Tlatelolco
Ci sono tante altre cose che avrei voluto raccontarvi del Messico, e invece non ne ho avuto il tempo. Ma ce n’è una che voglio proprio descrivere, perché è stata davvero emozionante: la visita alla piazza delle Tre Culture, ossia Tlatelolco.
Immaginate di trovarvi nella periferia di una delle nostre grandi città , in un ambiente che potrebbe essere un po’ Mirafiori o un po’ le Vallette: un incrocio tra due grandi stradoni a tre corsie pieni di traffico, uno dei quali si inarca su un ponte e si dirige verso la tangenziale. L’ambiente è urbanizzato ma largo, con palazzi alti, grossi e distanziati. (In realtà siamo a venti minuti a piedi dalla piazza centrale, tanto è vero che io ci sono andato a piedi sfidando gli attraversamenti stradali – ma a Città del Messico le auto si fermano tranquillamente al rosso, non è certo peggio dell’Italia – e qualche isolato di casupole affastellate dove però il maggior pericolo che ho visto è stata una torma di bambinetti in divisa, appena usciti da qualche scuola, che a ogni negozio o bottega guardavano dietro e gridavano in coro “BUENAS TARDES!”.)
Immaginate insomma che negli anni ’50 e ’60 qui abbiano spianato tutto e costruito la città del futuro, nello stile parasocialista che si usava allora: immaginate una grande piazza di cemento, bordeggiata da enormi parallelepipedi di altrettanto cemento, che oggi sono cadenti e squallidissimi, ma che allora erano palazzi modello, dotati di tutte le più moderne comodità , costruiti allo scopo di garantire agli abitanti una vita spesa ad essere una vittima di cattivi imitatori di Le Corbusier.
La piazza però – la terza cultura – è l’ultima cosa che vedrete; perché per arrivarci, entrando da un cancelletto in una vasta spianata di erba cosparsa di pietre a labirinto, dovrete attraversare ogni angolo delle rovine della spianata sacra di Tlatelolco, la città gemella di Technotitlan, là dove si svolse uno scontro decisivo per la colonizzazione del popolo azteco. Anche qui, come nel Templo Mayor, si trovano i resti dei vari templi aztechi; solo che qui non ci hanno mai costruito sopra (almeno fino a quando, sempre negli anni ’50, il Ministero degli Esteri decise di costruire qui sopra il proprio grattacielo, cancellando per sempre la parte meridionale della piazza).
I resti insomma sono impressionanti, in questo costruire e ampliare – i templi aztechi erano costruiti a strati, ogni vent’anni aggiungevano uno strato di gradinate e pietre sopra quello vecchio, anche perché la città era in mezzo a un lago e i templi continuavano a sprofondare ed abbassarsi – che lascia ora sequenze di gradinate di pietra nera una dietro l’altra, e poi altari, tempietti, basamenti, con poche ma splendide decorazioni.
Ma la cosa più impressionante è quella che sta dietro: quando gli spagnoli giunsero qui, “riconsacrarono” il luogo costruendo una chiesa cattolica con le pietre dei templi. Ciò, in realtà , si ritorse contro di loro, perché basta guardare bene questa chiesa, specie in congiunzione col resto, per accorgersi chiaramente che non è una chiesa cattolica, ma un tempio azteco a forma di chiesa cattolica; e che il dio che celebra non è certamente quello europeo.
Il luogo è senz’altro drammatico e pieno di energie; non è un caso che in questa piazza di cemento si sia svolto uno dei più famosi episodi della storia messicana. Il 2 ottobre 1968, dopo mesi di lotta studentesca che stavano minacciando persino le Olimpiadi, l’esercito aprì il fuoco contro l’ennesima oceanica manifestazione di protesta, in corso su questo cemento azteco-estberlinese. Gli studenti si difesero dentro l’edificio Chihuahua (quello a destra nella prima foto), ma fu una mattanza. Una giovane Oriana Fallaci, ferita dalle pallottole governative, riportò gli eventi al mondo, anche perché la stampa messicana preferì parlare del tempo. Si calcolano tra i 150 e i 300 morti.
Quando avrete finito il giro, potrete entrare nel centro culturale che sta a lato, dove è ricordata in modo molto coinvolgente la strage. Così facendo, avrete visto un coagulo di storia memorabile, e sarete in grado di apprezzare appieno la scritta che hanno messo su una lapide proprio al centro delle tre culture, tra la piazza la chiesa e il tempio, e che tradotta recita:
Il 13 di agosto del 1521
eroicamente difesa da Cuauhtemoc
cadde Tlatelolco in potere di Hernan Cortes
Non fu un trionfo né una disfatta
fu la dolorosa nascita del popolo meticcio
che è il Messico di oggi
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