Sono giorni di gloria, questi, perché è da molto tempo, forse da sempre, che le mie giornate non erano così luminose.
Oggi a pranzo, per esempio, ero in giro con la mia bicicletta per le vie del centro di Torino, allagate di una luce fredda e abbagliante, riflessa giù dalle montagne lontane. In teoria dovevo soltanto mangiare e poi andare in ufficio, ma è stato bello scegliere di perdersi per qualche minuto nel giallo divino che colorava le strade e i palazzi, e nella folla che, come formiche uscite al sole per un prematuro disgelo, si spandeva disordinatamente per le piazze.
E’ una di quelle giornate in cui più che mai il centro di Torino è enigmatico e metafisico, con le sue prospettive infinite come un gioco di Escher, e la sua uniformità barocca che agisce da specchio. Arricchito da provocazioni postmoderne, che vanno dalle installazioni fintamente commerciali in via Buozzi fino alle linee d’acqua fumante di piazza Carlo Alberto, passando per le finestre fotografiche sull’umanità esposte in piazza San Carlo, il centro di Torino abbracciato dalle Alpi diventa una sfera sezionata da un reticolo, il simbolo stesso dell’umanità distesa al sole e in rapporto con il divino che illumina dall’alto.
E’ per questo che io e la mia bicicletta oggi eravamo come un punto che si sposta su un piano cartesiano, l’essenza nuda del moto della vita; proiezione strettamente purificata del significato dell’esistere, in un rapporto concettuale ma concreto con tutte le altre esistenze contemporanee, e con tutte le esistenze possibili. E’ uno di quei casi in cui si prova tristezza (tristezza, non pietà , perchè non vi è superiorità in questa sensazione) per quei troppi esseri umani persi nel freddo scientismo delle cose, nell’assenza di valori, progetti e significati superiori, e nel conseguente pessimismo cosmico che deriva dalla perdita collettiva del concetto di Dio.
Non è cambiato nulla, nella mia vita, per rendermi improvvisamente felice; nulla se non la constatazione che se gli oggetti e gli eventi sono sempre gli stessi, ciò che fa la differenza sono gli occhi con cui li guardiamo. Nella continua lotta tra il bene ed il male che tutti noi portiamo dentro, sono lieto della scoperta e della rivelazione di questa luce, che d’improvviso significa tutti i Corani e le Bibbie e le filosofie e le religioni del mondo, tutte in fondo equivalenti, tutte infine comprensibili persino quando non condivisibili. C’è ancora molto da scoprire in noi stessi, ma è più facile farlo dopo aver trovato la forza, quella che fa cadere ogni arma e ogni paura, quella di sorridere sempre e riconoscere in ogni altro un simile a sè, quindi degno di dare e ricevere amore, se soltanto liberato dalle catene del dolore e dell’insicurezza.
Spero che la forza non mi abbandoni più, anche se so che, talvolta, potrà succedere; ma ho fiducia nel fatto che saranno cedimenti occasionali. In fondo, credo che questi giorni di gloria derivino dalla Scelta infine raggiunta, quella di avere il coraggio di agire per essere nè meglio nè peggio, ma semplicemente e finalmente se stessi.