Una decina di giorni fa, sono stato a Pavia, a un matrimonio italo-polacco. Durante la cena, al tavolo c’erano anche alcuni ospiti, che avevano trascorso la sera prima a Milano. Così gli abbiamo chiesto che impressione avessero avuto dell’Italia, e la risposta è stata: “bellissima, meravigliosa, straordinaria…” Dopo tre minuti di complimenti, però, hanno aggiunto: “C’è una cosa sola che ci ha spaventato, e che non abbiamo capito: ma è normale che ci siano tutti questi mendicanti, questi zingari e questi venditori di falsi per le strade? Noi non avevamo mai visto una cosa del genere… ma perché la polizia non li arresta o non li manda via?”.
Ecco, credo che l’Italia sia vittima di un dramma tutto suo, il risultato di cinquant’anni di approccio ideologico a questioni come l’ordine pubblico, la microcriminalità e la convivenza civile, che sono invece molto pratiche e molto concrete, e costituiscono la base del nostro patto di cittadinanza: se una volta l’anno qualcuno compie una strage e ammazza cinquanta persone possiamo ben pensare che sia un caso di antisocialità isolata, ma se ogni cinque minuti vedo qualcuno che passa col rosso, ruba un portafoglio o piscia su un portone, posso concludere che è l’intera società ad essersi dissolta e comportarmi anch’io di conseguenza.
Prendiamo per esempio la sentenza della Cassazione che dice che non è affatto discriminazione invocare provvedimenti contro ambienti criminali, perché essendo criminali è giusto che vengano trattati diversamente dagli altri, e di conseguenza anche far notare che in certi gruppi etnici o sociali (come i rom) il tasso di criminalità è più alto della media, auspicando provvedimenti specifici, non è affatto una affermazione razzista. A me sembra ovvio; ci vuole la Cassazione per far notare che prendere di mira un gruppo ad alto tasso di criminalità non è una discriminazione nei suoi confronti, ad esempio – per non parlare sempre di rom – che mandare più polizia in Sicilia per combattere la mafia non è razzismo anti-meridionale? Eppure c’è una parte consistente d’Italia che ha subito gridato al fascismo; sembra che qualsiasi tentativo di impedire ai delinquenti di delinquere – specialmente se sono stranieri – sia considerato razzismo.
Parliamo allora di quel giudice di Verona che non ha convalidato il fermo di due nomadi su quattro, arrestati dopo mesi di riprese e di indagini della polizia che provavano senza ombra di dubbio come essi mandassero i figli a rubare invece che a scuola. Secondo il giudice, bontà sua, i due di cui si è capito (tramite le impronte) che erano già stati arrestati rispettivamente “solo” 41 e 95 volte, fornendo ogni volta un nome diverso, possono restare in carcere; gli altri due possono andarsene tranquilli, perché non sarebbe stato adeguatamente provato il rischio che essi possano fuggire.
Scusi? Io arresto due persone nomadi, che vivono in una roulotte, e non esiste il rischio che di fronte a un processo che li aspetta questi possano fuggire? Due persone che (al di là dell’odioso reato loro contestato) agivano in gruppo con altre che hanno mentito sulle proprie generalità 136 volte in due, proprio per evitare 136 processi? Non esiste il rischio che questi scappino e non si trovino più, e non si presentino in tribunale quando ci sarà il processo, perché sono già andati da qualche altra parte a rimandare i figli a rubare?
Ma questo giudice è sicuro di stare bene? Perché l’impressione è che l’ideologia lo abbia talmente ammantato di prosciutto da vivere in un mondo tutto suo, pieno di criminali gentiluomini che non vedono l’ora di farsi arrestare e di rispondere in tribunale delle proprie azioni, e in cui comunque è più importante garantire la loro libertà di delinquere che il rispetto della legge.
Parla infatti, questo giudice, di grave lesione alle libertà costituzionali dei rom. Evidentemente per questo giudice i diritti delle migliaia di bambini rom che vengono sotto gli occhi di tutti educati al furto o all’elemosina non esistono; nè, nella sua furia ideologica, contano le libertà costituzionali di tutti gli altri, quelli che vengono regolarmente borseggiati sui tram, che vengono insultati o minacciati agli incroci, che hanno paura ad uscire di casa la sera, quelle non contano niente. E non si rende conto questo giudice che, dopo una simile dimostrazione di menefreghismo, il rischio che domani mattina qualche esaltato vada a bruciare i campi nomadi non può che aumentare?
E’ triste trovarsi in una situazione in cui l’unica scelta è passare per razzista da una parte, o per favoreggiatore dei peggiori crimini (perché il risultato pratico di questa scelta del giudice sarà evidentemente solo altro crimine) dall’altra, quando basterebbe avere come guida la responsabilità personale, la legge, ma anche l’esigenza di essere concreti, di focalizzarsi sull’obiettivo (la repressione di un livello criminale preoccupante e dell’aggressività sociale che esso genera in risposta) invece che sulle proprie seghe mentali.
Del famoso giudice Carnevale, a fronte dei suoi inspiegabili cavilli, si sostenne che fosse corrotto; almeno così ci sarebbe stato un motivo. L’osservazione triste, a guardare le rassegne, è che invece oggi tantissimi italiani, giudici e non, si comportano così pensando di essere nel giusto, anzi, di essere dei supereroi in lotta contro il male.
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