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Archivio per il mese di Ottobre 2006


venerdì 13 Ottobre 2006, 14:21

Ancora sul treno di notte

A primo parziale complemento del post precedente, posso aggiungere che ieri notte le mie motivazioni hanno subito un certo colpo quando un po’ più tardi, appena passata Piacenza, ho cominciato a sentir arrivare un motivetto ossessivo da qualche sedile dietro a me: si trattava dell’attuale canzoncina degli spot Vodafone.

L’impatto della musichina è ovviamente devastante, visto che siamo tutti stanchissimi e cerchiamo di dormire; essa finisce, ma poi dopo qualche decina di secondi riprende ancora più forte di prima, e così via per un quarto d’ora abbondante, nel quale tre diverse persone attorno a me sbuffano, raccolgono le loro cose e vanno a cercarsi un posto meno rumoroso in un’altra carrozza, per riuscire a dormire un po’.

Alla sesta o settima ripetizione non ce la faccio più nemmeno io, e decido di girarmi e vedere cosa succede: scopro così che nei sedili dietro al mio sta un ragazzotto di Rovigo (come ha dichiarato lui stesso in una delle sue precedenti, rumorose, lunghissime telefoninate) che avrà una ventina d’anni, vestito firmatissimo, che tiene appoggiato sul tavolino davanti a sè un videofonino nuovo fiammante, col quale sta guardando all’infinito, in maniera ebete, una versione estesa dell’ultimo spot della Vodafone, col vivavoce attaccato per allietare col sonoro l’intera carrozza. C’è persino la possibilità che fosse in streaming UMTS, nel qual caso si sarà tranquillamente fumato una decina di euro… Il bello è che quando mi giro e lancio un’occhiataccia, lui mi vede e (forse avendo subodorato qualcosa per l’improvviso svuotamento della carrozza) mi dice: “AH, MA DISTURBA??”

Io non rispondo nemmeno, tanto siamo già oltre Lodi… mi appunto però mentalmente che gli italiani (meglio: parecchi italiani) si meritano appieno le bollette gonfiate, le suonerie addebitate a tradimento e gli operatori in regime di cartello. Mi spavento soltanto quando, a Milano Centrale, scopro che anche il figuro in questione è diretto verso il mio stesso treno, e bado bene di salire in una carrozza la più distante possibile.

Il suddetto treno, tra l’altro, è l’interregionale per Torino di mezzanotte e mezza, l’ultimo treno in assoluto a lasciare Milano ogni sera, che per le sue frequentazioni è stato ormai ufficialmente denominato “Freccia della Nigeria“. Aggiungerò soltanto che a Porta Susa, nel corridoio d’uscita, c’era un grosso manifesto con un numero verde e la scritta “Vittime del razzismo? Chiamateci!”; e davanti una fila di italiani per segnarsi il numero.

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venerdì 13 Ottobre 2006, 11:35

Perché

Anche se le posterò probabilmente domani mattina, mentre scrivo queste righe sono seduto sulla poltrona di un Eurostar da Roma a Milano, appoggiato sul tavolino con la matita in mano, mentre vedo scorrere fuori dal finestrino le luci della periferia di Firenze. Ho appena finito di mangiare il panino gnecco che ho arraffato al volo al supermercato della stazione Termini, e prima di passare ai wafer ho sentito il bisogno di rispondere per iscritto, come in una interrogazione tra me e me, a una domanda semplice ma ricorrente: perché lo fai?

Voglio dire, cosa spinge una persona che in questo momento, anziché aver davanti altre cinque ore di treno nel cuore dell’Italia addormentata, seguite da una lunga passeggiata fino all’automobile e da un letto raggiunto ad ore proibitive, potrebbe essere tranquillamente in poltrona davanti al televisore, o al cinema, o in birreria con gli amici? Invece di dedicare del tempo ad inseguire obiettivi nemmeno ben definiti e utopie di vario genere, non potrei dedicarmi anch’io a quello a cui mirano la gran parte delle persone della mia età, cioè farsi una famiglia e costruirsi una carriera remunerativa e sicura?

C’è certamente del piacere in questo mio girovagare da un incontro all’altro, sui treni e sugli aerei di mezza Europa e di un buon quarto di mondo. Ci sono la gratificazione del riconoscimento tra pari, il piacere della visibilità personale, l’ambizione di raggiungere prima o poi posizioni sociali riconosciute, la sensazione appagante di avere voce in capitolo, insomma di provare a cambiare qualcosa in questo mondo di cui tutti, ma proprio tutti, si lamentano, ma per cui ben pochi hanno la fiducia e la voglia di fare qualcosa.

Eppure, c’è anche la stanchezza, la delusione le volte in cui tutto il tuo sforzo sembra non portare a nulla, la solitudine imposta dai non-luoghi qualsiasi in cui passi le giornate di mezzo, un punto imprecisato in cielo tra un biscotto e un salatino, una stazione di campagna dove Trenitalia ti dimentica per mezz’ora prima di rilanciare il tuo treno, un albergo uguale ad ogni altro albergo come una catena di supermercati.

E’ probabilmente un circolo autoalimentato, se la fortuna di un discorso ben venuto – che, peraltro, è molto più preparazione e fatica che caso – ti porta in giro a fare altri discorsi, e ti toglie invece il tempo per sperimentare altre strade, i percorsi di vita più battuti, quelli generalmente più noti e prevedibili, e quindi un po’ noiosi ma tanto rassicuranti. Bisogna essere un po’ pazzi per rinunciare a uno stipendio, chiudersi con se stessi, e scommettere che tutto questo su e giù in nome di una tua personale interpretazione del bene collettivo ti porterà prima o poi non dico a mantenerti, ma almeno a qualche risultato di cui poi parlare ai nipotini altrui (che i tuoi, di questo passo, non esisteranno mai).

So però che non sono il solo: l’Italia è piena di persone che, a costo di rinunce, dedicano tempo ed energie a qualcosa che non ha come obiettivo principale un compenso monetario personale, ma qualcosa di più grande e meno chiaro; forse un ideale astratto e nemmeno detto forte, nell’era in cui l’ideologia è peccato; forse il fantasma di un sogno già stinto; forse solo quella pacca sulla spalla e quel sorriso che non c’erano quando era necessario, e che alla fine ripagano più di un intero deposito di Zio Paperone.

Siamo i monaci di Santa Maria Novella, su e giù per i binari come api o formiche, nel volontariato come in politica, come in tanti mestieri di valore sociale dove il futuro è dubbio e lo stipendio è secondario. Nel mio caso, però, c’è un po’ di sconcerto in più, perché se lo facessi per un’azienda o per un partito saprei che, prima o poi, ne sarei ricompensato.

Così, invece, non si sa. Ma d’altra parte cosa, oggi come oggi, si può sapere in anticipo della propria vita?

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mercoledì 11 Ottobre 2006, 08:26

AFK

Sarò offline per due giorni: sono in partenza per Roma, dove domani si terrà l’incontro pubblico del “comitato Nicolais“. Dovrò fare una presentazione, ma ancora non ho preparato nulla… mi saranno utili le sette ore di treno.

Comunque, sono veramente indietro con la posta: perdonatemi. Mi succede anche di rispondere di fretta, e poi trovarmi citato a pensare: ah, avessi avuto un attimo per scrivere un po’ meglio…

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martedì 10 Ottobre 2006, 22:25

L’improvviso interesse per la privacy

Il Garante per la Privacy esiste ormai da una decina d’anni; dopo la famosa gestione Rodotà, è ora in mano al professor Pizzetti.

Dopo un inizio alla garibaldina che ha veramente fondato una nuova cultura delle libertà individuali in Italia, specialmente in un contesto tecnologico, l’ufficio del Garante si è un po’ spento; negli ultimi anni si è distinto più che altro per l’infame tassa che obbliga tutte le aziende italiane a versare 150 euro a testa per comunicare che, sì, ogni tanto vengono elaborati dei dati.

Eppure, ci sarebbero questioni che richiedono un urgente intervento del Garante; tra quelle che seguo direttamente, c’è l’inqualificabile pratica, pervicacemente imposta dal governo americano, di pubblicare obbligatoriamente i dati di chi registra un dominio. Su questo s’è vista scarsa, se non nulla attività.

Tuttavia, il Garante si è prontamente risvegliato dal torpore in un paio di occasioni recenti. Prima, allo scoppiare dello scandalo sulle intercettazioni telefoniche, si è affrettato a dire che bisognava proteggere la privacy dei politici coinvolti, prima che i politici stessi, a tempo di record, non si votassero da soli la distruzione delle intercettazioni stesse.

E poi, adesso che le Iene hanno colto sul fatto le abitudini dei parlamentari italiani in materia di droga, sono bastati due giorni perchè, per proteggere la loro riservatezza, il Garante censurasse l’intero servizio.

E mi lasciasse qui a meditare se sarà mai possibile che in Italia i diritti vengano applicati anche quando sono dei poveracci, e non solo di chi deve usarli per difendere la propria posizione da qualsiasi ancorchè vaga minaccia.

E se davvero chi ci governa ci ritenga così stupidi da non accorgerci di questo uso spudoratamente privato del potere pubblico.

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martedì 10 Ottobre 2006, 20:24

La notizia

La notizia non è che Google compri Youtube per qualche fantastiliardo di dollari.

La notizia è che ne parli il TG5, alle 20:15 scarse, persino prima dell’infilata di cronaca (e di una perdibile, infinita intervista promozionale a Giampaolo Pansa da parte della signora Rutelli… ah, l’Italia).

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lunedì 9 Ottobre 2006, 15:32

Nerd pride

Sicuramente avrete sentito parlare di World of Warcraft, il gioco di ruolo online in cui un nerd si deve iscrivere, creare un personaggio fantasy, e passare davanti al computer dalle quattro alle sei notti a settimana – più qualsiasi altro intervallo di tempo libero dal lavoro ove disponibile – ripetendo ossessivamente la pressione di determinate sequenze di tasti, fino a completa distruzione della propria vita sociale (ammesso di averne avuta una in precedenza). Io, preferendo la vita sociale faccia a faccia, ne sono uscito dopo tre mesi, ma la maggior parte dei miei amici è ancora lì dentro dopo quasi due anni, e così oggi a pranzo mi hanno prontamente segnalato il recentissimo crossover tra World of Warcraft e South Park.

Da Youtube, potete guardare il trailer, e poi la prima, seconda e terza parte della puntata. Tutto sommato, mi sembra uno sfottimento ancora gentile; d’altra parte i nerd sono il pubblico principale di South Park… Sono anche uno dei più ambiti in generale, visto che il nerd medio è single o equiparabile, ha pochi amici, e pertanto ha allo stesso tempo soldi da spendere, tempo disponibile, necessità di gratificazione e bisogno di attività ossessivo-ripetitive (dal collezionismo all’uccisione di cinghiali virtuali) per non dover fare i conti con le proprie frustrazioni; insomma, i nerd sono un’ottima cash cow per le aziende di entertainment.

Niente a che fare insomma rispetto all’orrido La pupa e il secchione, di cui peraltro ho solo notizie indirette, non avendone mai visto nemmeno cinque minuti, ma che mi pare il genere di sfottimento cattivo che hanno gli autodefinitisi normali nei confronti degli eterodefiniti disabili (sociali): dalla descrizione che me ne fanno, pare che gli autori del programma volessero inizialmente metterci dei ritardati mentali e sfottere quelli, ma poi si sono resi conto che sarebbe stato illegale e hanno ripiegato sui nerd, che non sono ancora categoria protetta.

D’altra parte, tempo fa un marchettaro (il nemico naturale dei nerd) mi disse con boria che i videogiochi – e a maggior ragione quindi quelli online e invasivi come World of Warcraft – erano stati inventati proprio per tenere chiusi in casa i nerd, in modo che non disturbassero le persone normali facendosi vedere per strada o nei locali…

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domenica 8 Ottobre 2006, 18:21

Riviste da bagno

Interrompo un attimo il mio furibondo torneo domenicale di Gino Pilotino per segnalare una meravigliosa rivista che ho scoperto nel bagno di Simone, che si è rivelato una autentica fucina di letture coprologiche che non facevo da anni (tra cui Gente e TV Sorrisi e Canzoni).

La rivista si chiama Mondo Sudoku e contiene, ovviamente, sudoku (ma anche altre varianti esoteriche). La cosa meravigliosa però è il titoletto riportato in copertina subito sotto la testata, che dice testualmente: “Originali dal Giappone, creati senza computer”.

E io mi sono immaginato la vecchina che va in un’edicola e chiede un giornale di sudoku, “ma me ne dia uno bello, eh, non quelli con i sudoku tutti uguali che li finisco subito”, e l’edicolante che si avvicina e le fa sottovoce: “Signora, guardi, ne ho uno speciale tutto per lei, guardi, questo qui!” Le porge Mondo Sudoku e aggiunge “Questo qua lo fanno apposta in Giappone, eh, mica come quelle copie cinesi da poco… e poi, pensi, è fatto tutto a mano, non è una produzione industriale, di quelle disegnate col computer…” E la vecchina che fa “oooh…”, compra il giornale e se ne va a casa tutta soddisfatta, immaginando anziani monaci giapponesi che, recitando mantra per ringraziare gli dèi, disegnano lentamente nuovi sudoku su grandi fogli di carta, con il pennello intinto nell’inchiostro…

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sabato 7 Ottobre 2006, 10:05

Supersbagliati

Ieri sera, girando per l’Auchan, ho scoperto come mai la gente non sa l’italiano: glielo mostrano sbagliato dappertutto.

Già si potrebbe discutere sull’offerta pubblicizzata a caratteri cubitali come “Se trovi un prodotto alimentare più caro, ti rimborsiamo 10 volte la differenza”. Certo, c’era l’asterisco con la scritta in piccolo “consultare il regolamento”, ma detta così, noi pensavamo di arrivare lì con un tartufo da mezzo chilo e confrontarlo con un sacchetto di farina.

Però la cosa migliore è stato il vasetto di “Melanzane alla napoletana” che come sottotitolo sulla lista degli ingredienti aveva: “Fette di melanzana ricettate in olio”. Sono sicuro che volessero dire che non erano al naturale, ma cucinate secondo una ricetta; tuttavia, dopo aver letto la scritta, non le ho comprate. Non vorrei mai trovarmi la Finanza in casa.

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sabato 7 Ottobre 2006, 02:02

Notturno urbano

Stasera ero solo, erano le otto e mezza, ero fuori – avevo accompagnato Simone nella spesa preparatoria per la cena di domani – e non avevo proprio voglia di mangiare a casa. Così, nel buio appena sceso sul centro commerciale di corso Romania, mi sono infilato in macchina e sono andato a cena in birreria.

Oggi, a Torino, c’era un traffico assassino; non solo per la mezz’ora abbondante di coda in via Reiss Romoli, dovuta a due macchine dei vigili urbani infilatesi dentro una utilitaria che aveva tagliato loro la strada (roba da scena finale di Blues Brothers). Il problema peggiore per il traffico odierno è stata l’insolita abbondanza di guidatori piantati ai quaranta all’ora in mezzo ai corsi; presumo si tratti di gente che di norma non prende mai l’automobile e che a malapena distingue l’acceleratore dal freno. Oggi c’era sciopero degli autobus – ma anche degli edili, dei giornalisti, e dei precari comunali – e quindi sono usciti tutti dalle catacombe.

Tuttavia, il buio semplifica le cose, e rende tutto più immediato e sincero; ivi compresa la circolazione automobilistica, su cui il peso della massa indistinta e inscatolata che esce dal lavoro si allenta d’improvviso, e permette finalmente un po’ di sano movimento.

Il senso della serata, comunque, è il piacere della casa estesa che è la tua città, di quell’insieme limitato di posti che hai visto crescere con te, oppure restare immutato mentre tu crescevi, e che comunque conosci a menadito anche se non ci passi da mesi. Il Manhattan, ad esempio, è una birreria che ha visto passare tutte le stagioni; per ciascun tavolo potrei citare un episodio nell’arco di quindici anni, i festeggiamenti dopo Toro-Real di Coppa Uefa, l’attesa del concerto degli amici, la cena offerta prima del concerto tuo, le uscite con diversi gruppi, quelle con la fidanzata dove siete stati bene, e quelle con la fidanzata dove poi avete litigato.

E quelle da solo, una pizza e una birra, ad ascoltare con piacere del jazz strepitoso venire da una cassetta attraverso gli altoparlanti del locale, un jazz destrutturato eppure pieno di trama, caotico e coerente come la vita. Subito dopo, a tradimento sotto il salamino piccante, pezzi a cui sei legato per motivi diversi, With My Own Two Hands di Ben Harper, Are You Gonna Go My Way di Lenny Kravitz, persino l’eccezionale quanto rimossa Get On The Snake dei Soundgarden primo periodo, quelli che qui a Torino da perfetti sconosciuti vennero spediti sul palco del Delle Alpi, attaccati a un Marshall che sparava sì e no fino alla quinta fila, ad aprire i Faith No More che aprivano i Guns’n’Roses. E’ la giornata della musica che tesse e trama alle tue spalle e ti stabilizza e ti scuote insieme; avrei dovuto capirlo quando stamattina Radio Flash ha mandato Grace di Jeff Buckley.

Il Manhattan, peraltro, è un posto sozzo come non si può immaginare, dotato di musica eccellente che sul tardi diventa anche dal vivo, di un cesso che incoraggia il vomito, e di una cucina tanto semplice quanto eccezionale, con porzioni da rinsaldare l’amicizia. All’ora di cena è quasi vuoto, c’è solo qualche coppia giovane e un paio di famigliole, e sembra una cripta da vampiri, per quanto abbiano appena aperto una espansione in cortile. Come luogo letterario è perfetto, anche quando l’esperienza letteraria è uscire dal mio corpo, spostare la telecamera col joystick e guardarmi solo e pensieroso al tavolo numero tre.

C’è ancora spazio per un gelato dall’altro lato della città: un inseguimento giocoso con un’altra 147 sulle nuove rotonde di via Livorno, le precedenze annurche di piazza Statuto, i centoventi sfiorati ma non raggiunti sui binari del tram in via Borsellino, e la fila di doppie file e quattro frecce davanti alla gelateria in via Monginevro, che da quando il 15 non è più un tram si lascia la macchina anche lì. Al ritorno, la radio spara un po’ di tutto, The baby di Morgan, persino J’aime l’amour a trois di Stereo Total (una chicca). E’ la serata delle luci di città, la serata della loro musica; che ci volete fare.

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venerdì 6 Ottobre 2006, 18:01

Prodi e la cultura

La cultura, si sa, è importante. Lo è specialmente quella stampata, e lo è ancora di più per la sinistra italiana: la rivista, il quotidiano e il libro, in ordine crescente, sono considerati l’elemento distintivo delle persone intelligenti (di sinistra) rispetto ai buzzurri qualsiasi (di destra). Deve essere per questo che il governo Prodi ha destinato particolare attenzione all’editoria proprio in questi giorni.

Per prima cosa, la legge finanziaria, per uno di quei miracoli legislativi che esistono solo in Italia, contiene anche una piccola ma cruciale revisione della normativa sul diritto d’autore. E’ stato aggiunto di soppiatto il seguente testo:

“I soggetti che realizzano, con qualsiasi mezzo, la riproduzione totale o parziale di articoli di riviste o giornali, devono corrispondere un compenso agli editori per le opere da cui i suddetti articoli sono tratti. La misura di tale compenso e le modalità di riscossione sono determinate sulla base di accordi tra i soggetti di cui al periodo precedente e le associazioni di categoria interessate. Sono escluse dalla corresponsione del compenso le amministrazioni pubbliche di cui al comma 2 dell’articolo 1 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n.29.”

Cosa vuol dire? Ufficialmente, è un modo per “regolamentare” le rassegne stampa professionali, ossia quei servizi che ti mandano ogni giorno una selezione di articoli sugli argomenti che hai specificato di tuo interesse; essi dovranno pagare una quota – presumibilmente, per motivi pratici, proporzionalmente alla quantità di articoli riprodotti – che verrà poi spartita in qualche modo tra gli editori.

Tuttavia, se leggete, non c’è scritto in alcun modo che la questione riguarda solo chi lo fa per mestiere, o chi ne trae un guadagno, o chi lo fa in maniera consistente, o chi lo fa per terzi (gli unici esentati sono gli enti pubblici: se c’è una buona occasione per aggiungersi un privilegio, come farsela sfuggire?). Da adesso, in teoria, anche citare o fotocopiare un capoverso di un articolo di quotidiano è soggetto al pagamento di una tassa. Per dire, per fare un post come questo io avrei dovuto pagare, non si sa bene (ancora) come e quanto. Non parliamo poi, che so, di fotocopiare e conservare gli articoli che mi interessano.

Sulla stessa scia, sono in arrivo altre iniziative, naturalmente tutte mirate a promuovere la vera cultura, a danno dei contribuenti buzzurri. Il vicepremier piacione “Ciriaco” Rutelli, teso a contendere a Veltroni la leadership della romanità, ha tenuto nella capitale gli “Stati generali dell’editoria 2006”, chiamando attorno a un tavolo tutti gli interessati: lui, l’associazione degli editori e i sindacati dei giornalisti.

In tale occasione ha annunciato che il governo costituirà un “Centro per il libro”, in pratica un collettore di soldi pubblici per finanziare le iniziative autopromozionali degli editori; ma soprattutto, riproporrà la legge sul diritto di prestito.

Per chi non è pratico, si tratta dell’attuazione di una famigerata direttiva comunitaria che prevederebbe l’abolizione di un concetto secolare, quello delle biblioteche pubbliche aperte a tutti. Si stabilirebbe difatti il principio che anche una biblioteca pubblica, per quanto gratuita e senza scopo di lucro, deve corrispondere all’editore un compenso per poter dare in prestito i libri. Di conseguenza, le biblioteche pubbliche diverrebbero a pagamento, o, in alternativa, lo Stato dovrebbe remunerare ogni anno gli editori a botte di milioni di euro.

Di fronte a questa prospettiva, approvata dal Parlamento Europeo dopo la solita campagna di lobbying delle grandi aziende del settore, altre nazioni hanno detto no: Spagna e Portogallo hanno fatto ricorso alla giustizia europea. Noi, invece, ci appresteremmo ad implementarla in silenzio, naturalmente sempre per promuovere la cultura.

Peccato che, nella pratica, tutto questo crescente drenaggio di soldi dalle tasche degli italiani e dello Stato finisca nel solito vecchio imbuto, la SIAE, che redistribuisce il maltolto in base al criterio della quantità. Pensavate che i soldi raccolti in nome della promozione della lettura finissero ai piccoli editori e agli scrittori emergenti? Al contrario, come per la musica, finiranno per la maggior parte nelle tasche dei grandi editori, quelli che pubblicano i calendari delle veline, le riviste popolari e i quotidiani gratuiti, che già fanno profitti significativi ogni anno, e i cui prodotti aumentano scientemente la buzzurritudine degli italiani, anzichè diminuirla. Quelli che sono promotori di cultura quando c’è da farsi abbassare l’IVA e farsi finanziare progetti dalla collettività, ma che sono “aziende che devono stare sul mercato” quando c’è da offrire un servizio pubblico o diffondere contenuti non di massa.

In compenso, in tutte le discussioni di cui sopra c’è un grande assente: la rete. Non sono più soltanto quattro aziende specializzate a far ricircolare gli articoli di giornale, ma centinaia di migliaia di persone, ogni giorno nei loro blog. E non sono più solo gli editori a promuovere la lettura, ma – oltre alle biblioteche e alle università, che però, secondo Rutelli, non essendo nè editori nè giornalisti non sono interessate dalla questione – persone e gruppi che digitalizzano libri, li trasformano in audiobook per i ciechi, li traducono in lingue dove non sono mai stati disponibili, e via così, inventando ogni giorno nuovi modi per far circolare la conoscenza, e renderci tutti un po’ meno buzzurri.

Purtroppo, per la gran parte del nostro mondo politico, le persone della rete sono invisibili. O peggio, sono pericolose; perchè in rete non c’è nessun editore che, con un colpo di telefono, può essere “invitato” a modificare un editoriale o ridimensionare una notizia sgradita al politico di turno, o al contrario a dare visibilità alle sue fregnacce. I nostri blog, a colpi di poche decine di lettore per volta, fanno informazione decentralizzata, e quindi, nell’aggregato, non controllabile.

Se volete approfondire, qui trovate una petizione da firmare contro il provvedimento sulle rassegne stampa, mentre qui ne trovate un’altra contro l’esclusione di biblioteche, università e gruppi culturali dalla discussione sulla promozione del libro. A questo ultimo link troverete anche l’articolo del Corriere della Sera che spiega i dettagli della seconda questione… almeno finchè non approveranno la legge di cui alla prima.

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