La storia vista dall’altra parte
Sono in partenza – domani mattina alle 6:30 devo lasciare l’albergo e andare a Narita per tornare indietro. Oggi ho perso un’ora alla stazione di Tokyo per capire come fare in anticipo il biglietto del Narita Express; se fare qualsiasi altro biglietto è semplicissimo, per i treni speciali non si possono usare macchinette e quindi mi toccherà fare la coda allo sportello (l’avrei fatta oggi ma non sapevo come comunicare che volevo un biglietto per il giorno dopo a una determinata ora…). Speriamo bene.
Nel frattempo ho scoperto un altro paio di cose interessanti. La prima è che anche in Giappone esiste il cielo blu; è apparso per la prima volta dopo otto giorni e in effetti è stato un po’ meglio, nel senso che il caldo faceva male alla testa (tipo 35 gradi e oltre) ma almeno c’era vento e non si soffocava.
La seconda è che, siccome dovevo già vedere Ginza e il palazzo imperiale, ci stava il tempo per un solo museo; vista la data, ho rinunciato al parco di Ueno e ho scelto lo Yasukuni-jinja, il tempio dedicato ai caduti per la patria sin dalle guerre civili di metà Ottocento; e l’annesso museo della storia militare del Giappone.
Nel tempio ero più fuori posto del solito; non c’era neanche mezza riga in inglese, nemmeno sulle mappe, e anche se non ero l’unico turista ho cercato di passare il più inosservato possibile. Ma il meglio è stato l’annesso museo, in cui, in venti sale, viene esposta con dovizia di particolari la storia militare del paese, partendo dall’epoca dei samurai (infatti ho visto esposte armature e spade davvero splendide).
Così, presto si arriva ai giorni nostri e si comincia a narrare: prima di come il Giappone, nel 1894, sconfisse la Cina per liberare la Corea e darle l’indipendenza, cosa di cui i coreani furono tanto grati che nel 1909 chiesero di propria spontanea volontà l’annessione al Giappone come colonia. Solo che pochi giorni dopo la vittoria contro la Cina i terribili russi dello zar si intromisero e, con la complicità delle altre potenze occidentali, obbligarono i giapponesi a restituire parte dei territori conquistati sul continente; ciò obbligò quindi i giapponesi a contrattaccare dieci anni dopo e sconfiggere i russi.
Dopodiché, nei decenni successivi, vengono riportati decine di “incidenti” in cui truppe giapponesi in vacanza in Cina vennero prese di mira dai cattivi nazionalisti, costringendo il Giappone a liberare la Manciuria e poi anche parti della Cina.
Dopodiché, per circa quattro grandi sale, si narra la seconda guerra mondiale, riportando ogni campagna e ogni battaglia con mappe, reperti, descrizioni e foto dei generali coinvolti (ci sono alcuni bellissimi oggetti, come un aereo-kamikaze e un siluro-kamikaze – sì, li facevano anche sottomarini). E poi, nell’ultima didascalia dell’ultima sala, c’è scritto qualcosa tipo “comunque, alla fine, gli Stati Uniti lanciarono bombe sul territorio giapponese, comprese due bombe atomiche: una a Hiroshima e una a Nagasaki. Così il Giappone si arrese.”. Punto. Fine del museo.
Cioè, non c’è nemmeno una foto, un oggetto, niente che riguardi le bombe atomiche se non quella frase e un paio di didascalie in piccolo di una frase l’una. Seguono solo cinque stanze (un quarto del museo) piene zeppe di migliaia di piccole foto di tutti i singoli militari giapponesi di ogni ordine e grado che sono onorati nel tempio.
Avevo già avuto qualche sospetto che certi argomenti fossero ancora tabù, tanto più se da descrivere in inglese e quindi agli occhi degli stranieri: ad esempio nel museo civico di Otaru si narrava per una intera parete del molo ferroviario sospeso sul mare, orgoglio della nazione, che fu costruito negli anni ’10 e svolse la sua funzione di carico delle navi con grande perfezione finché “it ceased to exist in 1945”. Anche qui, punto e fine spiegazione.
A ben pensarci, trattandosi di un museo di storia militare, credo che parlare e mostrare al suo interno la sconfitta sarebbe vissuto come un insulto ai caduti: il museo vuole onorarli e per il giapponese la sconfitta è il massimo disonore. Certo che – anche avendo letto l’ultimo pannello, che dice qualcosa tipo “le conquiste giapponesi non avvennero invano, perché cacciando gli occidentali e mostrando la potenza di un paese asiatico finirono per portare all’indipendenza di tutti i paesi dell’Asia, quindi l’indipendenza dei paesi asiatici è essenzialmente merito del Giappone” – si capisce perché i vicini abbiano spesso protestato contro la cultura storica dei giapponesi.
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