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Archivio per il mese di Dicembre 2007


lunedì 3 Dicembre 2007, 17:02

L’inutilità del software libero

Il motivo per cui sono venuto in Cina è l’acquisizione di un prodotto software per Internet, che una azienda cinese ha realizzato (mettendoci una decina di sviluppatori per due-tre anni) e che ora vorrebbe cedere.

Il prodotto è bello e funziona bene, è parecchio avanzato e anche tecnicamente all’avanguardia – certamente più degli equivalenti progetti europei e americani. Però ha un difetto: per ora, l’unica implementazione disponibile utilizza i formati multimediali di Windows Media e gira solo come plugin per Internet Explorer su Windows. Per cui, ovviamente, siamo arrivati con le nostre richieste per chiedere se ci facevano anche il porting.

Abbiamo così dato vita a una conversazione surreale con l’amministratore delegato e il direttore tecnico di questa azienda cinese, che suonava più o meno così:

Italia: “Dunque, vorremmo però che il sistema utilizzasse anche Flash, non solo Windows Media.”

Cina: “Flash? Sì, ne abbiamo sentito parlare, ma perché volete usare Flash? Tanto i computer hanno già tutti Windows Media.”

Italia: “Beh, no, non tutti, dipende dal sistema operativo… e poi anche il browser cambia, ci servirebbe che funzionasse anche dentro Firefox.”

Cina: “Firefox? Una volta l’abbiamo visto, ma qui da noi non si usa, se volete lo guardiamo meglio…”

Italia: “Sì perchè, sapete, ci servirebbe davvero che il sistema funzionasse con altri sistemi operativi, non solo con Windows.”

Cina: “Certo, ma è già così: funziona anche con Windows Vista.”

Italia: “Ok, abbiamo capito, ma a noi interesserebbe farlo funzionare sui Macintosh.”

Cina: “Macintosh?? Cos’è?”

Italia (mostrando iBook): “Ecco, questo, vedi… il sistema operativo è una variante di Unix.”

Cina: “Unix?”

Italia: “Non usate Linux?”

Cina: “Linux?”

Il punto è peraltro ovvio: in un paese dove la proprietà intellettuale è un concetto alieno, e dove – come da noi una decina di anni fa – il software è quasi sempre copiato e si trovano facilmente CD pirata a prezzo stracciato ovunque, tutti hanno Windows, Internet Explorer e Windows Media; non c’è alcuna necessità di utilizzare altro. Il software libero quindi è una idea incomprensibile ai cinesi, visto che “free as in free beer” il software lo è già, e “free as in free speech” è un concetto culturalmente alieno.

L’unica spinta che sta cominciando a portare Linux da queste parti è, paradossalmente, proprio il fatto che gli occidentali comincino a insistere seriamente perché i cinesi smettano di copiare il software, oltre alla naturale avversità che i cinesi hanno (e che dovremmo avere anche noi) verso l’idea di una emorragia di soldi in licenze verso gli Stati Uniti.

[tags]cina, software libero, windows, linux[/tags]

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domenica 2 Dicembre 2007, 17:09

La Grande Muraglia

Oggi siamo stanchissimi: qui è mezzanotte, domani mattina ho la sveglia alle otto e un quarto e in teoria ho anche un’altra sveglia alle tre e mezza di notte per seguire in streaming Toro-Genoa (ma ammetto che potrei dare forfait).

Oggi io e il mio socio (gli altri due del gruppo erano stanchi e sono rimasti in albergo) siamo andati prima alla Grande Muraglia e poi al Tempio del Paradiso; e la giornata ha dato un senso al nostro viaggio. Credo infatti di avere cominciato a capire alcune cose della cultura cinese, per quanto lo si possa fare al terzo giorno di incontro.

Alla Grande Muraglia, tratto di Mutianyu, arrivi prima per una moderna autostrada a tre corsie – le corsie peraltro sono irrilevanti, ci si stringe e ci si infila come in un videogioco – che ha un costo occidentale, due euro per quaranta chilometri; poi per una bellissima strada di campagna che si snoda sulle pendici di una montagna costeggiando un lago e sembra Svizzera; è fiancheggiata da due strette file di pioppi che sono state dipinte per mezzo metro di bianco per fare da paracarro. Poi si attraversano un paio di villaggi di campagna, più che dignitosi e pieni di lampioni alimentati da pannelli solari, e si risale per un po’ una valle; e poi all’improvviso si vede là, proprio sulla cresta delle alte montagne, la muraglia che si staglia sotto il cielo e si estende a perdita d’occhio, con tanto di diramazioni e torri di guardia sulle montagne circostanti.

Per fortuna c’è una funivia per salire; in cima il cielo è terso e non c’è una nuvola, e l’aria sa già di ghiaccio, proprio come sulle nostre montagne (anche se qui siamo solo a un migliaio di metri di quota). Ci vuole un po’, magari anche un’ora di camminata in cima al muro, per capire perché è così straordinario, visto che anche noi abbiamo le nostre montagne e anche noi abbiamo le nostre fortificazioni, che non saranno lunghe settemila chilometri e costruite senza sosta per diciotto secoli, ma sono comunque imponenti.

Eppure ce l’aveva detto il nostro autista, prima di lasciarci andare: “you should walk by foot, it is good for body and soul”, e noi a guardarlo senza capire, “sure, sure”. Certo si fa una fatica notevole, perché il muro non è mai piatto, ma continua ad andare su e giù, ora di poco, ora ripidamente, per sequenze infinite di piccoli scalini.

E però è proprio quella la rivelazione, ciò che non si nota ma è la radice della perfezione di questo monumento; il fatto che non una pietra, non una roccia della montagna siano state tagliate o spostate per far passare il muro. La costruzione è adagiata sui monti come una corda sulla schiena di un dragone; ne segue le sinuosità naturali senza mai interferire con esse. Anche quando ciò costringe il muro a impennate quasi verticali, non c’è mai un terrapieno, un livellamento, uno sbancamento, una variazione di altezza o di spessore, a parte le casupole quadrate, semplici eppure meravigliosamente decorate, poste ad intervalli pianificati con tale cura da non farsi notare, ovvero là dove non disturbano la forma della montagna.

C’è una placca a un certo punto del sentiero che ritorna alla base della funivia, che spiega che la Grande Muraglia è bella perché è armoniosa. A prima vista sembra una di quelle affermazioni incomprensibili che si ottengono quando gli orientali traducono le proprie frasi – sequenze di concetti rappresentati per immagini – in modo letterale: arrivi al fondo e hai capito tutta la frase, ma non l’hai compresa. Bisogna arrivare in cima alla Grande Muraglia, faticare sui gradini e insieme respirare il vento e insieme ammirare la vista e insieme dimenticarsi ciò che si è, per capire cos’è l’armonia, l’unione e l’equilibrio perfetto di sostanza e spirito, di sé e di altro da sé, di individuo e natura; talmente perfetto da risultare ovvio, invisibile come uno zero, come due onde uguali ed opposte in totale sincronia.

A quel punto tutto è in discesa; anche il Tempio del Paradiso non è più un insieme di pagode a caso, ma una escrescenza naturale del terreno, anche se costruita dagli uomini. Si capisce perché un nuovo quartiere di lusso venga pubblicizzato come la sede per una “flawless life”, ossia una vita in cui nulla turbi l’armonia. Il termine “armonioso” compare ovunque: solo due settimane fa all’IGF i cinesi organizzarono un workshop su come realizzare una “harmonious Internet”, e tutti noi occidentali a ridergli dietro, o peggio ad accusarli che il termine nascondesse soltanto desideri censori. In realtà, temo che a noi manchi una intera categoria dello spirito.

[tags]cina, pechino, grande muraglia, mutianyu, tempio del paradiso, armonia[/tags]

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sabato 1 Dicembre 2007, 18:14

Perché la Cina è un grande Paese

Perché puoi andare a visitare il mausoleo di Mao mentre sta chiudendo, e una delle innumerevoli guardie all’ingresso ti noterà e, nello spirito di servizio tipico del dipendente pubblico comunista, si farà in quattro pur di servirti, gridandoti di seguirlo, e attraversando la strada col rosso pur di portarti in tempo al deposito borse per lasciare la macchina foto, e poi riattraversando di corsa, e poi portandoti fino all’ingresso, e poi, nello spirito imprenditoriale tipico del commerciante, chiedendoti una mancia di 10 euro, e tu gliene darai uno, con reciproca soddisfazione: servizio pubblico svolto alla grande, e economia privata spinta altrettanto alla grande.

Perché negoziano duro, ma senza richiedere le due ore di paziente conoscenza reciproca ed esposizione dei propri alberi genealogici davanti a un tè che ti richiedono i marocchini; bastano due minuti per “135 euro!” “No, 7 euro.” “120 euro!” “No, 7 euro.” “100 euro!” “No, 7 euro.” “Ma stai scherzando, vale proprio 100 euro!” “No, 7 euro.” (Pausa) “Ok, 15 euro!” “No, 7 euro.” “Ma dai, dammi almeno 10 euro!” “No, 7 euro.” “Allora niente.” “Ok, niente” (io mi allontano, la venditrice dopo un attimo mi insegue) “No aspetta, facciamo 8 euro, 8 euro e te ne vai dai!” “Va bene, 8 euro perché sei simpatica.” “Ok, affare fatto!” (e lei comunque ci ha guadagnato lo stesso un margine del 300%: era un pashmina misto seta, e io probabilmente potevo partire da 5 euro o anche meno).

Perché trovi ragazzi di trent’anni che ti dicono che lavorano dieci ore al giorno per sei giorni alla settimana, e lo dicono con orgoglio, non con scazzo.

Perché se a mezzanotte e mezza decidi che il giorno dopo vuoi vedere la Grande Muraglia ma non hai voglia di partire con il pullman delle 7,30, c’è un numero di telefono attivo 24 ore su 24 dove uno che parla inglese ti prenota una macchina con autista anglofono per il mattino dopo alle 9,30 sulla porta dell’albergo; e se tu non sei sicuro di come si pronunci il nome del tuo albergo in cinese, ti chiede il numero di telefono (una chiave numerica che si scrive allo stesso modo in entrambe le lingue e molto facile da comunicare anche in inglese) per usarlo come chiave unica di ricerca e verificarlo.

Perché se proprio non riesci a farti capire, c’è una ditta privata che fornisce 24 ore su 24 anche un servizio di traduttore simultaneo via cellulare.

Perché i venditori del mercato ti prendono per braccio per cercare di portarti dentro il loro stand, ma nessuno si è mai avvicinato con le mani alle mie tasche.

Perché puoi telefonare per venti minuti da una cabina a un cellulare per circa quindici centesimi di euro, e non ho visto pubblicità di suonerie da nessuna parte.

Perché puoi andare al ristorante e ordinare da una fotografia una teglia di pesce, aglio e peperoncino, ed è proprio così, una grossa teglia di metallo servita sul tavolo insieme a pietre calde per tenerla in temperatura, nella quale ci sono due grossi pesci al forno sommersi da centinaia di piccoli peperoncini rossi e svariate teste d’aglio spezzettate; essi galleggiano in un olio rosso rubino, e sfidano la sopportazione dell’essere umano occidentale, ma superato l’impatto iniziale (cosa che nessun altro al tavolo ha fatto, e me ne vanto) si rivela uno dei piatti di pesce più buoni che abbia mai mangiato – e costava cinque euro e mezzo in un buon ristorante.

Perché qui nei mercatini compri la stessa identica roba che compri in Italia, dai vestiti all’elettronica spicciola, ma la paghi dal 50 al 99 per cento in meno.

E poi è grande perché ci devono stare dentro un miliardo e trecento milioni di persone, e che diamine!

[tags]cina, mao, grande muraglia, cibo[/tags]

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