Ferragosto
Oggi è Ferragosto, e volevo rivolgere un pensiero a come sono cambiate le nostre vacanze estive. Quando eravamo ragazzi – meno di vent’anni fa – quasi tutte le famiglie passavano in vacanza un mese o più, al mare o in montagna; magari dai parenti o in campeggio per ridurre i costi, ma quasi tutti cercavano di lasciare la città per parecchie settimane, lasciando magari solo il capofamiglia a fare un po’ di su e giù se proprio non poteva prendere tutte le ferie.
Al mare in Liguria, la folla di torinesi era tale che spesso ritrovavi qualche vicino di cortile o di scuola; sembrava un po’ una succursale della città . La vacanza passava tra spiaggia, letto, giochi di vario genere e giusto qualche gitarella ogni tanto; da ragazzi ogni tanto si aveva da studiare, ma il grosso del tempo era riposo.
La sera, poi, si usciva e si andava a prendere il gelato – generalmente confezionato, dal tabaccaio – seguendo gli ultimi trend pubblicizzati su Topolino: ogni anno uscivano mirabolanti invenzioni, come il Calippo o il gelato di biscotto rotondo coi pezzetti di cioccolato, che per l’Italia degli anni ’80 era un lusso inimmaginabile. E poi si andava a fare la coda alla cabina telefonica, per chiamare i parenti; la coda alla cabina era un altro momento di socializzazione, mentre si cercavano di mettere insieme i gettoni telefonici: un oggetto oscuro e anche economicamente misterioso, visto che ogni tanto ne raddoppiavano di botto il valore e ognuno di noi si ritrovava per magia più ricco di qualche centinaio di lire, mentre l’azienda telefonica faceva fortune, solo che allora si chiamava SIP ed era dello Stato, quindi non faceva differenza.
Oggi, le vacanze sono diventate un altro lavoro; si sono accorciate e addensate. Si sta via otto giorni, nei quali però la spiaggia vietatissima è, a meno che non sia in un altro continente e non venga accompagnata da discoteche fino alle tre di notte e giornate di “sport” inventati da un australiano ubriaco, tipo il windsurf appesi coi denti a un cavo trainato da quattro bufali di mare in calore. In alternativa, bisogna salire su un aereo low-cost per poi affittare un’auto e vedere un intero Paese a tappe forzate, duecento chilometri al giorno con pause foto contingentate di dieci minuti ogni ora, esattamente come i turisti giapponesi che da ragazzi prendevamo in giro. Naturalmente, l’organizzazione di questo tour de force richiede ulteriore lavoro, per cui i mesi precedenti la vacanza si riempiono di ulteriori attività preparatorie; si arriva in vacanza stanchi e si torna più stanchi di prima.
Le cabine telefoniche non esistono quasi più, se non in qualche frazione sfigata e dimenticata da Dio; ormai c’è il cellulare, grazie al quale – dopo soli dieci minuti di danze voodoo per trovare campo – siamo sempre reperibili per qualsiasi rottura di scatole, anche dall’altro capo del mondo. In compenso, la SIP è diventata Telecom e fa arricchire alle nostre spalle, a turno, tutti i capitalisti raccomandati d’Italia. I gelati sono preparati a mano secondo le “antiche ricette di una volta” (il che, a rigor di logica, dovrebbe voler dire che hanno riaperto gli stabilimenti Sanson ed Eldorado, e invece non è così), costano tre euro a cono e quando te li vendono te li fanno pesare come a dirti “ringrazia che, per ora, puoi ancora permetterti un gelato”.
In effetti, anche io sono arrivato in montagna pensando che avrei comunque, ogni tanto, fatto qualche lavoretto, di quelli che durante l’anno proprio non ci stanno. Invece sto passando le giornate a dormire e guardare la televisione, e ne sono proprio fiero.
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