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lunedì 14 Luglio 2008, 20:54

Singing in the rain

Di concerti bagnati ne ho seguiti parecchi, ma quello di ieri sera li batte tutti: e dire che era stata una bella giornata, tanto che ero uscito in bicicletta per mezzo pomeriggio. Quando però è calato il sole, sulla vecchia fabbrica di Collegno si è scatenata una pioggerellina; quando ci siamo avviati ai cancelli, è diventata una pioggia secca, tanto che i venditori di magliette – di cui peraltro mi chiedo da anni perché, indipendentemente dal tipo di musica e dal luogo del concerto, vengano tutti dalla stessa parte d’Italia – si sono prontamente ritrasformati in venditori di preservativi giganti, cinque euro per cinque centesimi di plastica sottilissima.

All’inizio del concerto, tuttavia, la situazione era potabile, tanto che si erano scatenati sia cori da stadio anche piuttosto sboccati contro i rari tamarri (anzi, più spesso tamarre) che insistevano nel tenere gli ombrelli aperti ostruendo la visuale a mezza platea; sia un o-o-o-o-o-o-o che ricordava un po’ il po-po-po-po-po-po dei Mondiali, ma era in realtà il riff di Black Night. I Deep Purple apprezzano e spuntano sul palco puntualissimi, alle 21 e 30 spaccate; attaccano con la stessa scaletta già sentita l’anno scorso, prima Pictures Of Home che permette a tutti di farsi un assolo, poi Things I Never Said – bonus track dell’ultimo disco il cui scopo essenziale è un ulteriore assolo di Morse -, poi Into The Fire, dove Gillan quasi fa gli acuti. Poi attaccano Strange Kind Of Woman; peccato che nel bel mezzo del primo ponte salti la luce. Loro stessi sono sorpresi e si mettono a ridere, Paice continua insieme al pubblico che cerca disperatamente di tenere vivo il concerto, ma non c’è nulla da fare.

Parte infatti un temporale pazzesco; il resto del gruppo si rifugia sotto un ombrello gentilmente offerto dallo sponsor Cantine.org, mentre io mi infilo sotto un telone da campeggio verde miracolosamente apparso in mezzo alla platea; altri scappano e tornano alle auto. Aspettiamo che passi il temporale; cinque, dieci, quindici minuti e la situazione non fa che peggiorare, un vero torrente acquatico che si rovescia su di noi, e nonostante io abbia la mantellina e sia sotto il telo impermeabile mi infradicio lo stesso. Ci vuole mezz’ora abbondante prima che i fulmini terminino e la pioggia ridiscenda a un livello accettabile. Ma è una bella mezz’ora, in cui noi resistenti sotto il telo socializziamo e ridiamo di quella situazione imprevista, e alla fine ci organizziamo pure per un lancio a testuggine, con il quale conquistiamo la quinta-sesta fila proprio sotto il centro del palco.

E così, si riparte: i Deep Purple riattaccano Strange Kind Of Woman dal preciso punto in cui l’hanno interrotta… Sono i momenti migliori del concerto, non solo Rapture Of The Deep (che è un bellissimo pezzo, ma io sono l’unico nel raggio di cento persone a conoscerla e cantarla) ma soprattutto il pezzo solista di Morse che segue subito dopo, introdotto da Gillan, che dice che farà tornare il sole. Lì, salta fuori la magia: il pubblico ammutolisce e per la parte più intima del pezzo si sente solo la chitarra che arpeggia e scaleggia e lo scroscio della pioggia. Morse – che non era in grandissima serata, cioè eccezionale come sempre, ma non particolarmente ispirato – infila però una sequenza bellissima, magari anche sporca, che deve essere difficile fare virtuosismi alla chitarra con torrenti d’acqua che arrivano giù a mezzo metro dal tuo naso e freddo e umidità ovunque, specie se tieni il plettro in quel modo. Ma è proprio l’imperfezione del tutto a renderla magnifica, un momento davvero emozionante.

Questa parte del concerto è quella che mi coinvolge di più, e non solo perché è l’unica diversa dal concerto dello scorso anno: attaccano The Battle Rages On, e anche qui pochissimi la conoscono, ma a Torino ha un senso particolare. Era infatti proprio per il tour dell’omonimo disco che erano venuti in città, credo per l’ultima volta, nel 1993: quella volta eravamo al Palaruffini e il concerto era stato pieno di laser ma privo di cuore, visto che erano già ai definitivi ferri corti con Blackmore. E’ bello che la rifacciano qui ora, e con ben altro entusiasmo.

Dopo mi fanno anche Demon’s Eye, uno dei miei classici preferiti, ed è una goduria, anche se l’assolo di Morse è insipido e, per una volta, non all’altezza del classico; meglio la scenetta di Gillan che si avvicina a Glover spalla a spalla subito prima di cantare “I don’t need you / anymore” e poi lo guarda e aggiunge “just kidding”. Segue il momento solista di Airey alle tastiere, che infila un po’ di tutto, venti secondi dell’Invenzione a due voci numero 8 di Bach, venti secondi di La donna è mobile, e mezzo minuto di Singing In The Rain, con il pubblico che ride e si rincuora; la pioggia peraltro sta scemando, anzi a questo punto ha quasi smesso. Come da canone, il solo di tastiera diventa Perfect Strangers, e così abbiamo smarcato anche il muto pozzo di tristezza.

Viene quindi il momento dei classici finali; secondo me il peggio della serata. Gillan ha finito la voce da parecchio – direi almeno dal 1985 – e si limita a mugolare qualcosa ogni tanto; gli altri cercano di coprire con assoli allungati. Space Truckin’ non ha vivacità e nemmeno tanto tiro; su Highway Star, la chitarra di Morse è a volume bassissimo e si perde quasi l’assolo; persino Smoke On The Water passa via come fosse niente di speciale. Loro salutano e io sono deluso; alla fine l’ora e venti l’hanno fatta, ma è come se mi avessero portato via il dolce quando già lo pregustavo.

E invece, si salvano in corner; tornano fuori e fanno Hush, e va decisamente meglio, la gente balla e il cielo ormai è asciutto; poi, a tradimento, attaccano Black Night, invocata per ore da tutto il pubblico. Glover cicca l’attacco del solo di tastiera, ma con grande nonchalance fa finta di aver appena inventato un nuovo arrangiamento (comunque ieri Glover ottimo, sempre presente e con belle improvvisazioni), e la canzone va via alla grande; suona come un premio, per aver resistito sotto la pioggia senza defezionare; e ce la godiamo tutta.

Insomma, si sa che i Deep Purple sono vicini ai limiti per via dell’età, e ieri tra la pioggia e gli inconvenienti non è stata la serata magnifica che era stata lo scorso anno a Los Angeles, anche se la ricorderò per la sua stranezza. E’ comunque stato un bel concerto; vale sempre la pena di vederli anche quando le cose non girano tutte al massimo, e non dubito che li rivedremo ancora in giro per un po’.

[tags]deep purple, musica, colonia sonora, collegno[/tags]

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4 commenti a “Singing in the rain”

  1. Lobo:

    Davvero bel concerto. nonostante il microombrello ero completamente fradicio, dalla testa ai piedi.

    Ma mi son divertito :P
    E loro sono dei vecchietti in gamba

  2. dariofox:

    grrrr questa me la sono persa in favore del concerto di Caterina…

  3. Thomas Jefferson:

    Peccato non c’ero.
    Comunque qua a Torino li ho sentiti già due volte, una volta nel ’95 e la volta successiva per il Monster of Rock cui avevano partecipato anche i Dream Theater e Joe Satriani.
    Su Gillan purtroppo hai ragione, infatti credo siano millenni che non fanno più Child in Time…
    Fino ad alcuni anni fa c’era una cover band che era quasi meglio degli originali e mi divertivo sempre molto a sentirla, erano i 60/70. Ora non so che fine abbiano fatto anche loro….

  4. D# AKA BlindWolf:

    Comunque Robert Plant ha perso la voce molto prima di Ian Gillan :-D

 
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