Confronti impietosi
Domenica e lunedì siamo andati in Sud Africa, al Parco Nazionale Kruger: uno dei più noti parchi africani, dove la savana e i suoi abitanti si conservano nel loro ambiente naturale.
Arrivare da Maputo in Sud Africa, in teoria, è una passeggiata: la frontiera dista meno di cento chilometri di “autostrada” – cioè di stradone a due corsie con qualche allargamento e una bella banchina su cui le carrette si spostano per farsi superare. L’hanno costruito i sudafricani e l’unica cosa che funziona è il pedaggio: circa 60 centesimi di euro per il tratto urbano a quattro corsie da Maputo a Matola (5 km) e circa 3 euro per il tratto nel deserto. Il problema è che tra i due tratti c’è un po’ di tutto: è l’unica autostrada che nel mezzo delle quattro corsie a scorrimento veloce presenta un dosso alto mezzo metro, seguito da un semaforo, al quale l’autostrada gira a destra. Se non te ne accorgi e vai dritto (ed è facile, perché agli incroci le segnalazioni sulle direzioni sono normalmente un optional), finisci in Swaziland; e così stavamo facendo noi. Dopo ampi giri, siamo finiti sulla “strada vecchia”, ossia una vecchia rurale portoghese del 1944 che da allora non è mai stata riasfaltata; era la strada precedente all’autostrada, e ci ha preso un’ora e mezza per 40 km.
Bisogna poi metterci anche la terrificante dogana mozambicana, un carnaio di uomini, macchine, camion e animali in cui i non-locali vengono vessati in modi incomprensibili, a seconda di come gira, per far loro pagare il fatto che non esiste alcun paese al mondo, vicino o lontano, che accolga volentieri un mozambicano senza fargli penare i visti.
Però, la sensazione che ho provato passando dal Mozambico al Sud Africa è stata incredibile: credo di non aver mai provato nulla del genere.
Subito prima del confine, c’è Ressano Garcia:
ossia una landa desolata, bruciata dal sole, inutilizzata per un qualsiasi scopo, occupata soltanto da casupole di cemento quando va benissimo, di mattoni di cemento pressato quando va bene, di paglia quando va male, di fango se piove; in cui migliaia di mozambicani neri (di mozambicani bianchi in sostanza non ne esistono) vivono, anzi muoiono di fame, nell’immondizia e nello sterco, senza acqua ed elettricità . (La foto, per pietà , si riferisce alla parte più bella dell’abitato.)
Appena al di là del confine, invece, c’è Komatipoort:
ossia chilometri e chilometri di terre meravigliose, verdissime, tutte ordinate e pulite, perfettamente coltivate grazie a pozzi, tubi e canali di irrigazione; e una cittadina che è africana, ha ancora le palme e lo sterrato, ma è anche assolutamente dignitosa, dove le case sono mediamente villette con giardino, e anche i neri più poveri magari vivono in casupole di cemento, ma che comunque hanno tutte dei muri, un tetto, la corrente elettrica, l’acqua, le fogne; e comunque, la terra non si sfalda in polvere e deserto, ma dà da mangiare a tutti.
E quindi, a Komatipoort vi accoglie persino un centro commerciale, con un supermercato Spar, un benzinaio Caltex identico ai nostri, un bancomat che prende pure Banca Sella, un fast food Wimpy, dove entri e per terra è pulito, non ci sono blatte ovunque, ai muri ci sono i manifesti degli hamburger invece che buchi e macchie ventennali, il personale (nero) sa leggere e parla tre lingue (inglese, afrikaans e lingua tribale locale), è vestito bene e non muore di fame, e dove ordini e ti portano un doppio cheeseburger con bacon che è fantastico, e non biscotti thailandesi di cartone pressato e gamberi (peraltro ottimi) a cena, pranzo e colazione perché è l’unica cosa che non richieda sforzo di allevamento e costi poca fatica raccogliere.
E’ come se di colpo fossimo atterrati su Marte. Dopo dieci giorni di moderna nègria mozambicana, l’insegna verticale di un benzinaio incombe sulla strada come il monolito nero di Kubrick sulle scimmie: diecimila anni di differenza in termini di evoluzione.
Allora, fatevi delle domande, e datevi delle risposte: la terra è la stessa, il clima è lo stesso, persino la tribù e la lingua madre dei neri del posto è la stessa. L’unica cosa che cambia è che da centocinquant’anni Komatipoort è gestita dai bianchi, mentre Ressano Garcia è gestita dai neri (pur se con qualche contributo degli ineffabili colonizzatori portoghesi, che però, così lontano dalla costa, non mettevano mai piede).
Ma non pensate che a godersi la mecca sudafricana siano solo i bianchi: noi ne abbiamo visti in giro pochi, e tra gli avventori del Wimpy la metà era nera, anzi nel dehors c’era una coppia di fidanzatini poco più che ventenni, lui nero e lei bianca, e si tenevano per mano. Anche nel resto del nostro giro abbiamo visto che, sì, magari il grande capo del ristorante era bianco, ma sotto di lui c’era personale nero che sfoggiava competenza, capacità , gentilezza, persino una buona organizzazione (da sempre il punto debole dei neri), e anche autorevolezza. Per dire, la guida del parco, che ci ha portato in giro facendoci lezioni di etologia, era nera; così come era nero il poliziotto che ci ha fatto un grande e giustificato cazziatone perché violavamo le regole del parco; non certo solo sguatteri e zappatori.
Apparentemente, in Sud Africa è riuscito un evento che nel resto del continente non è accaduto: cambiare almeno un po’ la cultura dei neri. Perché non è che in Mozambico siano più scemi del resto del mondo; semplicemente, non avendo mai fatto il passaggio per noi preistorico dalla pastorizia e dalla pesca verso l’agricoltura (e da lì all’urbanesimo), non sono capaci a trasformare il deserto in campi; se provi a insegnarglielo, quasi sempre non gliene frega niente di impararlo; e se anche lo sapessero fare, comunque non avrebbero voglia di farlo, perché non sarebbe parte della loro cultura e del loro modo di vivere, tutto basato sul minimo risultato con il minimo sforzo e sulla pianificazione zero.
La controprova è che in Zimbabwe, un tempo paese ricco come e più del Sud Africa, non appena hanno cacciato i bianchi l’irrigazione ha smesso di funzionare, la terra non è più stata fertile, i raccolti sono morti; e ora tutto il Paese sta morendo di fame.
Il Sud Africa, per ora, è l’unico paese dove regge la cooperazione tra bianchi e neri, pur tra grandi difficoltà e violenze, fornendo una speranza di sviluppo all’intero continente. Purtroppo sono molti a pensare che, non appena Mandela morirà , anche esso finirà come lo Zimbabwe.
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9 Settembre 2008, 16:07
Bravo Vittorio.
Concordo con te al 100%.
Hai fatto bene a sfatare il classico tabù degli occidentali buoni (e di sinistra) per cui è sempre e comunque colpa nostra (bianchi) se l’africa e gli africani si estingueranno per autodistruzione tra pochi anni. Sicuramente la De Beers – nonostante a noi visitatori della miniera abbia raccontato che fanno tante cose belle e buone per i proprio lavoratori – ha sempre sfruttato senza pietà la manovalanza nera per arricchirsi. La verità è però che, come giustamente fai notare, quando al potere ci vanno i neri si comportano in maniera ancora più infame. Oltretutto nei confronti dei prori “fratelli neri”!
Certo che il Sud Africa non è solo Kruger Park (che bei ricordi!!). Io non mi ci sono nemmeno fermato a Johannesburg ma mi ha fatto veramente impressione, passando in auto, vedere questi ricchissimi bianchi con i loro enormi fuoristrada, vivere blindati a casa propria chiusi tra mura sormontate da filo elettrificato. E altrattanta impressione mi ha fatto vedere la dimensione delle townships attorno a Jo’burg. Una distesa di baracche a perdita d’occhio. Agghiacciante!
Io sono tra i pessimisti che pensano che il Sud Africa rischia di diventare come lo Zimbabwe. Troppa corruzione, troppa sete di potere e troppo potere in mano a persone che non hanno (ancora) l’educazione necessaria a gestirlo tutto questo potere.
In Sud Africa però mi sono preso il più classico dei “mal d’africa” per cui spero tanto di avere torto!
P.S. Che animali hai visto? hai completato i Big Five?
10 Settembre 2008, 16:45
Ho completato direi quasi tutto il completabile, specie per un giorno solo: mi hanno dato i bollini. Il racconto completo arriverà a pezzettoni di qui a fine settimana…