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giovedì 5 Agosto 2010, 16:00

L’America oggi

Questa era una delle ultime sere che avevamo da passare a Shanghai: qui tira già aria di smobilitazione, oggi all’università c’è stata l’ultima lezione e domani c’è l’esame, anche se questo non sembra preoccupare granché i virgulti italici, che in buona parte insistono nel tornare a casa alle quattro dalla vita notturna e poi presentarsi in classe al mattino con un’ora di ritardo dicendo “prof, non è suonata la sveglia!†(oggi non ne sono suonate quattro o cinque).

E così, io e Elena ne abbiamo approfittato per andare di nuovo a mangiare a Xintiandi, nel ristorante dei ravioli taiwanesi; oltre ai già classici ravioli di granchio e maiale e alla variante aperta in cima con un gamberetto infilato nel collo, oltre alla zuppa di noodles con dentro una splendida bistecca di maiale (sì, funziona), io ho ordinato wanton di gamberi in salsa piccante e ho fatto tredici: finalmente, dopo tre settimane, sono riuscito a trovare qualcosa di una piccantezza comparabile al pesce sichuanese cotto in teglia sotto una montagna di piccoli peperoncini rossi che avevo mangiato a Pechino tre anni fa, e che da allora è il mio parametro per il fondo scala del piccante. La salsa era originariamente nera di soia, ma in realtà nel piatto acquistava riflessi nettamente rosso rubino, da tanto era piccante. Alla fine ho bevuto la zuppa bollente e mi sembrava comunque fredda da quanto mi bruciavano le labbra; ma ne è valsa la pena.

Così siamo usciti, con un vago piano di andare a fare una passeggiata notturna sul Bund, abortito subito per via dell’ennesimo sbalzo freddo-caldo (qui l’Imodium va via come le caramelle). Allora abbiamo fermato un taxi, comunque felici, perché è stata una bella giornata: prima al Museo di Shanghai a vedere dei vasi Ming meravigliosi, poi al mercato delle stoffe a ritirare dei vestiti e ordinarne degli altri, e infine a cena nel posto elegante (ben 18 euro a testa, per qui uno sproposito, anche se nei posti eleganti e/o per occidentali si vede ben di peggio).

Il viaggio in taxi è durato un quarto d’ora ed è stato altrettanto bello: siamo partiti da Xintiandi e abbiamo subito attraversato Huaihai Lu, che è una delle vie eleganti di Shanghai; di notte (erano le otto, l’ora a cui i ristoranti cominciano a chiudere) ci fanno le vasche le Porsche e le Ferrari, in mezzo a una miriade di taxi e a una folla di pedoni con le borse dello shopping, sfilando davanti ai meganegozi di lusso di tutti i marchi della moda; è un viale alberato in cui ogni albero, come fosse Natale, è circondato da palline luminose e illuminato da un faro, mentre i grattacieli dai marmi nuovi di zecca e le vetrine dalle insegne animate e colorate completano un quadro mozzafiato – una immagine che fa sembrare Madison Avenue roba da poveri.

Subito dopo si sbuca sul fondo di un parco e poi, girando a sinistra, ci si trova davanti al gigantesco raccordo tra la sopraelevata nord-sud e la sopraelevata che porta fuori dal centro verso le tangenziali. Quando si parla di sopraelevate qui non si scherza: non sono semplicemente dei sovrappassi, ma vere e proprie autostrade collocate ad altezza folle, di solito tra il quinto e il decimo piano dei palazzi, di modo da poter poi realizzare i raccordi senza una sola curva a cavatappi, incrociando le varie rampe sopra e sotto e ancora più sopra e più sotto. Fanno impressione, e quando ci siete sopra, magari su un bus il cui autista insiste nel sorpassare a destra un’auto che va troppo piano mentre percorre una corsia di immissione in curva, fanno anche un po’ paura.

Qui però il raccordo è sì a grande altezza, ma in pieno centro; non è certo una bellezza, e allora cosa hanno fatto? Hanno illuminato di blu il sotto e il lato di ogni singola rampa e blocco di cemento, e il raccordo è diventato un’opera d’arte contemporanea, un flusso di luce attorcigliato e annodato in mezzo al cielo e sopra le teste di chi sta ancora coi piedi per terra.

Di lì siamo saliti sulla sopraelevata nord-sud, e siamo andati avanti per parecchi chilometri; e per parecchi chilometri ci siamo trovati a venti metri d’altezza, su di un immenso viale diritto a otto corsie, circondati da grattacieli e complessi immobiliari da ogni lato, tutti illuminati in qualche maniera. Era come scorrere su un grande tappeto rosso – ai lati le torri di vetro cemento e luce a farci da guardia, e dietro di loro altre torri e altri palazzi e una città immensa a perdita d’occhio, tutta costruita negli ultimi dieci anni. Ogni tanto si incrociano un’altra autostrada, una delle decine di sopraelevate, una stazione della metro che da sola occupa un isolato, in uno scenario così apertamente e arrogantemente artificiale da proporsi come il nuovo ambiente naturale dell’uomo.

Se volete vedere cos’è la Cina di oggi e domani, dimenticate Pechino; Shanghai è il posto da vedere. Se volete vedere il mondo di domani, il futuro iperurbano e postmoderno, lo trovate qui. Se cercate l’America, l’America oggi è qui; e anche se dopo le prime meraviglie si vedono tutti i limiti, i rischi, i problemi, l’alienazione, il sovraffollamento, le ingiustizie, gli sprechi, è facile capire perché le persone che hanno lasciato l’Italia o altri paesi vecchi e maturi, sviluppati o in via di sottosviluppo che siano, e che si sono trasferite qui per cercare fortune migliori, siano grate ai cinesi ed entusiaste di questa città.

Se invece non volete vedere, credete pure al pensiero comodo dei cinesi che vivono nelle capanne di fango e rubano il lavoro al mondo lavorando da schiavi in fabbriche dalla tecnologia medievale, ammazzando le figlie femmine perché il solo concesso deve essere maschio. Ci sono anche quelli, ma non più qui, qui c’è una delle capitali economiche del mondo, qui le fabbriche stanno già delocalizzando da Shanghai alla Cina interna, all’Indonesia, al Vietnam, e i figli dei contadini che dieci anni fa sono diventati operai e impiegati oggi vivono con un portatile in braccio e guardano le quotazioni di Borsa; e il governo qui ha introdotto incentivi per fare più di un figlio, perché da oltre quindici anni la Cina è in decrescita demografica e i giovani vogliono lavorare, guadagnare e comprarsi la macchina invece di fare figli.

Che poi tutto questo possa prima o poi schiantarsi contro la fine del mondo occidentale – la fine delle risorse e dello spazio fisico – è senz’altro vero, ma è un problema che riguarda tutti, non solo i cinesi. Nel frattempo, qui è sbocciato un rinascimento che aspettavano da almeno tre secoli. Ci sono già stati nella storia dei periodi – ad esempio tra il VII e il X secolo – in cui la Cina era la nazione più ricca e moderna del pianeta; l’idea che ciò possa accadere di nuovo nel XXI secolo, per quanto ancora lontana dall’avverarsi pienamente, è tutt’altro che priva di fondamento.

[tags]viaggi, cina, shanghai, xintiandi, ravioli, autostrade, sviluppo, america[/tags]

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9 commenti a “L’America oggi”

  1. Alberto:

    E qui però mi perdo…
    Vai in Cina e chiami rinascimento il fatto che costruiscano più piani di sopraelevata in centro città, poi torni in Italia e lotti col coltello tra i denti contro la costruzione di una galleria sotterranea per un treno ad alta velocità o critichi la costruzione di grattacieli. Non so bene se sbagli nel primo caso o nel secondo, ma sicuramente non riesco a trovare tracce di coerenza tra queste tue posizioni. Mi aiuti?

  2. dariofox:

    @alberto:

    La risposta è in parte nelle tue stesse parole: fare una sopraelevata in una metropoli in crescita è più utile a chi la utilizzerà, piuttosto che bucare, per almeno dieci anni, una montagna per realizzare una nuova linea ferroviaria utile agli interessi di chi la costruirà… (per le motivazioni NOTAV rimando ai siti preposti).

    Aggiungo: in a casa nostra pensiamo di realizzare anche un ponte ciclopico dove a mala pena ci arriva una (auto)strada per far finta di essere un paese in crescita come la Cina e senza crisi…

  3. Bruno:

    Secondo me invece il problema sono le lampadine blu sotto il viadotto. Qui non le abbiamo e il viadotto perde di fascino.

  4. Alberto:

    Per quanto sono stato ed ho visto della Cina non mi pare proprio che sia un paese con uno sviluppo uniforme delle infrastrutture di trasporto né ho l’impressione che lì un’opera pubblica sia realizzata solo dopo un’accurata analisi di costi e benefici, né infine credo che in Cina chi realizza un’opera pubblica lo faccia per il solo sviluppo e crescita del paese. Leggevo che, secondo i progetti del governo cinese, entro il 2012 le linee ad alta velocità costituiranno più del 10% della rete ferroviaria cinese e che c’è il progetto di collegare tramite alta velocità le città cinesi con l’Indocina, la Mongolia e le repubbliche ex-sovietiche dell’Asia centrale.
    Non dico che il modello cinese sia sbagliato. E’ un paese che è passato in pochi decenni dal medioevo al terzo millennio, e questo anche grazie ad una totale deregulation in vari campi, tra cui quello delle opere pubbliche: non puoi pensare che vedano l’ambiente, il territorio, il benessere dell’individuo come lo vediamo noi. Né dico che sia sbagliato in Italia battersi contro la costruzione di opere pubbliche che pur rientrano in un modello generale di modernizzazione, se si ritiene che modifichino il territorio o che siano sbagliate, inutili o non prioritarie rispetto al budget a disposizione. Sono due estremi in un punto imprecisato dei quali colloco personalmente un giusto compromesso. Dopodiché essere notavisti in Italia e futuristi in Cina mi pare vagamente incoerente…

  5. Alberto:

    P.S.: Ovviamente era @dariofox…

  6. vb:

    Cina e Italia sono a due punti comunque ben diversi di sviluppo (a tutt’oggi, il PIL annuo pro capite medio in Cina è 3300 dollari e anche nella città più avanzata, Shanghai, siamo attorno ai 10000 dollari; l’Italia è a 38000) e in climi economici ben diversi; per esempio, costruire una, anzi dieci linee di metropolitana qui ha un’urgenza dovuta al fatto che l’urbanizzazione e la conversione a modelli di vita occidentali (pendolarismo, shopping in centro ecc.) di milioni di persone all’anno rendono tali infrastrutture imprescindibili, mentre da noi la linea di metropolitana ha senso in un’ottica di sostituzione del traffico privato ma non in un’ottica di espansione del trasporto complessivo, e la TAV… se guardi i dati non soddisfa alcuna necessità concreta.

    Io non sono per principio contrario ad alcuna opera pubblica, solo credo vadano esaminati costi, benefici e prospettive credibili di uso nei prossimi cinquant’anni. Non sogno un mondo a lume di candela e dorso di mulo, mi pongo se mai il problema di come mantenere il benessere come lo intendiamo noi, per quanto possibile, a fronte di un progressivo esaurirsi delle risorse naturali. Come scrivevo, è un problema con cui dovranno confrontarsi anche i cinesi, non è che per loro non valga; questo non cancella però l’ammirazione per quello che sono riusciti a fare in pochissimi anni.

  7. Alberto:

    Una linea ferroviaria ad alta velocità, una linea di metropolitana o un grattacielo rispondono in ogni parte del mondo alle stesse esigenze, che poi è quello di rendere un’economia più competitiva riducendo le distanze percepite, in un caso perché compatti le persone, negli altri perché riduci i tempi di percorrenza. Non è vero nemmeno che la presenza di nuovi sistemi di trasporto non produca in Italia un’espansione del traffico; per farti un esempio ogni volta che in Lombardia è stata allargata la rete di trasporti ciò ha prodotto un aumento del pendolarismo con Milano ed una conseguente risaturazione del traffico e lo stesso fenomeno lo puoi osservare sulla tangenziale di Torino dove l’allargamento della tangenziale ha avuto lo stesso effetto pur in una città con un’economia meno dinamica.
    Il fatto che il reddito procapite sia inferiore non toglie il fatto che il sistema Cina sia già oggi pienamente competitivo con quello di altri paesi tra cui il nostro. Oggi certamente ciò accade soprattutto per il costo del lavoro inferiore, ma se già oggi i redditi dei lavoratori in Cina stanno crescendo e domani il costo del lavoro potrebbe non essere più un punto di forza del colosso asiatico, lo sarà probabilmente l’efficienza del sistema economico-produttivo se avranno sfruttato la crescita vertiginosa di questi anni per dotarsi di infrastrutture più efficienti delle nostre. Per questo già oggi la competizione con la Cina si gioca anche su questo piano.
    In questa competizione possiamo certo seguire diversi approcci: seguire la Cina in un modello di sviluppo tumultuoso e incontrollato, oppure limitarci ad investire su poche opere di sicura fruibilità. E’ però fondamentale che il criterio con cui si determinano le priorità non sia così restrittivo da lasciarci indietro, e soprattutto che sia omogeneo sul territorio, altrimenti accadrà come oggi in Italia, dove ci sono città in cui sorgono linee di metrò e grattacieli come funghi ed altre in cui ogni volta che si sposta un’aiuola ci si mette a fare mille studi di impatti, costi e benefici.
    Dopodiché anch’io sono ammirato dell’imponenza delle opere che vengono realizzate in Cina, ma non mi nascondo che ciò è possibile in quel paese non perché i Cinesi siano superuomini ma semplicemente perché le difese sindacali, le analisi di impatto ambientale ed economico sono del tutto ignorate. Esattamente come il fatto di essere ammirato dalle piramidi egizie non significhi condividere un modello di sviluppo basato sullo schiavismo.

  8. vb:

    Infatti nessuno condivide lo schiavismo, anche se credo di aver reso una dimensione aggiuntiva del problema segnalando come “schiavismo”, “sfruttamento”, “equità sociale” eccetera siano concetti profondamente culturali e dipendenti dallo stadio di sviluppo della società che si esamina, dunque ciò che a noi sembra schiavismo per loro può essere visto come un progresso rispetto a prima.

    Riguardo alla tua osservazione sul collegamento (evidente) tra rapidità del progresso cinese e “mancanza di democrazia” (che in realtà è mancanza di individualismo nelle loro società, ovvero il concetto ampiamente diffuso che non esistano in primis “diritti umani” ma esistano innanzi tutto interessi della collettività gestiti dall’autorità e che prevalgono su tutto), è un collegamento che fanno per primi loro stessi e che fanno in senso positivo: sia i cinesi d’elite (ad esempio gli accademici) sia gli italiani che vivono là ti rispondono dicendo che un’altra visione e dunque un altro sistema politico non è possibile per un Paese di quelle dimensioni, e che comunque “non vogliamo mica finire come in Italia dove ci vogliono dieci anni di discussioni, petizioni, tribunali e deliberazioni per spostare un palo da un lato all’altro della strada”.

    A me non piace nessuna delle due cose, né l’autoritarismo cinese né l’indecisionismo delle democrazie occidentali, come sempre bisognerebbe trovare una sintesi degli aspetti positivi di entrambi i sistemi… la solita sana via di mezzo.

  9. Alberto:

    Quelli che citi: “schiavismoâ€, “sfruttamento†ecc, sono in realtà semplicemente dei concetti. Quello che cambia da cultura a cultura è la connotazione per la quale noi attribuiamo al concetto di schiavismo una connotazione negativa, in quanto contrario alla nostra etica, così come ad esempio facciamo per il concetto di dittatura. Ovviamente l’etica che ci porta a considerare negativamente un sistema autoritario è talmente radicata in noi da faticare a dividere la condanna etica della dittatura con quello che è il bilancio tra vantaggi e svantaggi pratici di un sistema autoritario. E’ naturale che chi viva sotto un sistema autoritario tenda invece a far propri ed evidenziare i vantaggi dello stesso in termini di decisionismo, così come fanno ancora oggi molti di quanti in Italia hanno vissuto sotto il Fascismo.
    Il punto a proposito della Cina è proprio quello che accenni, ovvero che la mancanza di democrazia nasce dalla mancanza di individualismo che porta il cittadino normale a non sentire l’esigenza di valorizzare sé come individuo, a non sentire il desiderio di risalire la scala sociale, a non sentire il bisogno di partecipare alle scelte di indirizzo del paese. L’individualismo che invece caratterizza la società occidentale non è però un dato che si collochi nelle società occidentali da sempre. La spinta individualistica nasce in occidente approssimativamente negli ultimi due secoli e mezzo: sociologi e filosofi si sono arrovellati sul dubbio se sia stata la rivoluzione industriale ad aver prodotto l’individualismo o l’individualismo ad avere prodotto la rivoluzione industriale: a prescindere però da ciò ci basta sapere che ciò che ha prodotto quella mentalità è un processo storico e non ci sono validi motivi per ritenere che quello stesso processo storico non si possa realizzare altrove, eventualmente molto più velocemente, come veloce è il mondo di oggi. D’altra parte, contrariamente a quanto non si pensi, già nella Cina di oggi ci sono scioperi e rivendicazioni sindacali (non sempre represse dall’autorità) che vanno di pari passo con la crescita dei salari.
    Per quanto riguarda il dilemma tra decisionismo autoritario e indecisionismo democratico, il limite della democrazia sta proprio nel fatto che, perché funzioni meglio di un sistema autoritario, debbono verificarsi una serie di condizioni sociali. In una macroorganizzazione come uno Stato vigono in fondo le stesse regole che vigono in una microorganizzazione, come ad esempio un’associazione, ovvero che un’organizzazione basata sul consenso diffuso funziona laddove ci sia armonia e spirito di mediazione, altrimenti funziona meglio una organizzazione verticistica. Per questo i tentativi di imporre la democrazia con le armi hanno avuto in genere risultati deludenti, se non fallimentari.
    Penso quindi che la giusta via di mezzo tra Italia e Cina non la si raggiunga prendendo ispirazione da chi segue modelli che noi abbiamo lasciato alle nostre spalle, ma da quei paesi più avanti di noi nel costruire un tessuto sociale omogeneo e coeso, con un grado di fiducia alta dei cittadini nelle istituzioni, in cui le decisioni vengono prese rapidamente perché funzionano bene quei meccanismi democratici che da noi sono invece lenti e farraginosi.

 
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