce, da cui esce un ruscello chiarissimo che attraversa la pianura d’erba che si estende fino all’orizzonte (se non è abbastanza, cento metri più in là c’è la versione che cade in uno stagno nascosto e visibile solo attraverso una fessura nella roccia). Oppure Dyrholaey, una penisola di roccia vulcanica collegata alla terraferma solo da una pista di ghiaia, in cima alla quale si può vedere un’idillica baia di sabbia nera circondata di prati e fattorie, ma anche una spiaggia tormentata su cui si schiantano onde d’oceano alte diversi metri, con spruzzi di schiuma bianca ovunque, mentre una serie di faraglioni lottano per la sopravvivenza in mezzo al mare.

Ma non è sufficiente; proseguendo, il paragone cambia ancora, e questa volta è direttamente con la Luna. A un certo punto, per una ventina di chilometri, si attraversa una pianura completamente nera, fatta soltanto di sabbia e ghiaia prodotte dalla frammentazione della roccia vulcanica da parte dei ghiacciai. In molte parti non c’è alcuna forma di vita, nemmeno il muschio; è una zona chiamata Öræfi (devastazione) ed è il risultato di eruzioni medievali e di piene glaciali (il vulcano erutta sotto il ghiacciaio, il ghiacciaio si scioglie, dopo qualche settimana una quantità d’acqua grande come un Lago di Garda arriva a bucare la punta del ghiacciaio e si scarica nel giro di un paio di giorni sulla pianura, scagliando blocchi di ghiaccio di cento tonnellate contro tutto quello che trova).

E poi… in certi punti il paragone è solo con un punto interrogativo. Come descrivere per esempio una pianura gialla e grigia, fatta di terreno vulcanico e di erba consumata dal vento? Oppure una distesa di chilometri di grosse pietre tonde e lisciate dall’acqua, accatastate l’una sull’altra e ricoperte da uno spesso e morbido tappeto di muschio verde, come se fosse il fondo del mare tirato fuori stamattina e nemmeno ancora asciugato?

Ogni dieci chilometri il paesaggio cambia completamente e molto spesso ciò che appare è privo di senso, richiede uno sforzo di fiducia nei propri occhi. Eppure quel che colpisce di più, sopra il paesaggio, è insieme l’assenza e la presenza umana; l’assenza perché la densità di popolazione è minima, e ogni zona è individuata dal nome dell’unica fattoria che vi (r)esiste, nonostante qui non cresca nulla (tantomeno gli alberi) e nonostante vulcani, ghiacciai, tempeste, e un vento incredibile che spesso costringe a guidare di bolina, col volante che punta alla scarpata per riuscire ad andare diritti. E la presenza perchè nonostante tutto un po’ di persone ci sono, aggrappate col cuore a questa terra inospitale, e con meritato orgoglio.

E questo dimostra molte cose; dimostra che l’uomo può quasi tutto, se la determinazione e il coraggio lo accompagnano; dimostra come noi abbiamo pateticamente limitato le possibilità della natura, uniformando il 90% della Terra a una sciatta periferia urbana; e dimostra che questo pianeta sarebbe davvero meraviglioso, se solo i suoi abitanti fossero un decimo di quello che sono.

[tags]viaggi, islanda, natura, pianeta, vulcani, paesaggio, umanità[/tags]

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