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mercoledì 4 Agosto 2010, 16:54

Una gita altrove

Era quasi mezzogiorno e la nostra giornata di gita a Hangzhou prometteva malissimo: viaggio terrificante (cinque ore abbondanti dall’albergo di Shanghai alla sponda del Lago Occidentale), macchina fotografica mezza rotta (se uso troppo zoom impazzisce e tiene aperto l’obiettivo tanto da bruciare la foto) e caldazza mostruosa e intollerabile (del clima non vi ho ancora parlato e forse è meglio non farlo, se no in Cina non ci verrete mai). E invece, zitta zitta, la Cina ha piazzato uno dei suoi miracoli e ci ha regalato un’ora memorabile, che da sola valeva tutto il viaggio.

Hangzhou si trova a circa 200 km da Shanghai; è una cittadina – solo cinque o sei milioni di abitanti – che vive tra un glorioso passato e il suo ruolo amministrativo di capoluogo dello Zhejiang. Ci sono comunque parecchie cose da vedere a Hangzhou, in particolare templi e pagode, ma l’attrazione della città è indubbiamente il Lago Occidentale, un bacino circolare di circa tre chilometri di diametro su cui si affaccia il centro storico. Su un lato del lago c’è la città, ma sugli altri tre ci sono delle bellissime colline punteggiate di monumenti. Le sponde del lago sono occupate da altri monumenti, da giardini cinesi, da varie isolette collegate tra loro da ponticelli che superano laghetti pieni di fiori di loto.

Il posto è dunque un esempio magnifico della filosofia cinese tradizionale nell’approccio alla natura, che è quello di non violentarla ma piuttosto di “appoggiarvisi†armonicamente. Come la Grande Muraglia segue perfettamente il crinale dei colli senza tagliarne via un metro, così nel lago l’intervento umano è stato discreto, cercando di sottolinearne la bellezza invece di dominarla. In particolare, già secoli fa gli imperatori cinesi fecero costruire due passeggiate artificiali, parallele alla riva, che tagliano il lago nei punti di basso fondale con un viale alberato e ombreggiato, e permettono di goderne appieno, creando al tempo stesso un sistema di altri laghi più piccoli e poi più piccoli ancora, punteggiati di isolette.

Eppure, stamattina la magia funzionava poco: il posto era bellissimo, ma i quaranta gradi avevano provocato una cappa di calore che era diventata foschia; voi avete presente la foschia delle estati italiane, ma qui il calore è tale che la foschia diventa nebbia e il paesaggio d’agosto sembra quello di novembre, precludendo alla vista ogni paesaggio, e però diventando anche insopportabilmente soffocante. A questo vanno aggiunte le orde di turisti, per quanto un po’ meno dense che a Pechino; tra l’altro in tutto il giro abbiamo visto solo altri tre occidentali in tutto, e infatti più volte siamo stati additati e abbordati dai locali.

Poi però è successo un primo miracolo: arrivati a forza di camminare nell’angolo nordoccidentale del lago, il cosiddetto Giardino Quyuan, abbiamo percorso un magnifico ponticello di pietra a svolte – uno di quei ponti classici cinesi che non collegano le due sponde in linea retta, ma compiono più e più svolte ad angolo retto, poiché si riteneva che i demoni potessero inseguire gli umani per assalirli ma non fossero capaci di seguire le svolte. Abbiamo attraversato un piccolo padiglione e la superficie di fiori di loto, siamo arrivati in una piazzetta su una delle isolette, e lì c’era una cartina del giardino.

Ho visto un gruppetto di isolette nell’angolo più estremo del parco e ho detto: prima di tornare sul percorso principale, infiliamoci da lì e facciamoci un giro. Dopo un paio di curve, siamo rimasti soli: nonostante la grande densità di turisti, nessuno si era spinto fin lì. Abbiamo camminato per un buon quarto d’ora senza incontrare nessuno, scoprendo un nuovo scorcio a ogni metro, tra gli alberi, i laghetti, i ponti, gli edifici in stile cinese. Abbiamo fatto tante foto, ma non rendono il senso di meraviglia che abbiamo provato perdendoci in quel luogo finalmente e incredibilmente tranquillo, eterno, sospeso nell’altrove. E’ stato un incantesimo, finché dopo l’ennesima svolta, senza nemmeno più sapere dove stessimo andando, ci siamo ritrovati inaspettatamente al punto di partenza, pur volendo andare da tutt’altra parte; prelevati dalla realtà e riportati infine in essa.

Proprio allora, senza preavviso, abbiamo sentito quattro scoppi sordi e ritmati, come quattro grandi colpi di tamburo. Guardando il cielo, sopra le colline era comparso di botto un nuvolone grigio, che da un lato sbordava dentro un bianco osceno ed alieno, pieno di una luce innaturale. In breve abbiamo percepito l’arrivo del temporale, e temendo le prime gocce, che ancora non arrivavano, ci siamo affrettati a concludere il giro verso un magnifico ponte dal tetto a pagoda a due piani, visibile da varie angolature al fondo del laghetto e uscito direttamente da qualche fiaba cinese.

Siamo arrivati al viale tra gli alberi che portava dritto al ponte; era buio del buio del cielo e poco amichevole, ma tra i rami sui lati si distinguevano le acque del lago che avevamo costeggiato e dall’altra parte quelle del lago successivo, molto più grande. Giunti all’inizio del ponte, ci siamo infilati tra gli alberi per fare le foto al lago dalla riva, prima di salire gli scalini di pietra. Tutto era fermo e immobile, e poi d’un tratto, all’improvviso, un lampo e un tuono terribile.

Di colpo, dal niente, si è alzato il vento; e le foglie già gialle degli alberi hanno cominciato a caderci in testa, lentamente, dal buio della volta di rami, come coriandoli messaggeri di sfortuna; in un attimo si sono piegati gli arbusti, si sono piegati i rami, i salici piangenti si sono distesi in orizzontale e hanno cominciato a scuotere i capelli davanti alla corrente d’aria.

Siamo saliti sul ponte, dove si era già rifugiata una torma di bimbi cinesi che ci hanno guardato con tanto d’occhi, come fossimo noi gli spiriti; si sono dati di gomito, ci hanno indicati e guardati e alla fine il più coraggioso ha tentato un “ni hao!â€, spaventandosi poi per la risposta. Aspettandoci la pioggia non ci siamo fermati sul ponte, ma abbiamo proseguito di corsa per ritornare verso la riva, al sicuro tra i negozi e i ristoranti, invece che insistere su una lingua di terra larga una decina di metri, chiusa tra un lago e l’altro e coperta di alberi.

Siamo così arrivati di nuovo ad affacciarci sul lago principale; il vento era aumentato ancora, le nuvole grigie tempestavano la città dall’altro lato dell’acqua, e lo spettacolo era incredibile. Il Lago Occidentale è grande ma comunque solo qualche chilometro, eppure la forza del vento era tale da scatenare una vera mareggiata. L’acqua era bianca di schiuma e urtando le pietre delle antiche rive spruzzava in alto verso chi provasse a passare; le barche che normalmente navigano il lago, portando i turisti dalla riva all’Isoletta delle Fate che sta proprio al centro, correvano per tornare agli attracchi, sballottate dalle onde. Tuoni e fulmini continuavano da un pezzo e il tifone stava per arrivare, e ora non volavano solo più le foglie ma cespugli e rami, e l’acqua con essi.

Cadevano le prime gocce di pioggia, grosse, calde e pesanti come solo nei climi tropicali; non portavano freddo, ma colpivano come stanchi proiettili. Aprire l’ombrello era inutile, a meno di non voler finire come Mary Poppins. Ma la sensazione strana, davvero unica, era quella dello scontro di cieli; un attimo arrivava una folata d’aria a quaranta gradi, e l’attimo dopo una in senso contrario a quindici o venti. Le gambe erano fresche, la testa era in un phon; e le due correnti tiravano con forza in direzione opposta, in un invisibile braccio di ferro.

E poi, di nuovo senza preavviso, tutto si è acquietato; alle prime gocce di pioggia non sono seguite né le seconde, né le terze. In fretta come era arrivato, il temporale è passato prima di cominciare a esistere; e abbiamo avuto per un’ora il privilegio di un cielo finalmente quasi azzurro, senza più la cappa di caldo e la nebbia estiva, e una luce bianca e fortissima davvero particolare, moltiplicata dai riflessi delle colline sul lago. Abbiamo fatto i video del temporale e le foto della luce, ma di nuovo non rendono; bisognava essere qui per vivere tutta la magia di questo luogo.

[tags]viaggi, cina, hangzhou, lago occidentale[/tags]

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Un commento a “Una gita altrove”

  1. buzzer:

    I tuoi racconti di viaggio non sono …racconti. Sono emozioni.

 
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