L’autoscontro
Per capire un po’ la magia dell’Africa – perché c’è, ed è forte – è stato molto utile andare in autoscontro.
Vi ho già raccontato infatti della cena al ristorante disorganizzato; il ristorante sta nella feira, ossia uno spiazzo sterrato che contiene le cadeirinhas voadores (“seggioline che volano”), la giostra e l’autoscontro. Attorno, ci sono una dozzina di ristoranti costituiti da una cucina in muratura e da una tettoia di paglia, tendone o cemento sotto la quale ci sono dei tavolini di formica, come nei paesi dell’Italia meridionale; si contraddistinguono per i vari tipi di cucina – il francese, il libanese, il cinese – ma tanto fanno tutti lo stesso cibo locale, cioè carne o pesce alla griglia con verdure, riso e xima (polenta bianca). Alla feira si entra pagando un biglietto d’ingresso, o forse no, nel senso che alle volte all’ingresso c’è qualcuno in divisa che ti chiede dei soldi, altre volte no.
Dopo aver cenato, abbiamo visto lì l’autoscontro, con tre o quattro macchine piene di bambinette nere e borghesi che si davano delle mazzate mica male. Con diffidenza, ci siamo presi tre auto; e invece è stato liberatorio, e ci siamo divertiti un sacco, facendo anche amicizia con le bambinette, specie una seienne vestita di rosa che arrivava a malapena ai pedali ma aveva lo sguardo assassino e puntava regolarmente al frontale.
E’ stato dopo essere scesi di lì che improvvisamente il posto è apparso trasfigurato: non una misera baraccopoli, sporca e fatiscente, con tre piatti di cucina in croce; ma un luogo dove la gente si trova per divertirsi insieme. Ovviamente sono ritornati fuori i ricordi d’infanzia, le estati in spiaggia o i giochi con la terra in campagna; ma soprattutto abbiamo ricatturato per un attimo la differenza fra lo spiazzo tra le capanne (o l’aia di una cascina) e lo stare in casa davanti al televisore. Sarà che eravamo talmente poco abituati, che ci ha sorpreso.
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