Una domenica da ultrÃ
Dopo avervi raccontato del mio pessimo sabato, ecco anche il racconto di una interessante domenica: la mia prima trasferta calcistica, a Brescia.
La trasferta inizia alle 8,30 di domenica mattina, quando il piazzale davanti alla stazione Lingotto brulica di maglie granata. Un migliaio abbondante di persone si affolla, versando le quote di trenta euro per ricevere in cambio il biglietto della partita, l’accesso al treno e una maglietta; e nel frattempo chiacchiera placidamente, legge il giornale o fa colazione al bar.
Ci vuole oltre un’ora per caricare tutti sul treno, attraversando una timida perquisizione da parte di un manipolo di poliziotti. Il treno ha una dozzina di carrozze, che sono suddivise a seconda del gruppo che ha venduto il biglietto. Io sono con il gruppo dei Geneticamente Granata, quello della curva Primavera, che per quanto riguarda le trasferte è affiliato ai Viking Granata. Saliamo tra gli ultimi, e per un colpo di fortuna troviamo uno scompartimento ancora libero, che viene prontamente occupato.
Scopro così che i treni dei tifosi non sono come i treni normali. Si tratta di carrozze vecchissime, adibite a questo solo scopo, e già deturpate da innumerevoli partite, ultima delle quali apparentemente un Livorno-Inter che ha lasciato a pennarello vari cazzi nerazzurri. La nostra carrozza risale probabilmente agli anni cinquanta, è una di quelle vecchissime carrozze a scompartimenti con i sedili di pelle marrone, tutti scassati, i braccioli rotti, l’illuminazione non funzionante. Un carro bestiame, insomma, in cui dobbiamo pigiarci in nove o dieci, stringendoci e facendo i turni a stare in piedi nel corridoio.
Nonostante questo, la trasferta parte verso le 10,20 in grande allegria. Il treno si dirige verso Alessandria; partono i cori, ed ogni occasione è buona per sporgersi dal finestrino e gridare qualcosa ai passanti. Il treno comincia a rallentare, a fermarsi, poi prende inopinatamente verso Pavia. Ci chiediamo da dove vogliono farci passare, visto che probabilmente ci rallentano per farci arrivare appena appena in tempo; ma poco importa.
Il momento più surreale si raggiunge all’altezza di Opera, alla periferia di Milano, quando il treno rallenta e si ferma in mezzo alla campagna, proprio di fronte a un campo di golf. I cumènda milanesi, vestiti griffati, sgranano gli occhi, quando un migliaio di persone si sporge dai finestrini e comincia a gridare come un sol uomo: “MERDE! BORGHESI DEL CAZZO! EHI, TU! QUELLA PALLINA INFILATELA SU PER IL CULO!”. Poi cominciamo a prenderli di mira facendogli “oooo…” mentre si concentrano per il drive. A un certo punto, dopo un quarto d’ora di fermata che ha decimato i golfisti, ci siamo rotti le scatole e cominciamo a gridare: “SE NON FATE RIPARTIRE IL TRENO SCENDIAMO E FACCIAMO PRANZO SUL VOSTRO PRATO!”. Detto fatto, il treno riparte di corsa.
Attraversiamo la periferia milanese e prendiamo per Treviglio. Man mano che ci avviciniamo a Brescia, diventiamo un po’ più seri; sappiamo che non è una trasferta qualsiasi. Non c’è buon sangue tra le tifoserie, e a Brescia ci sono ultras tanto duri quanto pericolosi.
Comunque, il treno arriva indenne in stazione alle 14, un’ora prima della partita, dove ci attendono su un binario secondario, a fronte del quale hanno piazzato un vecchio treno merci per evitare che qualcuno possa fuggire attraverso i binari. Tramite un cordone di agenti, ci forzano nel sottopassaggio, e poi… ci tengono lì. Per una decina di minuti un migliaio di persone sono pigiate in un corridoio di due metri per due; sudiamo, ci manca l’aria. Alla fine ci fanno uscire, e scopriamo che siamo rimasti soli.
Difatti, lo stadio di Brescia è lontano, ragion per cui i locali si sono dotati di appositi autobus per trasportare le tifoserie ospiti allo stadio (foto). In pratica, hanno preso i più vecchi bus urbani che avevano, hanno tolto i vetri, e li hanno sostituiti con delle grate di ferro spesso. Altri carri bestiame, insomma, su cui i tifosi vengono pigiati all’inverosimile. Ma i poliziotti, si sa, non sono forti in matematica: e per quanto si pigi, sui pullman che dovevano portarci allo stadio non ci stavamo tutti. E così, in un centinaio siamo rimasti indietro, staccati dal grosso; e questo, dal punto di vista dell’ordine pubblico, è demenziale: un invito all’agguato da parte dei bresciani.
T., uno dei capi degli Ultras, ci guarda in faccia uno per uno, e fa: “Siamo pochi…”. Poi sorride e aggiunge: “Pochi ma buoni!”. Nel frattempo il tempo passa; si fanno le 14,20, le 14,30… Siamo nervosi, abbiamo paura di perdere la partita: partono bordate di fischi. Nel frattempo, dal tam tam dei cellulari arrivano le prime notizie: il fotografo di Toronews aggredito da infami, quindici ultras contro due in una macchina targata Torino; sassaiole continue su tutti i pullman, sia i nostri che quelli dei club organizzati arrivati direttamente allo stadio.
Alla fine, alle 14,45, arrivano quattro autobus a prenderci. Saliamo di corsa, incazzati, tesi. I tre “vecchi” che erano con noi hanno cambiato faccia; salgono per ultimi, si tolgono le cinture e le preparano, si aggrappano alle porte e gridano all’autista finchè non ottengono che l’autobus parta a porte aperte. Quest’ultimo è un requisito essenziale per tanti motivi; sia per non restare intrappolati se ti attaccano; sia per poter scendere e rispondere; sia per potersi sporgere a guardare avanti, ed anticipare gli agguati. E così, ci facciamo tutta Brescia a ottanta all’ora senza fermarci, tra camionette della polizia a sirene spiegate, con due persone appese e sporte fuori a far la guardia.
Quando arriviamo allo stadio sono le tre meno uno; l’autista non sa dove fermare, e sceglie il posto peggiore. Saltiamo giù, e ci rendiamo conto di essere esattamente a metà tra la testuggine dei caramba da un lato, e la prima fila di ultras, a volto coperto, dall’altro. Ci togliamo di mezzo alla svelta, ma la carica non parte: sta per iniziare la partita, e così ci affolliamo sull’unico cancelletto del settore ospiti.
Nessuno vuol perdere la partita a causa della disorganizzazione della polizia, e quindi i controlli all’ingresso non esistono più: si sfonda. Probabilmente qualche decina di persone entra senza biglietto, e volendo si sarebbe potuti entrare con un bazooka in tasca. Peraltro, il decreto Pisanu sui biglietti nominativi è chiaramente una pagliacciata: il mio biglietto non era nominativo, e in un tale delirio, in un ingresso bersagliato di bottigliette e sassi dai tifosi locali della curva a fianco, non c’è certo modo di star lì a chiedere documenti.
Entriamo, e la partita è iniziata da poco. Lo stadio Rigamonti è ridicolo: all’inizio credo di aver sbagliato posto. Sembra un campetto di periferia, con gli spalti fatiscenti e tenuti su col bostik, tutti uno diverso dall’altro, tutti storti, la maggior parte fatta coi tubi di alluminio; una specie di delirio dadaista progettato da un geometra ubriaco. Però siamo vicini al campo, anche se praticamente a livello terra.
Seguono novantanove minuti di delirio totale. Una partita vista così, da bestie pigiate, è un’altra cosa: tremila voci in una bolgia che non smettono un attimo di cantare. I tifosi locali sono annichiliti; a un certo punto parte “LA GENTE VUOLE SAPERE”, e lo sentono fino a Bergamo. Loro sono divisi in due curve, e passano il tempo a insultarsi tra di loro, e nel tempo che avanza a insultare i propri giocatori.
Il Toro gioca bene, nonostante un arbitro cornuto che caccia Lazetic per lesa maestà ; e il gol di Abbruscato è lì a pochi metri, fa subito partire il delirio. Anche io perdo il controllo, scendo gli ultimi gradini sull’orlo dell’infarto, mi attacco alla barriera trasparente e urlo con tutto quel che ho (mi perdonino le signore): “SUUUCAAAAAAAA!!!”. Il secondo tempo non comincia mai, non finisce mai, pure sospeso per i loro fumogeni; la partita è dominata di intelligenza dal Toro, nonostante un paio di brividi.
Ma il meglio deve ancora venire: usciamo nell’antistadio, saliamo sui pullman, sempre più pigiati; a un certo punto parapiglia, ci fanno scendere, vediamo gente dei nostri che corre a rifugiarsi verso di noi. Si scopre che i bresciani si sono sparsi fuori, a ronde di venti persone, cercando di picchiare ogni bagliore granata; anche le donne, anche i bambini, anche i vecchi che cercano solo di riprendere la macchina. Restiamo pigiati dentro per un’ora, con la polizia a far da cordone; alla fine ci caricano sugli autobus e partiamo. Io sono finito sull’ultimo, e la cosa non promette nulla di buono.
Difatti, al primo incrocio c’è la pula, con ampio spiegamento di camionette; al secondo incrocio c’è la pula; al terzo incrocio non c’è più nessuno, salvo l’agguato dei bresciani.
Il nostro è l’unico autobus che si ferma, a forza di minacce all’autista, mentre ci arriva addosso qualche bottiglia e qualche pietra; ma loro sono solo quattro o cinque, di cui uno con un motorino; come armi hanno un casco, un ombrello e una stampella. Pensano di farci paura, corrono verso di noi; peccato che gli Ultras si siano organizzati, spargendo un po’ di gente tosta su ognuno dei pullman. Mentre l’adrenalina scorre e io non so che fare, scendono un po’ dei nostri, le cinghie in mano. Il motorino vola e si polverizza, mentre il suo proprietario se ne prende a sufficienza; i bresciani che possono scappano come conigli, ma li massacrano lo stesso. Dopo non più di quindici secondi, dalla porta entra l’ombrello, usato per agganciarsi al mancorrente e tirare su gli altri già di ritorno, mentre il pullman viene fatto ripartire sgommando. Dopo venti secondi arriva la pula, ma non c’è più nessuno. (Anche se pare che abbiano poi fermato uno dei nostri.)
E così, abbiamo vinto due volte: sul campo e in strada. Il ritorno è festoso ma stanchissimo. Per battezzarmi, mi dicono di insultare qualcuno o qualcosa alla stazione di Alessandria; fuori è un deserto, e mi esibisco in un grido di protesta contro quel che c’è, cioè “POSTE ITALIANE VAFFANCUUULOOOOO!!!”. Applausi. Alle 22,30 siamo di nuovo a Lingotto: una domenica da incorniciare.
Naturalmente, adesso mi aspetto un po’ di commenti moralisti a proposito della violenza e del teppismo negli stadi. Questa era la mia prima trasferta in treno organizzato, in una città calcisticamente calda come Brescia, ed è stata fonte di molte sorprese.
Una è stata scoprire quanto è divertente; ho passato dieci ore in treno ridendo, scherzando e divertendomi, condividendo bibite e panini e cantando. Un’altra è stata vedere l’incapacità e il menefreghismo di chi dovrebbe difendere l’ordine pubblico, mentre ad esempio sono stati i nostri stessi ultras, i presunti teppisti violenti, a organizzare le scorte ai tifosi “normali” e a salvarli dagli agguati dei bresciani.
Infine, è stato interessante accorgersi che la violenza non è affatto imposta da un manipolo di delinquenti; si tratta di un intero sistema anti-sistema, in cui le regole del vivere civile vengono temporaneamente sospese per la soddisfazione di tutti. La società ti permette di insultare le vecchiette e i golfisti e, se vuoi, anche di menarti (ma se non vuoi e non sei fesso non ti succede nulla); in cambio, ti tratta da bestia per tutto il tempo.
Potremmo discutere se ci abbiano trattato da bestie perchè ci comportiamo come tali, oppure se ci comportiamo da bestie perchè tutto è organizzato per trattarci come tali. E’ una domanda interessante.