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sabato 23 Agosto 2008, 11:37

Dalai chi?

Sapete che sulla questione relativa a Cina, Tibet e diritti umani ho il mio punto di vista, che non è particolarmente allineato con il pensiero unico che ha dominato i giornali e i blog italiani negli ultimi mesi. Mi sembra che troppi in Italia – dove, solo in quest’ultima estate, sono stati assolti o quasi i poliziotti che avevano sequestrato e massacrato di botte gli oppositori politici del nostro governo a Bolzaneto, si sono moltiplicate le retate di stranieri e gli attacchi razzisti ed è stata intensificata l’attività di filtraggio di siti Internet – utilizzino la questione dei diritti umani in Cina per sentirsi più buoni, e per evitare di guardare in casa propria; da parte dei politici, poi, cavalcare i sentimenti anticinesi è un buon modo per distrarre l’opinione pubblica, e magari trovare anche un comodo capro espiatorio per il fallimento economico del nostro Paese.

Comunque, ricordate le settimane che hanno preceduto le Olimpiadi? Sembrava che si stesse andando in guerra: non passava giorno senza che i giornali italiani si interrogassero su come dovessero comportarsi i nostri atleti, riportando gli appelli di politici e intellettuali al boicottaggio e alla protesta. Per un po’, il Dalai Lama ha avuto sui nostri media quasi lo stesso spazio del Papa: bastava che ruttasse e finiva in prima pagina. Le previsioni erano apocalittiche: si anticipavano grandi manifestazioni represse nel sangue, censure continue alle riprese televisive, gare continuamente interrotte dalle proteste e atleti squalificati per aver espresso le proprie opinioni. In più, per buona misura, si prevedeva anche che gli impianti sarebbero stati deserti causa mancanza di cultura sportiva dei cinesi, e che atleti e spettatori sarebbero soffocati per l’inquinamento.

La realtà, ovviamente, è stata ben diversa, cominciando dalla cerimonia inaugurale che nessuno ha boicottato – tranne Berlusconi perché non c’aveva voglia – e che tutto è stata meno che la celebrazione di un regime, lasciando con un palmo di naso tutti i critici che erano lì pronti a gridare alla scandalosa autocelebrazione della dittatura (sono comunque riusciti a criticare lo stesso la cerimonia per il motivo opposto, “non c’erano Mao e il comunismo”). Anzi, la cerimonia ha cercato di comunicare tutta la diversità e la profondità della Cina, con l’esibizione dei bambini delle diverse etnie (Tibet compreso) e facendo notare che la cultura cinese è ben più complessa di un mezzo secolo di comunismo.

Per il primo paio di giorni qualche protesta c’è stata, da parte di gruppi di due o tre esagitati che si sono pagati il biglietto aereo da Londra o da New York per sventolare uno striscione e finire presi a lazzi, a sputi o a schiaffi – a seconda dell’umore – nemmeno dalla polizia, ma dai passanti cinesi che si trovavano lì in quel momento. Per il resto, le gare sono state belle, l’aria pulita – spesso con tanto di cieli azzurri – e gli stadi quasi sempre pieni e calorosi, con ovvia preferenza per gli sport popolari tra i locali. Nessun atleta si è sognato di protestare in gara, esattamente come dovrebbe essere in un’Olimpiade, dove persino russi e georgiani hanno gareggiato insieme in giorni di vera guerra senza andare mai oltre qualche mala parola; il massimo scandalo, a parte qualche caso marginale di doping, è stato lo svedese che ha gettato via il bronzo alla premiazione per protesta contro l’arbitraggio. Ciò nonostante, nelle interviste gli atleti hanno detto ciò che volevano e nessuno li ha limitati; alcuni hanno ribadito le critiche della vigilia, altri si sono resi conto che, tutto sommato, la Cina non era poi così brutta come la si dipinge.

Il terrorismo c’è stato, ma non è avvenuto in Tibet; sono stati gli uiguri, etnia turcofona dell’estremo ovest della Cina, anch’essa indipendentista ma che, non essendo foraggiata dagli americani ed essendo addirittura musulmana, non trova altrettanto spazio sui nostri media.

All’inizio, il Dalai Lama ha elargito sante parole di pace: ha fatto gli auguri e i complimenti alla Cina, e si è messo ad aspettare. E non è successo niente: dopo tre giorni, i giornali parlavano solo più di gare e di successi sportivi. Dopo la prima settimana, il Tibet era al massimo un asterisco in fondo alla generale ammirazione per la riuscita delle Olimpiadi; niente proteste e niente clamore, anzi quel poco di esposizione da violenza che c’era se l’erano fregato gli uiguri di cui sopra e pure Putin e Bush nel Caucaso (dove, incidentalmente, l’offensiva georgiana contro gli independentisti osseti ha fatto in pochi giorni cento volte le vittime degli scontri etnici di Lhasa a marzo). E’ chiaro che così non andava bene.

Così, nella seconda settimana il Dalai Lama ha cambiato tono, e ha cominciato ad alzare la voce. Nessuno però sembrava più interessato, e così Sua Santità si è ridotta a un vecchio trucco da politico democristiano: l’intervista bomba con smentita. Mercoledì, infatti, è andato a dire a Le Monde che i cinesi avrebbero appena ucciso 140 persone in Tibet sparando sulla folla. I politici, i bloggherz – segnalo in particolare l’ineffabile Adinolfi – e i media allineati gli sono subito andati dietro, montando il caso e indignandosi a comando. I giornalisti veri hanno alzato un sopracciglio: 140 morti? In un momento in cui la Cina è sotto gli occhi del mondo? Con migliaia di giornalisti stranieri in giro per il Paese e in attesa soltanto di un caso clamoroso da riportare?

Infatti, puntuale il giorno dopo è arrivata la smentita: scusate, non ho detto ciò che ho detto – ma intanto ha riconquistato le prime pagine, e ha reinnescato il meccanismo.

Riparte quindi l’italico teatrino: primo La Russa, che dalla sua poltrona romana invita di nuovo gli atleti italiani a protestare. Ma il meglio lo dà Margherita Granbassi, schermitrice italiana appena ritornata da Pechino con una medaglia di bronzo.

La Granbassi, dopo aver passato una settimana a chiedere di non pagare le tasse, cambia argomento e passa al Tibet. Esordisce dicendoci che avrebbe volentieri boicottato le Olimpiadi (però non l’ha fatto). Quindi, dopo essere andata, aver gareggiato, aver preso la medaglia e aver avuto il suo momento di gloria senza minimamente fare nulla per il Tibet, torna in Italia e solo allora si ricorda di dire agli atleti italiani che sono ancora a Pechino che (loro) devono protestare. Aggiunge che le Olimpiadi sono state uno scandalo e che addirittura sono stati utilizzati lavoratori schiavizzati e sfruttati per realizzare le medaglie (tra cui la sua di bronzo che si tiene ben stretta al collo).

Eccezionale, infine, è l’accusa alla televisione cinese (con due settimane di ritardo) di censura dello striscione (nemmeno legato al Tibet) da lei esibito nella cerimonia inaugurale, quando la regia televisiva è internazionale e quando è noto che durante la cerimonia di apertura è vietato esibire qualsiasi cosa che non siano le bandiere nazionali, figuriamoci il classico lenzuolo “ciao mamma” scritto a pennarello, che peraltro solo un italiano potrebbe avere l’idea di sventolare in una simile occasione senza sentirsi ridicolo.

A quel punto, qualcuno deve averle fatto notare che parlare è facile ma forse è anche il caso di agire di conseguenza, e lei ha provveduto: oggi annuncia che donerà al Dalai Lama la sua maschera di gara. Addirittura! Che durissimo gesto di protesta! Di restituire la medaglia, naturalmente, non se ne parla nemmeno.

Ora, di fronte a un simile miracolo di ipocrisia – in buona fede, ma pur sempre ipocrisia – che cosa si può dire? Il problema del Tibet esiste; anzi, è possibile che ci siano stati veramente degli scontri, così come è possibile che in extremis qualche protesta avvenga anche all’Olimpiade. Il problema del Tibet, però, è lo stesso dell’Ossezia, del Kosovo, della Cecenia, dell’Irlanda del Nord, dei Paesi Baschi, del Kashmir, del Kurdistan, insomma di qualsiasi parte del mondo dove si trovino due etnie diverse che non riescono a vivere insieme (o, più spesso, che includono minoranze estremiste che non vogliono vivere insieme). In questi casi, gli scontri, le provocazioni e le violenze avvengono sempre da entrambe le parti; quando questi problemi si sono risolti senza lo sterminio o la cacciata di una delle due etnie, è perché le due etnie hanno isolato gli estremisti e hanno imparato ad accettarsi e a convivere.

Per questo motivo, quando l’Occidente prende nettamente le parti di una delle due etnie – spesso per via di interessi geopolitici, economici e militari, come in Kosovo e in Ossezia – fa quasi sempre danno; molto più utile è comportarsi con moderazione e tenere aperto il dialogo con entrambe. Ma fallo capire all’italiano medio.

[tags]cina, tibet, diritti umani, dalai lama, olimpiadi, la russa, granbassi[/tags]

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31 commenti a “Dalai chi?”

  1. D# AKA BlindWolf:

    Bel post.

    Riconfermando l’idea che senza le Olimpiadi di Pechino nell’ultimo anno del Tibet si sarebbe parlato meno del Kurdistan, un conto è lo sport ed uno è la politica (anche se una politica autoritaria ama farsi propaganda anche tramite lo sport). La politica la facciano i politici, lasciando lo sport agli atleti: questi si allenano duramente per ottenere dei risultati e non per obbedire ad un tronfio ministro.

    Iniziative politiche non ce ne sono state: nè boicottaggio delle autorità nè ritiro della bandiera (come a Mosca 1980). Perchè si sa, con i cinesi se non sei amico non ci fai affari.

  2. Attila:

    Beh… il CIO nella sua infinita benevolenza e saggezza, ha proibito di esporre il lutto alla nazionale spagnola… che bel gesto…

  3. RondoneR:

    mi hanno deluso questi atleti attuali. Davvero senza un briciolo di coraggio. Sanno solo frignare.

  4. vb:

    Attila: Il CIO sta molto attento a vietare qualsiasi possibile uso strumentale delle Olimpiadi; questo può sembrare insensibile, ma alla fine è l’unico modo per mantenere le Olimpiadi come evento “super partes”. Che sarebbe successo se, per dire, la Georgia avesse voluto portare il lutto per l’attacco russo? Qualsiasi tipo di manifestazione del genere può essere strumentalizzata, quindi temo che non abbiano molta scelta. Perlomeno, l’episodio dimostra che le resistenze del CIO non sono per proteggere la Cina, ma l’evento in sé.

    Tornando al discorso del post, consiglio la lettura di questo articolo scritto da un australiano sul China Daily. In una paginetta, racconta bene le incomprensioni culturali sui temi politici tra noi e i cinesi.

  5. Rikko:

    Sono d’accordo con il post, tuttavia, quando poi uno Zhang Yimou mi viene a dire che i diritti umani sono inutili, mi viene ugualmente da pensare un po’ male francamente…
    Per carità, è probabile che il Cino-pensier non sia tutto così, ma chi dice che questo non prenda piede sulla pelle di tanta gente?

  6. vb:

    Secondo me, invece, dovrebbe far pensare: proprio Zhang Yimou, uno dei pochi cinesi che vive e lavora in Occidente da anni, che ha avuto negli anni ’80 e ’90 non pochi problemi con il regime di Pechino, e che si esprime in una delle forme d’arte più aliene alla censura, dice una cosa del genere? Non ho letto, ma non è che, avendo visto entrambi i sistemi, sta cercando di dire che lui preferisce vivere in una società dove non siano fondamentali soltanto le esigenze individuali codificate nei diritti umani, ma anche le esigenze della collettività?

  7. Tizio:

    o che più probabilmente vuole essere compiacente con il regime?
    non dimentichiamoci che la spettacolosa cerimonia iniziale conteneva dei bei tarocchi, come quello dei fuochi artificiali iniziali, quelli delle orme, bellissima idea! ma finta, va bene, per evitare il rischio che lo smog oscurasse gli effetti dei fuochi è stata ricostruita al computer e ci può stare, ma che dire del tarocco sul canto della bambina? capisco che bisogna mettere in evidenza le cose esteticamente gradevoli, ma perchè punire una bambina dai denti storti ma dalla voce meravigliosa sostituendola con una bellina che cantava in play back? Gli organizzatori dissero che lo scambio venne fatto nell’interesse della piena riuscita della cerimonia e della nazione.
    maddai! che influenza possono avere du’ denti storti nell’interesse della nazione? quando sarà l’età si metterà l’apparecchio, ma è un reato così grave in cina avere i denti storti? La cerimonia sarebbe riuscita benissimo e forse la bimbetta dagli incisivi ribelli ci avrebbe pure intenerito.
    Capisco l’interesse della collettività che deve prevalere,ma perchè punire la ragazzina solo per i suoi denti storti (e di conseguenza la sua scarsa telegenìa)

  8. D# AKA BlindWolf:

    @Tizio: probabilmente la bambina che ha fornito la voce è (o lo sarà, quando l’implicito egoismo infantile soccomberà all’assuefazione delle regole degli adulti) felice, perchè almeno la voce era la sua. Se gli organizzatori avessero optato per tenere l’ugola attaccata alla faccia, probabilmente avrebbero scelto in toto un’altra bambina. (Io, con la mia mentalità da nerd, mi sarei sentito peggio al posto della “controfigura”: essere scelto solo per il mio bel sorriso, che tristezza!).

    Sia ben chiaro: trovo tristissima una mossa commerciale che strizza l’occhio alla civiltà dell’apparenza. Ma noi occidendali non possiamo dare tante lezioni morali a riguardo (al massimo qualche lezione di marketing).

  9. D# AKA BlindWolf:

    P.S.: ho appena letto, tramite il link segnalato (di solito non leggo Repubblica), l’intervista alla Granbassi (e faccio una piccola correzione al post di vb: di piatti di bronzo al collo la fiorettista ne porta 2).

    L’impressione che mi è venuta non è quella di una persona a due facce, ma quella di chi si fa influenzare molto dall’ambiente.

    Penso che frequentare e capire la Cina sconvolga molto i preconcetti dell’occidentale medio, anche se al ritorno in patria può sempre ri-cambiare idea. Probabilmente Vittorio non avrebbe scritto questo ed il precedente post sull’argomento senza il suo viaggio di qualche mese fa. Ed ho notato molto anche la differenza di atteggiamento tra i giornalisti inviati a Pechino e quelli rimasti a Roma: i secondi sono rimasti molto più attaccati ai propri pregiudizi dei primi.

    Morale della storia? Che vivere sempre all’interno della stessa cultura porta a credere che i valori di tale cultura siano “assoluti” ed a considerare “malvagie” le altre culture (in quanto non rispettano parte di tali valori).

  10. Tizio:

    ma la civiltà dell'”apparenza” non è solo la “nostra”, ciascuna civiltà ha il culto dell’apparenza a modo suo, quello che mi ha reso triste è che lo si è fatto sulla pelle di due bimbette infradecenni, anche la sostituta carina e stonata (forse) merita la nostra empatia, non è colpa sua se è stata sbatacchiata in mondovisione come immagine dell’interesse della nazione e tutto il resto della retorica di circostanza

    Sul fatto che i giudizi degli occidentali nei confronti del resto del mondo sono assoluti e tranchant nella loro ignoranza (spesso conoscendo ben poco delle altre realtà non occidentali) non posso che essere d’accordo con te, tuttavia l’episodio delle bambine mi ha colpito perchè generalmente i bambini vanno protetti, non strumentalizzati, e questo presso qualunque civiltà.

  11. vb:

    Comunque anche la bambina che cantò l’inno italiano riarrangiato alle cerimonie di Torino era in playback: che poi la voce fosse veramente la sua… qualcuno può metterci la mano sul fuoco?

    BlindWolf: Infatti anche secondo me, come ho scritto, la Granbassi è in buona fede; semplicemente è stata influenzata dal lavaggio del cervello che ci hanno propinato i nostri media. Oggi un servizio del Tg2 è riuscito a definire la nuova ferrovia che collega Lhasa “la ferrovia che mette in pericolo l’identità culturale tibetana”: come se all’inaugurazione dell’alta velocità Torino-Milano noi di Torino, invece di essere contenti di avere una infrastruttura in più, l’avessimo chiamata “la ferrovia che mette in pericolo l’identità culturale torinese”…

  12. simonecaldana:

    Ma veramente ogni tre per due non fai che ricordare che l’alta velocita’ trasformera’ Torino in un dormitorio per Milano…

  13. angelo da genova:

    (per vb n.4) Non hai letto? Ecco qua.
    ” I diritti umani rendono l’Occidente inefficiente e non gli consentono di raggiungere gli elevati standard organizzativi e artistici di cui sono capaci i cinesi. Solo con il senso dell’ordine, con l’ubbidienza, la bellezza delle masse ed il loro movimento armonico si possono realizzare elevate prestazioni artistiche. Lo sostiene Zhang Yimou, autore di pellicole famose Lanterne rosse e Hero, nonché regista della cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Pechino, in un’intervista al quotidiano cinese “Weekend al sud”.

    Yimoum, che si è detto grande ammiratore delle manifestazioni politico-culturali dei coreani, ha portato come esempio del suo pensiero la cerimonia di apertura dei Giochi, in cui sul terreno dello stadio blocchi argentei con i caratteri di stampa cinesi si sollevavano ed abbassavano come in una macchina da scrivere. Un risultato, ha detto, ottenibile solo perché «gli esecutori obbediscono agli ordini e sono in grado di farlo come un computer, è questo lo spirito cinese»

    Gli occidentali, invece, «non sono in grado» di fare lo stesso, non fosse altro che per «il loro rispetto dei diritti umani»: proprio le rigide norme sul lavoro e la tutela sindacale incontrate nei Paesi europei gli hanno finora impedito di realizzare regie operistiche, poiché «gli interpreti occidentali lavorano solo quattro giorni e mezzo alla settimana, fanno due pause al giorno per il caffè, ma poi non sono nemmeno in grado di stare bene allineati». Come se non bastasse, attori e cantanti occidentali «hanno anche a disposizione organizzazioni di ogni tipo e i sindacati». Invece, grazie alla loro cultura «i cinesi riescono a realizzare in una settimana quello che gli europei fanno in un mese». (Libero News)”

  14. vb:

    Al di là del fatto che io mi tengo ben volentieri gli orari di lavoro ridotti e i sindacati (pur buttando altrettanto volentieri a mare i sindacalisti italiani), Yimou ha semplicemente esposto un dato di fatto, che poi è quello che segnalavo qualche post fa parlando della nuova guerra fredda: i cinesi sono più efficienti e sempre più ricchi proprio perché rinunciano per questo obiettivo alla loro libertà individuale… nemmeno tanto in termini di grandi principi, quanto proprio nell’atteggiamento di esprimere se stessi stando dieci centimetri più in qua o più in là, come gira, invece che perfettamente allineati nella coreografia.

    La differenza, insomma, è nella priorità data a se stessi rispetto alla collettività: e noi siamo talmente abituati a pensare in termini individualistici che finiamo per non capire proprio la mentalità dei cinesi.

  15. D# AKA BlindWolf:

    A questo punto è chiaro perchè qualcuno in Occidente vuole “esportare i diritti umani”… non di certo per questioni di solidarietà.

    @Tizio (commento #10, secondo paragrafo): ovviamente non mi riferivo ai soli occidentali che trovano “barbare” le altre culture, ma anche al viceversa: dalla cinese che reputa irrispettoso il fumettista australiano che critica il proprio presidente, al giapponese che depreca il nostro individualismo, all’arabo che vede nell’Occidente la decadenza e la vuotezza di valori spirituali.

  16. fredbenson:

    Per Zhang Yimou proporrei un bel corso full time di cucito in una cantina di 30mq insieme ad altri 50 cinesi. Pausa pranzo e riposo (in loco) solo ad obiettivi di produzione raggiunti. Troppo comodo fare il regista e parlare d’obbedienza agli ordini.

  17. Alberto:

    Vb,
    anche questa volta mi tocca fungere da servizio anti-bufala (mi ricordo ancora quella della spada del Caval d’brons). Vedo infatti che anche Nearatree riprende l’abitudine imperante di riprendere delle bufale (pur smentite) come notizie vere.
    Non c’è stata nessuna marcia indietro da parte del Dalai Lama, semplicemente la notizia per la quale il Dalai Lama avrebbe fatto quelle dichiarazioni era falsa. Sia Le Monde, sia la Associated Press hanno confermato che in realtà la affermazione sulla presunta strage in Tibet non era del Dalai Lama ma contenuta in una domanda fattagli da un giornalista che aveva sentito questa notizia in ambienti tibetani e sulla quale il Dalai Lama ha risposto dicendo che, non avendo dal Tibet nessuna notizia ufficiale, non poteva né smentire né confermare. Se vai sul sito di Le Monde a fianco dell’intervista incriminata c’è la rettifica del giornale…
    Sicuramente giova al diffondersi di queste notizie non confermabili il fatto che il governo cinese abbia imposto restrizioni ulteriori alla circolazione dei giornalisti in Tibet in questo periodo e che quindi qualunque notizia non può che essere un “sentito dire”. D’altra parte visto che la stima sul bilancio delle vittime della repressione del governo cinese, dall’invasione del 1951 in avanti, è sull’ordine del milione, non credo che 140 persone in più facciano la differenza…
    Sulla vicenda Cina-Tibet, contrariamente a quanto sostieni, noto un astio nei confronti della causa tibetana che raramente ho sentito per altri casi simili (curdi, palestinesi, baschi) dai quali i tibetani si distinguono per non aver mai messo bombe in giro per il mondo. Sui forum ho letto insulti di ogni genere per il Dalai Lama in questi giorni. Probabilmente proprio il pacifismo dei tibetani li frega. Per l’opulenta opinione pubblica occidentale i sensi di colpa sono molto più tollerabili nei confronti di chi metta bombe e compia attentati rispetto a chi se ne sta tranquillo in cima alle montagne.
    Noto poi come il giudizio sul governo cinese è quello tipico che applichiamo anche alla vita del nostro paese, ovvero visto che nessuno è innocente nessuno è colpevole. Quindi visto che in Italia c’è stata la mattanza di Bolzaneto (della quale giustamente ci dobbiamo vergognare) noi non abbiamo titolo per ricordare che in Cina gli incarcerati per motivi politici sono di più rispetto a quelli per furto. Io preferirei vivere in un mondo in cui i poliziotti di Bolzaneto finiscono in carcere e gli oppositori politici cinesi no. Ma ognuno ha le sue preferenze…

  18. Alberto:

    Leggendo i commenti a questo post mi pare ci sia un equivoco di fondo. Continuiamo a parlare di specificità della cultura cinese in opposizione a quella occidentale rispetto al discorso autoritarismo/democrazia come se la democrazia ci fosse solo in occidente e l’autoritarismo solo in Cina. Lo stesso Taiwan così come il Giappone o la Corea del Sud hanno sistemi che possiamo definire democratici, basati su un sistema partico pluralistico e sul rispetto delle libertà di parola e di opinione. Ovviamente hanno caratteristiche diverse dai sistemi europei perché diversa è la cultura. Allo stesso modo l’occidente ha conosciuto molti sistemi autoritari e tuttora un sistema politico come quello bielorusso non può certo essere considerato un sistema democratico. Che differenza c’è tra il fascismo ed il sistema politico attuale cinese? Molte perché molte sono le differenze culturali tra Italia e Cina e l’evoluzione storica dei sistemi, ma la soppressione dei diritti d’opinione, di parola, di dissenso sono analoghe.
    In sostanza il dualismo tra le libertà dell’individuo e la necessità di controllo da parte di chi governa è connaturato alla società umana. Il fatto che la rivoluzione industriale abbia portato a definire questo sotto la forma del dualismo tra democrazia e autoritarismo è un processo storico che è nato in Europa perché la rivoluzione industriale è nata in Europa ma che si è riprodotto, con le debite specificità, in tutto il resto del mondo compresa la Cina. In Cina, a differenza che altrove, permane un sistema totalitario ma se gli americani 50 anni fa avessero occupato la Cina, anziché il Giappone e la Corea, probabilmente la situazione sarebbe molto diversa.
    I valori che abbiamo ci portano a vedere la scelta tra democrazia e autoritarismo come morale ma è semplicemente un processo storico. Se la Cina diventasse davvero la prima potenza mondiale probabilmente il modello autoritario cinese si diffonderebbe a tutto il resto del mondo ed anche in Europa si ripristinerebbero forme di autoritarismo.

  19. vb:

    Alberto: Allora rispondo anche io con qualche fatto e considerazione.

    1) Io non me lo vedo Le Monde che chiede al Dalai Lama “è vero che ci sono stati 140 morti?”, il Dalai Lama risponde “non lo so” e allora Le Monde scrive “Dalai Lama: ‘140 morti in Tibet’ “. Non so perché, non mi sembra probabile; mi sembra più probabile che a posteriori Le Monde collabori nel cercare di aggiustare i cocci e ridurre la figura di m… fatta dal Dalai Lama. Noto peraltro che la versione ufficiale del Dalai Lama sull’incidente (che trovi linkata nel post) dice una cosa diversa e cioé che la notizia è stata sì confermata, ma non dal Dalai Lama in persona ma solo da un membro del suo staff. Allora mettetevi d’accordo, almeno forniteci tutti la stessa versione.

    2) Il “pacifismo tibetano”: sicuramente vero per molti versi, ma non esageriamo. Molti dei morti negli scontri di marzo non erano tibetani uccisi dall’esercito cinese, ma cinesi ammazzati dai tibetani in rivolta. I testimoni occidentali all’epoca raccontavano di una vera e propria “caccia al cinese” per le strade di Lhasa. Ricordo di aver riportato una di queste testimonianze nel blog, in quei giorni.

    3) La stima di un milione di vittime tibetane dal 1951… fatta da chi, e riferita a quando? Nello stesso periodo (cioè la rivoluzione culturale di Mao, immagino), quante furono le vittime di etnia cinese in tutta la Cina? Credo molte volte di più: se vuoi dirmi che i comunisti cinesi di quel periodo erano criminali che sterminavano la gente, concordo, ma sterminavano tutti i diversi indistintamente, mica i tibetani perché di altra etnia.

    4) Abbiamo sicuramente titolo di ricordare alla Cina quello che vogliamo, quello che però trovo insensato è dipingere la Cina come il regno del diavolo e noi come il Paradiso, quando abbiamo tutti due occhi, due gambe e un cervello che funziona in modo sorprendentemente simile.

    5) In termini di “democrazie” dell’Estremo Oriente: in Giappone, il partito liberaldemocratico – quello i cui dirigenti vanno ogni anno al tempio a onorare i criminali di guerra giapponesi – è ininterrottamente al potere dal dopoguerra, con l’eccezione di alcuni mesi nel 1993-94. A Taiwan, il primo presidente non del Kuomintang è stato eletto nel 2000. Insomma, non è che la Cina, nella marcia verso la democrazia (intesa così come noi arbitrariamente abbiamo deciso che deve funzionare per tutti), sia tanto indietro rispetto ai vicini. Ah, tra l’altro tu ti sentiresti di dire che l’Italia, almeno nel periodo tra il dopoguerra e il crollo del Muro di Berlino, è stata un regime democratico pluralista basato sulla libera scelta degli elettori? No, perché anche qui ha governato sempre lo stesso partito, che prendeva soldi dalla CIA…

    6) Parliamo invece della libertà di parola? Io sono andato a Pechino, ho incontrato dei cinesi, siamo andati a pranzo e loro hanno tranquillamente criticato varie cose del loro governo. Certo, penso che non lo farebbero se andassero in televisione, perché potrebbero essere ostracizzati e magari anche arrestati. Mica come in Italia, dove i giornalisti possono liberamente criticare Berlusconi in TV senza rischiare la loro carriera, e dove non succede che un professore universitario che fa notare il conflitto di interessi di un politico-avvocato che difende gli assassini della strage di Capaci venga condannato dai tribunali a pagare 50.000 euro di danni al politico (vedi post dell’altro giorno). Certo non si rischia l’arresto (per ora almeno), ma continuo a non vedere l’enorme differenza.

    Sul tuo ultimo punto ti lascio con una domanda a cui io stesso non ho risposta: per il mondo, va peggio quando la Cina esporta l’autoritarismo, o quando gli Stati Uniti esportano la democrazia?

  20. simonecaldana:

    Aggiungo che molte persone preferirebbero qualche mese di galera piuttosto che 50mila euro da pagare.

  21. Alberto:

    1) Ti riporto la precisazione di Le Monde (che mi pare in linea con la precisazione del DL). ““Nell’intervista pubblicata nell’edizione di Venerdì 22 agosto di Le Monde il Dalai Lama ha risposto a una domanda sulle recenti dimostrazioni anti-cinesi che hanno avuto luogo nella regione del Kham nel Tibet orientale. Interrogato sulla cifra di “140 morti”, sentita all’interno del suo entourage e discussa con lui durante un colloquio tenutosi a Nantes, il Dalai-Lama ha risposto che questa stima necessitava di essere confermata.”. Che poi Le Monde ci faccia una figura di m. per coprire quella del Dalai Lama mi pare un po’ umoristico, vista la tendenza dei giornalisti a scaricare sempre le loro imprecisioni sull’intervistato. Tra l’altro è abbastanza comune che su un quotidiano il titolo di un’intervista non rispecchi quanto contenuto nell’articolo, figuriamoci quanto originariamente detto…
    2) Immagino che non ti sfugga la differenza tra un’organizzazione terroristica che compie attentati e qualche ragazzotto esaltato che va in giro a pestare i cinesi che incontra per strada durante una rivolta politica (perlatro con la condanna unanime degli ambienti politici tibetani). Con questo commento non fai che confermarmi che abbiamo bisogno di pretesti per pensare che anche i tibetani, come i palestinesi, i curdi e i baschi, sono abbastanza stronzi per non meritarsi che ci preoccupiamo della loro causa.
    3) La stima è stata fatta da una commissione istituita dal Dalai Lama stesso e quindi è ovviamente di parte. Storici più imparziali parlano di qualche centinaio di migliaia. Non so a te ma a me non solleva molto sapere che sono un po’ di meno né mi solleva sapere che il governo cinese non se la prende solo con i tibetani ma anche con gli Han. Tutto si può dire del governo cinese tranne che sia razzista. Come tutti i governi autoritari se la prende con chi possa mettere seriamente in discussione il potere, di qualunque etnia sia.
    4) Non mi pare di aver mai sostenuto ciò.
    5) Le analogie che hai notato anche tu tra Giappone ed Italia mi suggeriscono che la democrazia non sia, come sostiene qualcuno, un sistema tipico delle società occidentali che non è esportabile altrove ma sia semplicemente il risultato di un processo storico che in diverse realtà, occidentali o orientali che siano, si sviluppa in tempi differenti, a seconda del contesto che trova, ma con modalità simili. Nulla impedisce che a questo processo storico ne segua un altro contrario ma sono portato a pensare che sarà un processo a livello globale e non specifico di un singolo paese.
    6) Non dobbiamo pensare che un sistema autoritario sia un regime poliziesco da film in cui chi dica la cosa sbagliata venga arrestato cinque minuti dopo. Anch’io quando sono stato in Cina ho parlato con gente locale che esprimeva in libertà la sua opinione, non così in Tibet dove ad ogni domanda ti rispondevano dicendo: “In Tibet non si parla di politica”. In ogni caso se le stesse cose che dicevano a me le avessero scritte su un giornale sarebbero finiti in galera perché, così come in tutti sistemi autoritari, vieni perseguitato quando diventi pericoloso non per il solo fatto di non essere d’accordo. Hai ragione a dire che anche in Italia spesso la libertà di opinione viene limitata ma questo mi spinge a chiedere più democrazia in Italia, non ad applaudire l’autoritarismo in Cina.

    Risposta all’ultima domanda: Personalmente mi incazzerei se bombardassero casa mia indipendentemente che lo facciano per esportare la democrazia o per esportare la dittatura (e penso anche tu). Dopodiché sono contento che la seconda guerra mondiale l’abbiano vinta gli americani e non i tedeschi (e penso anche tu)…

  22. Alberto:

    @simonecaldana: il politico-avvocato di cui parlava vb è stato più volte eletto Presidente della Provincia di Palermo ed ha raccolto alle ultime elezioni regionali 17mila voti di preferenza. Questa è una interessante differenza che garantisce la democrazia: in Italia siamo noi che scegliamo di rinunciare alla nostra libertà di opinione.

  23. simonecaldana:

    @Alberto: che c’entra? io intendevo dire che per molte persone 50mila euro sono una cifra che condizionerebbe la loro vita per anni.

  24. vb:

    Sono un po’ di corsa (sto lavorando) per cui rispondo solo a un paio di cose:

    Non so bene come si fa da qui a distinguere tra “organizzazioni terroristiche” e “ragazzotti esaltati” e quindi che differenza faccia; e ripeto che non considero molto utile impostare la questione sul fatto che cinquant’anni fa in Tibet ci furono un sacco di vittime, perché tra il 1910 e il 1960 ci furono un sacco di vittime per genocidio e guerra ovunque nel mondo e se le usassimo come metro di comportamento dovremmo invadere Slovenia e Croazia coi nostri carri armati per vendicare le foibe e “liberare” l’Istria, mentre la Cina dovrebbe bombardare Tokyo per il massacro di Nanchino; insomma io giudicherei l’attuale governo cinese sulla base di ciò che fa e non sulla base delle colpe dei suoi nonni, se no non se ne esce più.

    Il punto che mi preme però non è “applaudire l’autoritarismo cinese” (al massimo trovo interessante dare una priorità maggiore al bene comune su quello individuale, ma da lì all’autoritarismo ce ne corre) ma semplicemente sfatare questo mito pubblicitario che ormai in Italia è considerato come un fatto, cioè che in Tibet ci sia un popolo buono buono composto solo ed esclusivamente da monaci maschi pelati, per metà bambini che giocano con Richard Gere, che si riproducono evidentemente per clonazione, e che passano il tempo seduti in terra a darsi fuoco mentre i cinesi gli sparano… tranne naturalmente due o tre “ragazzotti esaltati”.

    La realtà è ben diversa, e vede due popolazioni normalissime che si guardano male, non si mescolano, si odiano l’una con l’altra e appena possibile si fanno reciprocamente violenza, non perché siano cattive e diaboliche ma perché quando comincia una spirale di violenza diventa difficilissimo fermarla.

    Io non contesto questo mito solo per equità e amore del vero: lo contesto perché questo mito è un grosso ostacolo ad una risoluzione positiva della questione, perché nessuna risoluzione di un conflitto etnico può avvenire se si decide che i buoni stanno quasi tutti di qui e i cattivi quasi tutti di là.

  25. simonecaldana:

    Nessun conflitto si risolve decidendo dove sono i buoni e i cattivi. I conflitti si risolvono smettendo di categorizzare.

  26. Alberto:

    Vb, faccio una premessa: sarò un visionario ma io non faccio nessuna fatica a distinguere i metodi usati da Hamas con quelli usati dal Dalai Lama, non fatico a distinguere l’entità delle limitazioni delle libertà personali che si verificano in Italia da quelle che si verificano in Cina, non fatico a distinguere la gravità dei fatti di Bolzaneto da quella dei fatti di Piazza Tienanmen. Magari perché ho una spiccata fantasia o magari perché evito quel modo di ragionare tipicamente nostrano per il quale siccome tra bianco e nero ci sono tante sfumature di grigio ne si conclude che bianco e nero sono lo stesso colore. Nessuno di noi è totalmente buono né totalmente innocente ma ciò non significa cancellare ogni scala valoriale dal nostro modo di vedere fatti ed avvenimenti. Se vuoi è lo stesso modo di pensare per il quale molti sono soliti dire che in fondo i politici sono tutti uguali, rubano tutti allo stesso modo e quindi votano per il politico mafioso.
    Premetto anche che da nessuna parte ho incitato i tibetani alla vendetta, né mi sognerei mai di farlo. Immagino anche che qui la tua lettura del mio commento sia stata un po’ sommaria come quella della vicenda Dalai Lama-Le Monde.
    Tutto ciò premesso, sono d’accordo con te sul fatto che, a prescindere dalla simpatia che ognuno può provare per i tibetani, non serva stabilire quanto buoni sono i tibetani e quanto cattivi sono i cinesi per risolvere il conflitto. Serve invece che le due parti si riconoscano reciprocamente e diano inizio ad un serio negoziato. Il problema sta appunto nel fatto che il governo cinese non abbia mai accettato di riconoscere l’interlocutore che è invece considerato la massima autorità dai tibetani.
    Che i tibetani siano buoni o cattivi, che il Dalai Lama sia un santo o un terrorista, per risolvere il problema bisogna trattare con lui e fintanto che il governo cinese negherà questa realtà nessuna seria trattativa potrà iniziare. Faccio fatica però a pensare che il governo cinese possa riconoscere il Dalai Lama come interlocutore, fintanto che il resto del mondo a sua volta si rifiuterà di riconoscerlo come tale. Il Dalai Lama godrà anche di favore presso i media europai però non posso non rimarcare che quando è venuto in Italia i rappresentanti del nostro governo hanno trovato le più disparate scuse per non riceverlo e adesso che è andato in Francia Sarkozy, anziché incontrarlo di persona, ha mandato la moglie. Se in futuro l’occidente riconoscerà il Dalai Lama come interlocutore c’è speranza che lo possa fare anche il governo cinese, altrimenti temo che le bandiere del Tibet appese alla finestra serviranno a ben poco.

  27. Fabrizio:

    Sento che prima o poi userò questo post (e i commenti allegati) per dimostrare che la legge di godwin è valida al di fuori di usenet.

  28. for those...:

    e adesso che è andato in Francia Sarkozy, anziché incontrarlo di persona, ha mandato la moglie.
    Beh, direi che gli è andata piuttosto bene al buon Dalai Lama! :)

  29. Alberto:

    @for those…:
    e se gli va bene la prossima volta che viene in Italia gli mandiamo la Carfagna… ;-)

  30. simonecaldana:

    Bello essere il Re!

  31. for those...:

    @Alberto:
    quando avevo ca 16 anni, sfogliando il dizionario, trovai la parola PORNOCRAZIA. I miei ormoni adolescenziali mi fecero fantasticare su dove poteva trovarsi un paese con un simile governo. Non sapevo ancora che bastava aspettare qualche anno e senza spostarmi chissà dove… :-)

 
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