In queste settimane ho avuto numerose conferme di uno dei più sottovalutati corollari della legge di Murphy, il numero 8:
“I cretini sono sempre più ingegnosi delle precauzioni che si prendono per impedirgli di nuocere.”
Io ci ho provato, ci ho messo tutte le mie energie; ho voluto credere che in Italia ci fosse ancora un numero sufficiente di non-cretini e che comunque ci potessero essere precauzioni efficaci contro la deriva cretinistica del Paese. Tutto è stato inutile; in realtà di non-cretini ce ne sono parecchi, ma proprio per tale loro qualità sono impegnati a fare cose più utili che provare a cambiare il mondo.
Dev’essere per questo che tutti i cretini si concentrano in politica: in alto come in basso.
Dunque sono un cretino anch’io.
Mi piacerebbe ballare fino a che non finiranno le stelle (scusate, è subentrato Umberto Balsamo) ma, a parte che devo uscire per un invito a cena, in questo momento provo il desiderio di fermarmi e suggerire che il mondo se lo cambierà qualcun altro. Anzi ve lo cambierete da soli oppure ve lo beccherete tutto nei denti: per esempio quando, tra 12-18 mesi, fallirà lo Stato italiano e la gente brucerà i negozi finché la polizia non sparerà per le strade e i creditori esteri ci confischeranno le case – evidentemente l’unico modo per espiare i danni che la peggior cultura di sinistra ha fatto a questo Paese.
E’ molto più facile sedersi, aprirsi un blog e ammannire gratis un vaffanculo. Non per lavoro né per denaro, ma da completo e spassionato volontario: un volontario vaffanculo.
Quella di Italia.it è una storia che avevamo tutti cercato di dimenticare, ossessionati dal ricordo del surreale video di Rutelli che implora “pliiis visit uebsait, batt pliiis visit itali” rivolto verso la grande rete globale. I primi venticinque o trentacinque o quarantacinque milioni di euro avevano prodotto risultati tra l’esilarante e l’imbarazzante, nonché un sito pieno di errori marchiani di storia e geografia che non avrebbe fatto nemmeno un bambino delle elementari. E così, dopo vari tentativi, il portalone era stato chiuso.
Naturalmente però, giunta alla guida del Turismo l’elegante signora Brambilla, si era ripreso in mano il progetto: non si può certo fare a meno di un portalone nazionale del turismo, da affiancare a quelli regionali, provinciali, comunali, circoscrizionali, commerciali, albergatoriali e cameradicommercici. E così, grazie ad altri cinque o venti milioni di euro, ieri Italia.it ha riaperto; anzi no, perché si sono dimenticati di togliere la password. Ma oggi ha riaperto davvero e ci ha subito ammannito una nuova perla:
…nella pagina della Basilicata, la regione evidenziata nella mappa è la Campania. Vabbe’ può succedere, sono vicine!
Soprattutto, il sito è di una pochezza imbarazzante: in pratica c’è una paginetta con trenta secondi di video per ogni regione, un link alle mappe di Tuttocittà, un link al motore di ricerca di Seat, una sezione “organizza il tuo viaggio” consistente in ben tre pagine che espongono informazioni utili come “Più o meno tutti gli aeroporti sono serviti da una fitta rete di taxi, autobus e treni, che permettono di arrivare alla destinazione finale con relativa comodità.” (ora sì che il mio viaggio è organizzato), e un link al sito dell’Aeronautica per il meteo. Il tutto anche in un inglese ovviamente ben lontano dall’essere sciolto.
Ora non è per dire, però vorrei segnalarvi Isitt, il portale del turismo per disabili in Piemonte, di cui io ho curato la parte tecnica. E’ ancora una beta, la navigazione va rivista, mancano vari contenuti, l’inglese è ancora da risciacquare nel Tamigi, tutto quello che volete; ma in tutto è costato meno di un decimillesimo di Italia.it, e contiene già oggi molte più informazioni.
Insomma, se il livello informatico della pubblica amministrazione è questo di Italia.it – come dimostrano i risultati ottenuti dai governi di ogni colore – forse è meglio che restino nell’età della carta…
Scommetto che volete ancora sapere qualcosa di Beppe Grillo, dopo che in tre giorni ha ridicolizzato il PD, messo in rivolta metà degli elettori del centrosinistra contro la loro dirigenza e conquistato tutte le prime pagine con una semplice idea nata sotto gli ombrelloni.
A questo proposito, vi suggerisco di leggere l’intervista al Corriere e poi di fare mentalmente un confronto tra l’idea grillina di politica basata sul “leader autorevole” – un rapporto diretto tra una persona e le masse, che però vive sempre sul filo del rasoio in quanto alla prima stronzata le masse sputtanano il leader su Internet – e l’idea piddina di politica basata sulla compravendita di tessere a Napoli.
“Populista” è il termine che usano i politici di ogni colore (ma specialmente quelli della sinistra classica) per riferirsi a chiunque si interessi dei problemi della gente; già perché per la sinistra la gente non ha mai problemi, a patto che voti per loro aderendo così al mitico, utopico progetto di grande società giusta e perfettamente regolata. Per esempio, la criminalità legata all’immigrazione è un problema che per la sinistra non esiste, in quanto nella società giusta e perfettamente regolata tutti gli immigrati sono poveri sfruttati a cui dobbiamo risarcire gli indubbi millenni di sfruttamento eurocentrico. L’immigrato violento, criminale o antisociale sarebbe per la sinistra un “syntax error” che non può essere ammesso, dunque se qualcuno ne ipotizza l’esistenza è senz’altro un razzista, e se questo qualcuno porta delle prove con cui ne dimostra l’esistenza nella realtà, è la realtà ad essere sbagliata.
Questa mentalità presuntuosa ed elitaria è tuttora profondissima in tutti i vari rami della sinistra; il massimo che il PD è arrivato a fare, capendo di essere fuori mercato e a fronte del rischio di dover mollare le poltrone, è stato quello di adottare posizioni liberiste e berlusconiane senza capirle, dunque ripetendole a pappagallo e provocando il famoso effetto “piuttosto che comprare Ben Cola allo stesso prezzo della Coca Cola, prendo quella originale”, cioè facendo spostare stabilmente verso destra gli italiani e garantendo a Berlusconi la polizza vita di cui parla anche Beppe.
Dunque non stupisce che il PD giudichi populista l’idea che i propri tesserati e simpatizzanti possano votare o non votare per il candidato segretario che pare a loro, sceso in campo direttamente tramite i media e senza tante formalità, al di fuori dell’agghiacciante schema piramidale di feudatari, vassalli e valvassori di cui sono fatti oggi tutti i partiti. La risposta del PD è altrettanto agghiacciante: difatti, invece di aprire un dibattito politico o di contestare a Beppe la differenza di vedute (contestazione peraltro impossibile, dato che le liste a cinque stelle hanno un programma modernissimo e pendente a sinistra, mentre il PD non ha un programma o un’idea che sia una per il futuro del Paese), si sono attaccati alle regole della piramide: e non è residente qui, e il comma nove dell’articolo 3, e insomma non è possibile che uno così possa pensare di candidarsi e avere seguito tra i nostri elettori, e se nella realtà ciò avviene vuol dire che è sbagliata la realtà.
Eppure è proprio l’idea di società a piramide che è morta, sepolta dall’avvento della rete e della società orizzontale, peer to peer, che essa promuove e propaga; e con essa muoiono le regoline e le regolette con cui pochi umani pretendono di decidere per tutti gli altri, dato che le regole di partito non possono opporsi a cambiamenti sociali epocali più di quanto non si possa far girare il sole attorno alla Terra per decreto. Naturalmente ci vorranno ancora decenni, e naturalmente, se il residuo potere riuscirà a controllare e sovvertire le basi della rete, il cambiamento non avverrà mai. Ma il crollo prossimo del partito depressocratico è un altro segnale: se le si dà abbastanza tempo, a forza di ondate, l’acqua distrugge anche la roccia più solida.
Supponete di essere in auto e di stare guidando allegramente; a un certo punto, sulle strisce, una vecchietta vi si para davanti, ma voi siete distratti; non fate in tempo a frenare, la investite e la uccidete. Questo è il prototipo dell’omicidio colposo; voi non avevate nessuna intenzione di far male a qualcuno, ma avete omesso la dovuta cautela nel guidare la vostra auto e quindi siete colpevoli della morte della persona in questione, e finite in galera per qualche anno (salvo indulti, sconti e prescrizioni).
Ma non sia mai che il giudice abbia il sospetto che, dato il vostro quadro psicologico, voi avete visto la vecchietta e, scocciati dalle vecchiette per strada, avete provato l’impulso di ammazzarla e l’avete messa sotto coscientemente: in questo caso l’omicidio è volontario e gli anni di prigione sono almeno ventuno (sempre salvo indulti, sconti e prescrizioni). Attenzione però, il concetto di “volontà” è molto elastico: difatti, se un’ora prima di mettervi alla guida avete bevuto un paio di birre, poi potete aver guidato con tutta la cautela che volete, ma se mettete sotto qualcuno la teoria attuale è che voi “volevate uccidere” o perlomeno che “avevate volontariamente il desiderio di avere la possibilità di uccidere qualcuno per errore” (non scherzo… è proprio così). Dunque, omicidio volontario con dolo eventuale: infatti il bere una birra con gli amici un’ora prima di guidare è una indicazione di una chiara ed esplicita volontà di uccidere.
Per fortuna che i giudici sanno distinguere bene la volontà di uccidere! Ci sono infatti anche i casi opposti, quelli in cui a tutti sembrerebbe chiara la volontà di uccidere, ma in realtà non c’è. Immaginate ora di essere l’agente di polizia Luigi Spaccarotella, che in un’area di servizio dell’autostrada Roma-Firenze vede accadere, nella corrispondente area di servizio dall’altro lato dell’autostrada, le ultime fasi di una rissa da bar a mani nude tra tifosi (nessuno è armato, anche se dopo le indagini la polizia indicherà i numerosi sassi presenti sul bordo del piazzale come minacciose armi messe lì per l’agguato). La rissa è finita, ognuno sta andando per la sua strada, ma lui rappresenta la giustizia e la legge e non vuol farla passare liscia ai pericolosi ultrà. Comincia a correre parallelamente alla strada per inseguire l’auto, spara un colpo in aria, dall’altra parte l’auto si muove. Allora si ferma, e davanti a cinque testimoni (turisti giapponesi compresi) si mette in posizione di sparo, le gambe piegate, le mani sul calcio della pistola e sul grilletto, prende la mira e spara, in orizzontale, ad altezza uomo. Il proiettile attraversa tutta l’autostrada (ed è già un miracolo che non abbia colpito qualcuno che passava di lì), entra nel mucchio di corpi che riempiono la piccola auto, e uccide Gabriele Sandri.
Tutti quelli che hanno visto la scena hanno pensato a un pazzo che voleva provare ad ammazzare qualcuno; nessuno ha avuto il minimo dubbio, tranne un giudice, che ha stabilito che Spaccarotella non voleva uccidere; è come il tizio che investe sulle strisce per distrazione. Stava soltanto sgranchendosi le gambe correndo in un autogrill con un’arma carica in mano, poi si è distratto e gli è venuto l’automatismo di mettersi in posa, togliere la sicura e prendere la mira, un automatismo che evidentemente i poliziotti italiani non possono controllare. E così, per distrazione, ha mirato proprio all’auto ad altezza uomo, e poi ha sparato senza troppa cautela. Sparava troppo veloce sulle strisce, insomma; ma sparare ad altezza uomo attraverso un’autostrada verso un’auto piena di gente non indica certo la volontà di far del male a qualcuno. Condanna a sei anni, dopo sei mesi sarà fuori.
E’ un’interpretazione giuridica che fa scuola, tanto che dopo dodici ore è già su Wikipedia. Noi cittadini onesti possiamo stare tranquilli: c’è sempre un poliziotto pronto a sparare alla nuca per noi a qualche barbone, zingaro o ultrà che scappa dalla legge armato di un pericoloso Camogli dell’autogrill. Solo, la prossima volta che gli ultrà assalteranno un plotone di poliziotti o declineranno che “all cops are bastard”, risparmiatevi i pipponi moralisti: dove la giustizia è parziale e inaffidabile, saranno sempre di più quelli che se la faranno da soli.
Non ho capito il senso di protestare contro norme di legge che vogliono cercare di far chiudere i blog, scegliendo come forma di protesta quella di chiudere i blog.
Comunque, mi spiace per i vari amici che aderiscono o addirittura promuovono l’iniziativa, ma questa roba è definitivamente diventata una buffonata dopo l’adesione di metà aspiranti segretari e capetti del PD e addirittura di Sinistra e Libertà, che ha il piccolo difetto di non avere nemmeno un blog. Francamente, l’idea che i vari Sofri, Adinolfi, Folena e Scalfarotto, stufi di passar le giornate tra una riunione di partito e un salotto mediatico, si scoprano rivoluzionari per un giorno non è più credibile di un qualsiasi provvedimento del governo, compreso quello (peraltro dalla rilevanza molto dubbia e che forse manco passerà) che vorrebbero contestare con questa azione.
E siccome qui per la libertà di informazione si combatte giorno dopo giorno da anni, anche contro questi blogger perbene dal convegno facile e dalla lingua pronta per l’adulazione, oggi si va avanti come al solito e anzi vi si invita a leggere bene il post di ieri, che parla, quello sì, di vicende oscurate dai media di cui quasi tutti i very important bloggher che stasera si stiperanno in piazza Navona (pare riempiranno almeno tre panchine) non si sono mai degnati di parlare.
Però sono contento per le migliaia di blogger anonimi che hanno aderito all’iniziativa: probabilmente cominciano a capire che in Italia sta avanzando la dittatura.
P.S. Poi alla fine ho capito il senso di questa protesta: sta nella pagina linkata all’inizio, dove si dice che “Verrà infine annunciata la costituzione della “Consulta permanente per il Diritto alla Rete”: avrà l’obiettivo di aprire un tavolo di confronto tra il mondo della Rete e la politica”. Insomma, Gilioli for president.
[tags]sciopero, blogosfera, blog, informazione, diritto alla rete, gilioli, politica, internet, governance[/tags]
Lo so, volete sapere che cacchio ha per la testa Beppe con il PD. E io invece oggi voglio parlare di polizia assassina, precisando che non condivido l’idea che la polizia lo sia a prescindere, e che anzi a uno che viene spedito per uno stipendio qualsiasi a prendersi pistolettate dai mafiosi e coltellate dagli spacciatori per difendere la mia sicurezza e la mia tranquillità bisogna fare un monumento.
Però… però sempre più spesso noi cittadini ci troviamo di fronte l’altra polizia. Quella cattiva. Quella che ha soltanto voglia di menare le mani. Avrete visto senz’altro i reportage degli scontri di qualche giorno fa a Vicenza, in occasione della manifestazione contro l’ampliamento della base Dal Molin. Chi c’era, dice che la polizia si è schierata in assetto di guerra bloccando il percorso concordato dagli organizzatori, cercando in ogni modo di provocare gli scontri. E se non ci credete, questo è il video ripreso da una radio locale:
Possibile che la mentalità della polizia sia quella di organizzarsi in anticipo per andare a picchiare i manifestanti? Partire da un momento di calma almeno relativa, come quello che si vede nel video, già con l’intenzione di arrivare lì e menare manganellate?
Qualche giorno fa si è arrivati alla sentenza per l’uccisione di Federico Aldrovandi, un caso terribile che in altri tempi sarebbe stato insabbiato, così come hanno cercato di fare per mesi le autorità; grazie a Internet, invece, si è arrivati a una condanna: tre anni e sei mesi. Tanto vale la vita di un diciottenne bloccato per strada in un’alba di settembre dopo una notte in discoteca, percosso a sangue fino a rompere i manganelli, schiacciato e soffocato da quattro poliziotti, ucciso e ridotto così; che poi in galera questi poliziotti manco ci entreranno, grazie all’indulto di Prodi e Mastella; che a tutt’oggi lavorano per la Polizia; che potreste incontrare domani sulla vostra strada.
Ma non è un caso isolato: ad esempio si aspetta ancora una sentenza per il caso di Riccardo Rasman, schizofrenico depresso e debole di mente, ucciso a Trieste da quattro poliziotti intervenuti per i vicini che si lamentavano di un lancio di petardi, legato con il fil di ferro e preso a sediate. Vittima due volte, la prima della sua malattia, la seconda di… di che cosa? Pare che già in passato fosse stato picchiato da poliziotti, del resto la sua malattia derivava dal nonnismo subito durante il servizio militare.
Queste persone sono… vittime collaterali? Vittime di Stato, vittime della necessità di un ordine sociale e di qualcuno che lo mantenga e che magari ogni tanto si sfoghi? Vittime dell’aggressività degli uomini? Caduti sul lavoro degli altri? Io non so cosa pensare: ma non mi rassegno all’idea che possa esistere una forza di polizia nella quale certi episodi, certi modi di fare, certe ideologie non trovano neanche il minimo spiraglio per attecchire.
[tags]polizia, assassinio, violenza, vicenza, dal molin, aldrovandi, rasman[/tags]
Al quarto tentativo, Renzo Bossi è finalmente riuscito in una impresa epica: superare l’esame di maturità. Una formalità, per chi sin da bambino è cresciuto in una famiglia leader della cultura nazionale, in mezzo ai miti della letteratura padana e a discussioni politiche di altissimo livello. Del resto già da mesi Renzo è un alto dirigente della Lega, partecipando agli incontri tra il padre e papi Silvio e venendo nominato in organismi pubblici di vario genere. La Lega infatti è forza popolana, lontana mille miglia dai salotti borghesi; non sta certo a sindacare sul titolo di studio dei suoi dirigenti, l’importante è che sappiano fare bene il gesto dell’ombrello.
Al padre Umberto vanno tutti i doverosi complimenti e le felicitazioni per la grande soddisfazione ricevuta dal figlio. Non è facile essere costretti a ripetere quattro volte l’esame di maturità prima di riuscire a superarlo: uno su mille ce la fa.
Oggi stavo perdendo tempo sui forum del Toro quando mi è capitato sotto gli occhi un thread intitolato “Il weekend del napoletano”. Ho incominciato a leggere pensando che si trattasse del classico racconto più o meno razzista con cui qualche padano dileggia i napoletani a base di stereotipi… e invece no: l’autore è di Salerno e racconta soltanto la propria esperienza diretta. Quando vari lettori hanno cominciato a complimentarsi per lo stile satirico, l’autore ha cominciato a dire “no ma voi non capite, è tutto vero”, cosa che hanno confermato anche i napoletani del forum. Al che è partita una lunga discussione tra napoletani e salernitani, conclusa con una convergenza sul fatto che sì, è vero che d’estate ci sono anche dei napoletani per bene che rifiutano la barbarie locale e vanno a Ibiza, ma per tutta l’estate Ibiza tecnicamente fa parte del comune di Napoli.
Immagino che tra Napoli e Salerno ci siano le stesse rivalità di campanile che esistono tra qualsiasi coppia di città italiane adiacenti, ma io mi son chiesto: ma quando noi piemontesi andiamo al mare, i liguri ci vedranno così?
“allora, il fatto dei napoletani al mare funziona così.
è da premettere che questo fatto discende dal noto fenomeno, tuttora in fase di studio da parte degli scienziati, della moltiplicazione del napoletano.
in pratica i napoletani, per ragioni inspiegabili, si moltiplicano in prossimità dei giorni di vacanza o ferie (non scrivo riposo perchè, sappiamo bene, anche durante i giorni lavorativi loro non è che si stanchino molto). la moltiplicazione cresce in maniera esponenziale con l’aumentare dei giorni consecutivi di vacanza, ragion per cui i napoletani nei week-end diventano circa 15 milioni, nei ponti di 3-4 giorni circa 50 milioni, per le vacanze di pasqua circa 500 milioni, per le vacanze di natale superano il miliardo. dal primo agosto, per 20 giorni, sono maggioranza assoluta della popolazione terrestre.
in codesta riflessione/saggio analizziamo il fenomeno più diffuso nel weekend tardo primaverile: il fine settimana al mare, a paestum.
paestum, specialmente negli ultimi anni, domina incontrastata i weekend marini partenopei, ed ha superato con furore sorrento, baia domizia e scalea, altre destinazioni top per i partenopei. resiste ancora ischia, seppur maggiormente di nicchia. i napolesi amano andarci e ritrovarsi lì, per perpetrare le proprie irrinunciabili abitudini e tradizioni.
l’orario di uscita dal lavoro di venerdì, orientativamente, è per le 17. ragion per cui intorno alle 14 l’autostrada napoli-salerno è già completamente intasata in direzione sud. intorno alle 15,30 sulla tangenziale di napoli iniziano a sentirsi distintamente colpi di rivoltella.
a causa di questi brevi disagi la massa informe dei partenopei arriverà a paestum a notte fonda; la storica località, perla della magna graecia, si scuoterà dal suo torpore intorno alle due, violentata da sfrigolio di cipolle, puzza di sugo marcio e canzoni di gigione.
dal sabato mattina vige l’occupazione selvaggia degli arenili. gli indigeni cilentani e gli amici salernitani si rinchiudono in qualche stabilimento balneare che non accetti napoletani (che manco sono interessati ad andarci, ad onor del vero), ma le spiagge pubbliche sono loro.
i contrasti cromatici degli ombrelloni sono tali che parecchie persone perdono la vista, e alcuni anche l’udito. due anni fa un turista tedesco di passaggio restò senza olfatto per tre mesi.
le attività in spiaggia sono molto limitate: gavettoni, palleggi in riva al mare a trenta centimetri da famiglia con figli neonati e padri urlanti “stann i’creatur!”, baccaglio a delicate ragazzine somiglianti a mastini napoletani, borseggiamento.
sotto ogni ombrellone troneggia una matrona, seduta su minuscola sedia pieghevole in legno o finto legno, che per tutta la durata della giornata scarta frittate di maccheroni e le distribuisce ai presenti e ai passanti. recentemente a quark piero angela si è occupato del fenomeno e ne sono emerse tre ipotesi prioritarie:
– la frittata di maccheroni è una sola minuscola fettina, ma l’incartamento in stagnola è di circa 150 chilometri
– la frittata di maccheroni, prima di essere affettata, era delle dimensioni di piazza del plebiscito
– non esistono nè la matrona nè la frittata, si tratta di immagini olografiche a fine folkloristico
a differenza del resto del mondo civilizzato, i napoletani non amano stare lunghe giornate in spiaggia, perchè non si staccano dalle loro abitudini prioritarie. tra le 13,10 e le 13,20 la spiaggia si svuota e vanno tutti a pranzo, nelle fetide baracche travestite da villette al mare che hanno affittato.
i cilentani sono felici perchè pensano di aver rifilato un pacco, i napoletani se la ridono perchè pagano con soldi falsi, o rubati. spesso proprio ai cilentani. va da sè che qualsiasi cosa che valga più di un rutto, in casa, verrà distrutta. vasi che resistevano da generazioni e generazioni, forse già proprio dai tempi dei greci, vengono polverizzati. foto di famiglia mangiate.
ci si chiederà come mai abbiano fame se hanno passato la mattina tra le frittate di maccheroni (e anche i casatielli, per i più radical-chic). bene, se vi ponete questo interrogativo non avete capito niente di loro.
nel pomeriggio si torna in spiaggia, l’andazzo è simile a quello del mattino: pallone, matrone, baccaglione. in più si vedono le due forme di seduzione più diffuse tra i napoletani di ogni età ed estrazione: la pallavolo e il tuffo a cufaniello.
di sera, intorno alle 21, tutti a tavola! tra ettolitri di vino e damigiane di cocacola per i più piccini, i napoletani completano la giornata gastronomica (salvo isolate pizzette notturne) devastandosi completamente. il fungo atomico che sovrasta la zona per un’oretta è visibile anche dal basso lazio.
a questo punto, le famiglie si dividono. il pater e la mater familias si dedicano alla televisione, gettonatissimo il solito varietà di rai uno o le trasmissioni con bambini incapaci che si esibiscono su canale 21. i più evoluti, che già sviluppano comportamenti sociali, imbastiscono uno scopone scientifico con i vicini di appartamento. spesso per questo ci scappa il morto. nel 2004 per un ramino condominiale ci fu una strage; da allora una frangia denominata “scissionista” ha polemicamente affittato un appartamento a capaccio scalo cercando di creare un nuovo filone.
i giovani, invece, vanno a passeggio. si muovono in sciami da centomila. musica a palla dalle macchine, con particolari preferenze per la progressive, la deep house e tommy riccio. nonostante le cilentane siano mediamente brutte quanto la miseria, il napoletano ama la conquista in trasferta, forse a causa degli storici fallimentari risultati dell’amata squadra di calcio lontana dal san paolo. per cui si assiste a scene deprimenti come gente che si sporge talmente dal finestrino dal ritrovarsi a piedi per proporre soluzioni sorprendenti a delle orrende ragazzotte con delle zeppe alte quanto lo stelvio. solitamente, va detto, il napoletano all’attacco è cordiale e non volgare. viene solo tradito dal proprio accento. le frasi che rimbombano solo del tipo “gome sei garina, vieni a pigliar un gelatino?” o “vien a ballar che si tras a coppie?”. di contro le ragazze si spostano sdegnate, o abbaiano. ovviamente il traffico è completamente bloccato. completamente. ma per ragioni misteriose il napoletano, sia pur in ingorgo a croce uncinata, non spegne mai il motore. un esponente dei verdi del parlamento austriaco a vedere la scena in televisione è morto.
la domenica, com’è ovvio, procede come il sabato. l’unica differenza è tra le 10,30 e le 12, quando le matrone interrompono lo scartamento delle frittate di maccheroni e vanno a messa. la chiesa fino al weekend successivo puzzerà di carne arrostita.
alla domenica sera, purtroppo, il weekend è finito. il napoletano non ha mai accettato il concetto di “partenza intelligente”. per loro anche l’ultimo istante di vacanza è da sfruttare e succhiare avidamente. per cui, dal momento che sono tutti uguali e ragionano esattamente nello stesso modo, partiranno tutti contemporaneamente, intorno alle 19,30. il traffico, ovviamente, si paralizza. alcune arterie primarie restano bloccate già da un’ora prima, solo per la paura dell’evento. i pochi chilometri che separano paestum da salerno diventano una traversata oceanica. molti non ce la fanno e tentano di suicidarsi sotto le macchine. ma le macchine camminano talmente lentamente che non sortiscono alcun effetto (provando tra l’altro numerose teorie della fisica, in particolare quella della relatività). intorno all’una della notte questo rettile informe composto da centinaia di migliaia di automobili arriva a salerno. ovviamente non prosegue lungo la tangenziale, che è collegata all’autostrada, ma esce. “ci facciamo un giro per salerno? salerno è bellina!”, è la frase gridata all’unisono. e così arrivano. gli indigeni svuotano strade e locali, mentre compaiono nuovi locali aperti solo per la loro discesa, che si autodistruggeranno alle cinque del mattino. i napoletani arrivano dove vogliono andare e lasciano la macchina lì. ve lo giuro. ma proprio lì per strada. il parcheggio è un’abitudine che non conoscono, o forse non la praticano per risparmiare tempo. tranquilli residenti che scendono di casa e vedono, all’altezza della propria punto, macchine in sosta fino all’ottava fila, a volte svengono, a volte muoiono, a volte vengono arrestati per oltraggio alla bandiera.
scoppiano le prime risse isolate ma, nonostante non corra buon sangue tra salernitani e partenopei, preponderantemente i padroni di casa preferiscono rifugiarsi in poche, e nascoste, isole felici ancora non scoperte dai napoletani, e aspettare che la tragedia passi.
di contro, le orde di napoletani sono proprio in cerca di tali isole; per questo come in preda a trance girano in gruppi per i vicoli del centro storico salernitano con il fare ansioso e pimpante di un gruppo di galeotti che partecipa alla caccia al tesoro dentro il carcere di poggioreale.
verso le tre, improvvisamente e senza ragioni apparenti, piombano tutti in macchina e ripartono. va da sè che a salerno ci sono due (due) comodi caselli dell’autostrada. ma “un gelatino a vietri? un gelatino a vietri?”, come dire di no? il napoletano patisce la mancanza della costiera amalfitana (che ha cercato di annettersi tentando di spacciare la costiera sorrentina come prolungamento della stessa), e vuole poggiare lì la propria bandiera. e per il napoletano vietri sul mare è atta allo scopo. perchè è costiera amalfitana, e a un napoletano non è che puoi far capire la differenza tra palinuro o teggiano, tra santander e barcellona, tra springfield e los angeles. è sempre cilento, è sempre spagna, è sempre america. loro sono così. e così vietri sul mare è sempre costiera. anche se un salernitano abitualmente quando la vede piange.
così il serpentone malvagio piomba a vietri. un paio d’ore per fare un chilometro e mezzo. i locali chiudono di botto tranne un paio di coraggiosi: il bar ancora e uno che ha assicurato un banco di pizze a trancio per dodici miliardi di euro. inutile specificare che il bar ancora cambia gestione circa tre volte all’anno. tutto vero.
verso le cinque del mattino, appagato, il napoletano si rimette in macchina direzione napoli. del resto alle nove l’ufficio apre. la coda al casello (fortunatamente spostato per queste esatte cause da salerno a nocera) arriva fino in libia. la salerno-napoli è completamente paralizzata. i primi fortunati arrivano a napoli intorno alle 17. un caffè, firma in ufficio e tutti a casa.
si blocca la tangenziale di napoli.”
[tags]napoli, salerno, paestum, vietri sul mare, campanilismo, tamarri, traffico, ecomostri[/tags]
Anche la giornata di oggi del meeting di San Rossore è stata molto interessante.
All’inizio ho ascoltato la presentazione di Edward De Bono, l’inventore del pensiero laterale, che ha spiegato come l’umanità non rifletta abbastanza sul problema di “come pensare”. La nostra educazione si concentra sull’insegnarci la logica, ma la quasi totalità degli errori di pensiero riguardano non la logica, ma la percezione, ossia i meccanismi di acquisizione dei dati di partenza su cui si applicano i procedimenti logici; inoltre, anche a livello di chi dirige l’umanità, spesso non si è educati a mettersi nei panni degli altri e nemmeno ad essere costruttivi e propositivi. A un certo punto De Bono ha fatto notare come nei nostri Parlamenti prevalgano di gran lunga professioni come avvocati, professori e intellettuali, cioè professioni basate sul parlare e sul cercare di convincere gli altri delle proprie idee, mentre siano tradizionalmente molto poco rappresentati gli architetti, i medici, gli ingegneri, ossia le professioni basate sul risolvere problemi concreti; naturalmente non so che genere di studi abbia fatto lui…
Altrettanto interessante è stata la presentazione finale della mattinata, in cui Stefano Bartolini dell’Università di Siena ha esposto alcuni studi scientifici sulla correlazione tra crescita del PIL, clima sociale e felicità delle persone. Le conclusioni di questo studio potrebbero essere considerate ovvie o persino “da bar”: in pratica si dice che i paesi anglosassoni hanno presentato negli ultimi 20-25 anni la maggiore crescita del PIL, ma che sono anche quelli in cui la “felicità” percepita delle persone è diminuita drasticamente. Ciò sarebbe attribuibile al fatto che la crescita del PIL crea felicità, ma in parallelo si è verificata una drastica riduzione dei rapporti interpersonali, collegata all’aumento degli orari di lavoro in un circolo vizioso. In pratica, secondo questo studio la crisi dei rapporti interpersonali determinerebbe nelle persone un maggiore investimento emotivo e temporale sul lavoro, che provocherebbe l’aumento del PIL e contemporaneamente acuirebbe la crisi stessa dei rapporti, in quanto le persone dispongono di meno tempo per stare insieme. Inoltre l’aumento del PIL sarebbe legato anche ad una “bulimia di consumi” dovuta al tentativo delle persone di gratificarsi mediante l’acquisto di oggetti e servizi sostitutivi dello stare insieme o necessari per fare fronte al deterioramento sociale e ambientale derivante dalla crescita del PIL (dalla Playstation alle vacanze esotiche fino al condizionatore) creando anche in questo caso un circolo vizioso. Infine la “bulimia di consumi” ha provocato l’indebitamento esagerato degli americani che a sua volta è causa della crisi globale, dimostrando che una crescita del PIL associata ad una decrescita della felicità non è nemmeno sostenibile tanto a lungo. Dire tutto questo può essere abbastanza ovvio, ma dimostrarlo scientificamente lo è di meno, per cui vedrò di approfondire la questione.
Ma c’è anche una nota stonata e sta nell’intervento di un megaeuroburocrate, tal Samuele Furfari, della Direzione Generale Energia della Commissione Europea. Già uno che essendo in un panel delle 11 si prenota un aereo per cui deve andarsene alle 12, pretendendo di parlare per primo e andandosene subito dopo senza ascoltare nessun altro, non fa bella impressione. Ma la presentazione, che riguardava le future strategie energetiche della Commissione Europea, mi ha abbastanza terrorizzato. Non iniziava male, parlando ovviamente di risparmio energetico e anche del fatto che l’approvvigionamento di energia è storicamente una delle maggiori cause di guerre, ma si è evoluta secondo i seguenti concetti:
1) la grande idea della Commissione è finanziare progetti per estrarre petrolio in maniera innovativa là dove prima non si riusciva ad arrivare (con tanto di spot all’Eni);
2) la strategia europea contro l’effetto serra è costruire discariche di CO2 per catturarla e interrarla;
3) l’Europa non finanzierà più di tanto lo sviluppo della produzione di energie rinnovabili perché sono troppo care, mentre vuole investire nel “ciclo del caldo e del freddo”;
4) la grande novità in questo senso è generare il riscaldamento bruciando i rifiuti urbani negli inceneritori, e non si capisce perché ci sia tutta questa opposizione perché gli inceneritori sono il futuro e l’Europa è vent’anni indietro agli altri e gli inceneritori di oggi sono compatibili in quanto vengono inseriti nelle città (mostra foto di un inceneritore di Vienna dipinto di colori vivaci e con grandi disegni, come prova del fatto che non disturba il pianeta);
5) poi si pensa di investire in nuove centrali nucleari in modo da aumentare la produzione globale di energia evitando che i paesi poveri, che detengono il 90% delle riserve mondiali di petrolio ancora esistenti, ci taglino le gambe o costringano l’Occidente a “vecchi metodi non più praticabili” (eufemismo per invaderli, colonizzarli, taglieggiarli ecc.);
6) e comunque tutti questi esperti (praticamente tutti quelli che hanno parlato nel resto del meeting) che vogliono invece ridurre i consumi energetici dell’Occidente ad un quarto dell’attuale in modo da renderli sostenibili su scala globale (il che, faceva notare ieri Odifreddi, equivarrebbe al livello degli anni ’70, non certo all’età delle candele) sono degli oscurantisti che vogliono negare il progresso agli europei e riportarci indietro nella competizione globale per la crescita economica.
Ora io spero veramente che questo tizio, come spesso si dice degli euroburocrati, sia stato nominato direttamente dall’industria di settore, perché se pensa veramente queste cose senza essere pagato per farlo c’è da preoccuparsi davvero sul ruolo della Commissione Europea nel nostro futuro: forse tutti questi che si oppongono a un maggior peso delle istituzioni europee non hanno tutti i torti…
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Pisa, si sa, è infestata di matematici. Devono averne assoldato uno persino per definire i sensi unici all’interno della città: infatti essi adottano uno schema unico al mondo, secondo il quale praticamente ad ogni incrocio ciascuna via inverte il senso di marcia. In questo modo non vi sono quasi mai semafori o incroci con precedenza, ma ci si trova spesso davanti a “incroci frontali” in cui le auto convergono da due direzioni opposte e svoltano obbligatoriamente, riunendosi in una delle due direzioni laterali. Si capisce che è un principio ideato da un matematico perché è assolutamente geniale e perfetto sulla carta, ma quando ti ci trovi in mezzo nella pratica diventa un incubo: andare “verso là” è impossibile in quanto dopo uno o due isolati vieni subito fatto girare di novanta gradi, e il dover percorrere continue e gigantesche chicane fatte di interi isolati solo per andare diritto è una esperienza davvero perversa.
Alla luce di questo, si spiega anche la scenetta di Odifreddi che entra nella sala colazione dell’albergo, mentre noi siamo lì che mangiamo, e non si accorge del buffet e della macchina del caffé a disposizione dei clienti, inseguendo vanamente un cameriere pieno di tovaglie sporche per ordinare che gli venisse fatto un tè. D’altra parte, mi viene difficile definire Odifreddi un matematico: nel suo intervento stamattina ha parlato di qualsiasi cosa, strappando gli applausi della platea – composta dall’intellighenzia della pubblica amministrazione e dell’accademia della Toscana – ricordando che tutti si lamentano dell’Iran ma la bomba atomica l’hanno sganciata solo gli americani; argomentazione fine e poco poco populista. A un certo punto ha anche motivato un argomento spiegando che “in politica diciamo così”… Del resto dopo di lui c’era nel panel Ignazio Marino, neo-candidato alla segreteria del PD, che peraltro ha fatto un intervento che a me è piaciuto molto, tutto centrato sulla libertà di scelta in materia di bioetica.
Insomma, questo convegno di San Rossore è davvero eccellente e i relatori sono di altissimo livello; non ho resistito e mi son fatto fotografare accanto al pannello che reca i nomi degli intervenuti e che, a causa della disposizione su tre colonne, reca scritto “VITTORIO BERTOLA [tab] MARGHERITA HACK”: accoppiati dal destino con molto piacere. La tenuta presidenziale è bellissima e tirava pure un piacevole venticello che rendeva il caldo quasi sopportabile, almeno al di fuori dei tendoni dove si svolgono gli incontri. Il mio panel era presieduto dal vicepresidente della Regione Toscana, Gelli, un medico che ha parlato di tutti gli sforzi della Regione per portare la larga banda ovunque, riconoscendo questo come un diritto, e per collegare tutti gli ospedali con linee a 100 Mbps; io ho parlato di copyright, creative commons, peer-to-peer e natura orizzontale della rete. Il pubblico era attento ed è stato davvero un piacere partecipare.
C’è però un unico, spiacevole incidente che si è verificato e che per dovere di cronaca non posso non riportare; quello che un umorista inglese definirebbe “il grande disastro del carrello dei prosciutti“. Gli è che, come purtroppo è norma in Italia (abitudine che sconvolge sempre gli ospiti stranieri), il programma della mattinata era in ritardo di solo un’ora e mezza; grazie alla logorrea del relatore italiano medio (tanto più quanto più è un famoso accademico) e all’idea che far rispettare i tempi prestabiliti sia per un moderatore un atto di grande sgarbo personale verso il relatore logorroico, la mattinata invece di finire verso l’una è finita alle 14:20.
La tenuta è isolata a chilometri dalla città, dunque era previsto un buffet per tutti i partecipanti; e per ovvi motivi di finesse culinaria nonché di correttezza ideologica, la sua organizzazione è stata affidata al locale gruppo di Slow Food.
Adesso immaginatevi la scena: immaginate circa trecento persone, prevalentemente tra i quaranta e i sessant’anni, che stanno morendo di fame da un pezzo, e che si trovano di fronte a un bancone nemmeno troppo lungo dietro il quale si trovano una decina di persone in elegante divisa bianca, a ognuna delle quale è stato assegnato un compito quale il tagliare con finezza, cura e soprattutto grande lentezza una fettina di eccezionale prosciutto toscano, o di salame, o di formaggio, o di focaccia o di alcune altre cose, per poi guarnirla e disporla su un vassoio d’argento. Ecco, io sono un esperto internazionale di buffet plundering, ma non ho mai visto nulla del genere; dirigenti pubblici azzuffarsi per una fetta di pane; distinte signore darsi di gomito e spintonarsi per un pezzo di pecorino; giovani adirarsi coi vecchi per la loro lentezza, e vecchi adirarsi coi giovani per la loro destrezza; bambini piangenti implorare un po’ di pietà e del cibo, anche solo una scodellina di ceci o la pappa col pomodoro.
In tutto questo, io ho sfruttato esperienza, abilità e intelligenza per infilarmi in ogni pertugio e procacciare rapidamente una notevole quantità di cibo per me e per la mia compagna. D’altra parte, si sa, siamo piccoli e deboli; per sopravvivere non possiamo che sfruttare l’astuzia.