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Archivio per il mese di Settembre 2009


mercoledì 30 Settembre 2009, 18:41

A Milano si viaggia gratis e in estrema sicurezza

A Milano, sui mezzi, si viaggia gratis: almeno è ciò che mi è successo in questi giorni. La settimana scorsa, infatti, per andare da viale Argonne a Porta Venezia ho preso il tram 5 (me l’ha suggerito il sito ATM ma non ci cascherò mai più: è arrivato un tram e ho pensato “toh guarda, un tram storico in giro di prova, peccato che sia ancora da restaurare”, e invece era proprio il 5, con i pezzi che si staccavano e lo sporco di trent’anni sul groppone; la prossima volta piuttosto vado a piedi) e la macchinetta per validare il biglietto era rotta; ho fatto tutto il viaggio con il biglietto in mano e la paura che uno dei famosi controllori lombardi sindacasse sulla mancanza del timbro. Stamattina invece ho preso il 54 per andare in centro, e la macchinetta era rotta pure lì; una bella scritta “FUORI SERVIZIO” campeggiava sia su quella per i biglietti che su quella per gli abbonamenti, e allora ho capito che è normale e che fa parte di una campagna di sconti per i fruitori dei mezzi.

Milano, dal punto di vista urbanistico, è una città ai confini della realtà; solo qui potrebbero prendere un orrendo palazzone anni ’50 in corso Monforte, davanti alla Provincia, e pensare di vendere un alloggio con un cartello che dice “VENDESI – delizioso appartamento di 125 mq”. Delizioso, capite? Su una via buia larga cinque metri e perennemente occupata di auto in coda eterna che spuzzettano sulla tua finestra! Se quello è delizioso, vuol dire che i milanesi si deliziano con poco.

L’altra scelta urbanistica che lascia perplessi è la quasi totale mancanza di corsie preferenziali e vie dedicate al trasporto pubblico. Corso Monforte, a parte brevi tratti, è a senso unico con una carreggiata larga due corsie; in una gestione con un minimo di senso, una delle due sarebbe una preferenziale per bus e taxi mentre l’altra sarebbe dedicata al traffico privato, o meglio ancora la via sarebbe riservata a bus e taxi mentre il resto della carreggiata costituirebbe un marciapiede di larghezza decente a servizio dei pedoni e dei negozi. Devi andare in San Babila? Miseria, hai a disposizione una metro di tre linee più passante, varie linee di bus, i taxi, bike sharing ovunque, e svariati parcheggi sotterranei pubblici e privati da cui puoi arrivare lì a piedi in cinque minuti. Ma che cacchio di ragione c’è per volerci arrivare con il SUV a otto ruote motrici, che poi non sai dove lasciarlo e comunque all’incrocio ti pianti perché è più largo anche del bus? E invece niente, la via è riempita così: una corsia occupata da SUV a otto ruote motrici fermi in sosta vietata con le quattro frecce, e l’altra da una coda eterna e infinita in cui il bus, così come chiunque altro, impiega quindici minuti a fare tre isolati. Mah…

Ah, e la sicurezza? Sul 54 dove la macchinetta non funzionava, in compenso funzionava uno schermo su cui giravano pubblicità e informazioni varie. Una delle informazioni era relativa al bando per l’assunzione di nuovi autisti ATM; i requisiti, oltre al saper guidare e al voler fare turni anche notturni e festivi, erano “godimento dei diritti civili e politici” e “nessun procedimento penale in corso o condanna penale passata in giudicato”. Insomma, sui mezzi milanesi si viaggia in piena sicurezza, con la certezza che il tuo autista non è un assassino, stupratore, truffatore o spacciatore che gira strafatto. Comunque, se voi siete un assassino, stupratore, truffatore o spacciatore che gira strafatto potete sempre consolarvi facendovi eleggere in Parlamento, dove invece tali requisiti non sono minimamente richiesti e anzi se provi a proporli ti danno del “forcaiolo” e “giustizialista”. Strano paese, il nostro.

[tags]milano, bus, traffico, mezzi pubblici, atm, biglietti, appartamenti, delizia, urbanistica, sicurezza, pregiudicati, parlamento pulito[/tags]

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martedì 29 Settembre 2009, 11:32

Fanculo al futuro

Un trentenne, commentatore fisso di questo blog, compra casa in un bel palazzo anni ’70, di quelli con i marmi nell’ingresso e il doppio ascensore. Solo dopo essersi trasferito scopre che lo aspettano migliaia di euro di lavori urgenti per il rifacimento di muri e facciate: infatti da decenni non è stato fatto alcun lavoro di manutenzione straordinaria, dato che nel palazzo i condomini sono quasi tutti vecchi che non hanno più interesse a fare investimenti di lungo termine.

La stessa situazione si ripete anche nel mio palazzo; il motore dell’ascensore da circa un mese emette un ronzio preoccupante, udibile distintamente dal piano di sotto, che, oltre a disturbare, è probabilmente segno di una forte perdita di corrente, magari anche pericolosa. A tutte le segnalazioni, la risposta dell’amministratore è stata che sì, lo faremo vedere, ma solo quando tra un mesetto arriverà la visita di manutenzione programmata, perché altrimenti il condominio dovrebbe pagare al tecnico cinquanta euro di chiamata, e dato che quasi tutti nel palazzo sono anziani pensionati si oppongono a qualsiasi spesa.

Dopo questi aneddoti, capisco meglio perché Torino è piena di palazzi sporchi e cadenti, i cui abitanti non fanno alcuna manutenzione a meno che non arrivi una ordinanza comunale contro il degrado (possibilmente con qualche incentivo economico). Purtroppo, però, non si tratta solo della manutenzione delle case.

Alle ultime elezioni, ero rimasto colpito dallo scoprire che oltre il 70% degli elettori torinesi ha più di 40 anni, ossia è già nella metà conclusiva della propria esistenza; quasi il 40% ne ha più di 60, e ha dunque una aspettativa di vita media di una quindicina d’anni. Fuori Torino, nelle campagne e nelle colline, è anche peggio: i giovani sono una rarità. Non è quindi un caso che tutta la politica italiana si concentri su pensioni, badanti e sanità; soprattutto, non è un caso che l’Italia sia gestita con le stesse logiche dei suoi condomini, cioè con una programmazione del bilancio statale mirata a spendere ora cifre insostenibili per l’assistenza ai vecchi, scaricando i conseguenti debiti sulle future generazioni, e a risparmiare nel frattempo su qualsiasi investimento di medio-lungo termine.

E’ anche per questo che si moltiplicano i trattamenti speciali per gli anziani – riduzioni sull’autobus, sul cinema, sui costi sanitari, persino l’esenzione dai divieti di circolazione anti-inquinamento – anche se, nell’Italia di oggi, in genere gli anziani sono più ricchi dei loro figli, mentre i loro nipoti spesso non riescono nemmeno a concepire una propria indipendenza economica; eppure, per i ventenni di facilitazioni proprio non se ne parla. Infatti, quando si tratta di vincere le elezioni, il gruppo sociale decisivo sono proprio gli anziani; dunque è lì che si concentrano le lusinghe e le attenzioni della politica.

Per le nostre democrazie è un problema nuovo; fino a trent’anni fa, la struttura demografica della società era molto diversa, con una abbondanza di giovani e una scarsità di anziani. All’estero, qualcuno ha già avanzato proposte interessanti: per esempio quella di concedere il voto anche ai minorenni, neonati compresi, facendolo esercitare dai loro genitori, che almeno in teoria dovrebbero avere a cuore il loro futuro; o quella di rovesciare il tradizionale principio della “camera dei vecchi” – anche da noi, il Senato è riservato agli elettori oltre i venticinque anni – sostituendolo con una “camera dei giovani”, cioè facendo eleggere uno dei due rami del Parlamento solo dagli elettori ancora in età lavorativa. Naturalmente, c’è il problema che queste misure dovrebbero essere approvate da una politica in mano agli anziani: è proprio il caso di dire “campa cavallo”.

[tags]politica, giovani, anziani, demografia, condomini, investimenti, futuro[/tags]

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lunedì 28 Settembre 2009, 14:00

Passando alla cassa

Oggi vi racconto una scena a cui ho assistito personalmente, e che mi ha fatto venire molti dubbi.

Venerdì pomeriggio, Lidl di via Borgo Ticino, dietro piazza Rebaudengo. Siamo in coda per pagare, e subito davanti a noi ci sono tre rom del vicino campo nomadi: un adulto di 35-40 anni, un bambino di una dozzina e un bimbetto di un paio, seduto dentro il carrello; davanti a loro c’è una signora italiana di mezz’età. Mentre è il turno della signora, la cassiera vede il bimbo piccolo e comincia a sorridergli, e così lei e la signora italiana si mettono a parlare col padre di bambini, e quanto è bello averli, e la cassiera si lamenta che è difficile, e il rom scherza che “è il marito che non funziona”; a un certo punto la cassiera, battendo i primi pezzi della grossa spesa dei rom, compresa roba da bambini, dice “sì però quanto costa mantenerli!”.

A quel punto il padre risponde così: “Eh non dirlo, sai a noi ci danno solo trecento euro al mese per ogni bambino, io ne ho fatti cinque ma con millecinquecento euro al mese è difficile pagare tutto…”. Attimo di stupore, a quel punto il padre aggiunge “Ma tanto li danno anche a voi no?”, e la cassiera basita risponde che no, che a lei risulta che il Comune dia mille euro una tantum, solo per il primo bambino, anzi forse “a mia cognata l’hanno dato solo se faceva il secondo”. Percependo un po’ di sconcerto, il signore rom aggiunge che “Però è solo la mia zona… Infatti nella mia zona è difficile entrare, non fanno entrare più nessuno… ma poi bisogna vedere…”.

La signora di mezza età, che ha finito di insacchettare la sua spesa, a quel punto sbotta e con tono secco dice che lei voleva tanto avere due figli, ma ne ha fatto uno solo perché non poteva permettersi il secondo, e che gli italiani i figli se li pagano da soli e non li aiuta nessuno. Il rom allora fa piena marcia indietro e dice che no, era uno scherzo, anche a loro nessuno dà niente; anzi, questa voce che i rom ricevono soldi e sovvenzioni è una cattiveria, messa in giro apposta perché tutti ce l’hanno con gli zingari. Quindi paga con una banconota da cinquanta euro (che la cassiera per prima cosa infila nel verificatore per controllare che non sia falsa), infila tutta la spesa di corsa nel carrello ed esce.

A quel punto, mentre passa la mia roba, la cassiera chiama il direttore e cambia totalmente tono; piuttosto incazzata, gli dice “Hai visto! Questi fanno i figli apposta e ricevono un sacco di soldi, millecinquecento euro al mese e poi hanno anche la faccia di venire qui a lamentarsi! Pazzesco!”.

Sarà vero? Sarà falso? A me, durante la campagna elettorale, ha fatto sorridere (ma anche preoccupare) sentire persone che ci approcciavano per lamentarsi che “agli extracomunitari danno gratis pure la tessera della piscina”. Però, dopo aver sentito tutto questo con le mie orecchie sono piuttosto sconcertato; è noto che le bollette dell’elettricità e dell’acqua dei campi nomadi sono da sempre pagate dai contribuenti torinesi, anche se ad intermittenza esce la notizia che vogliono cominciare a fargliele pagare, senza mai riuscirci; ma all’idea che gli diano pure dei bei soldi in mano – direttamente dalle casse comunali, o più facilmente sovvenzionando con fondi pubblici qualche pia associazione senza scopo di lucro che si tiene un bel compenso e gli passa il resto – onestamente non vorrei proprio credere. Eppure l’hanno detto loro…

[tags]rom, zingari, assistenza, nomadi, campi, torino, figli[/tags]

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sabato 26 Settembre 2009, 09:11

Trasferiamoci a Crotone

Il Sole 24 Ore ha pubblicato questa settimana gli esiti di una interessante inchiesta sulla qualità della vita nelle province italiane, partendo dal presupposto ormai sempre più assodato che il PIL non è tutto e che bisogna dunque tenere conto di tanti altri fattori, dalla qualità dell’ambiente all’effettiva disponibilità di ricchezza spendibile per abitante, passando per l’istruzione e le attività sociali e culturali.

L’effetto è degno di nota: mentre le classifiche basate sul PIL vedono solitamente l’Italia ordinata rigorosamente da nord a sud, quelle sul benessere sono un po’ più mescolate, e mostrano più chiaramente come l’aumento della produttività media non corrisponda necessariamente a una vita migliore. Così, in testa ci sono la Romagna e le Marche, e poi tante piccole e medie province del centro-nord.

La cosa per noi più significativa è però che, in termini di qualità della vita, il nord-ovest arranca: Piemonte e Liguria sono nettamente indietro al resto del nord e di quasi tutto il centro Italia. In particolare, queste sono le posizioni e i punteggi delle province piemontesi:

34    Cuneo                   116,4
52    Biella                  104,3
54    Novara                  100,5
59    Vercelli                98,5
64    Asti                    95,9
71    Alessandria             91,8
72    Verbano-Cusio-Ossola         90,4
77    Torino                  86,8

Se Cuneo emerge, le altre province sono attorno alla media nazionale (valore 100) o decisamente sotto, fino al caso di Torino, che viene subito prima di Roma e Bari, ma subito dopo Crotone, Salerno, Nuoro e Oristano. E sentirsi dire che ormai si vive meglio a Crotone o a Salerno che a Torino non è certo una grande notizia, specie a fronte della favoletta che ci viene costantemente raccontata della città olimpica, attrazione turistica globale e capitale cultural-tecnologica nazionale.

Nonostante la serietà della fonte, si tratta ovviamente di un singolo giudizio; magari cambiando gli indicatori il risultato sarebbe stato diverso. Eppure, credo che il confronto con le altre regioni della pianura padana – leghiste o rosse che siano – debba davvero allarmarci. Una volta eravamo un territorio che non sapeva vendersi, ma con tanta solidità sotto. Ora passiamo il tempo a raccontarci fuffa, ma le fabbriche chiudono, l’ambiente si deteriora, le nostre città sono lasciate al degrado e le prospettive sono sempre più stagnanti.

[tags]il sole 24 ore, pil, benessere, italia, confronto, province, piemonte, torino[/tags]

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venerdì 25 Settembre 2009, 09:35

Senza pudore

È di oggi la notizia che Chiamparino e Saitta propongono una ammucchiata in Valsusa: pur di garantire ai gruppi di potere che li sostengono l’allettante torta della Tav, sono disposti addirittura a sconfessare i propri sindaci sul territorio – che si limitano a riportare quello che gli dicono i loro elettori – e ad accordarsi col PDL di Osvaldo Napoli, ex sindaco di Giaveno e ora vicepresidente berlusconiano della Camera, per scegliere insieme la nuova dirigenza della Comunità Montana della valle.

E dire che quando un anno fa sulle pendici del Musiné fu realizzata (alla luce del sole e con tanto di autorizzazione della Forestale…) la scritta “NO MAFIA” – un concetto su cui in teoria tutti dovrebbero essere d’accordo – denunciando sia gli accordi sottobanco tra tutte le forze politiche e i grandi interessi economici che stanno dietro alla Tav, sia l’infiltrazione della criminalità organizzata negli appalti delle grandi opere, lo stesso Napoli commentò la cosa definendone gli autori “personaggi disgustosi, vigliacchi, incapaci di razionalità” (lo fece su Repubblica, perché con i giornali locali che si rifiutano di fare interviste sdraiate si comporta come Berlusconi).

In teoria, a un personaggio del genere il centrosinistra dovrebbe fare opposizione dura; eppure, sotto sotto, poi si vede che l’inciucio regolarmente avviene, che tutti si mettono d’accordo perché la grande opera arrivi e con essa una pioggia di soldi pubblici per tutti, a costo di commissariare gli esponenti locali del proprio partito e ignorare i loro elettori – tanto, i voti che si perdono in Valsusa, dove la gente sulla Tav sa di cosa si parla e non si fa infinocchiare, si recuperano nel resto della provincia grazie alla propaganda unanime di tutti i giornali.

A questo punto, parlare di mafia o meno è soltanto questione di definizioni.

[tags]mafia, valsusa, tav, giaveno, osvaldo napoli, chiamparino, saitta, berlusconi, opposizione, informazione[/tags]

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mercoledì 23 Settembre 2009, 20:23

Perché la ferrovia in Italia non funziona

Parlando ancora di ferrovie, in questi giorni ho potuto finalmente sperimentare il passante ferroviario di Milano; una infrastruttura costata tonnellate di soldi e trent’anni di lavoro, che costituisce tuttora per molti milanesi un oggetto misterioso di cui si è vagamente sentito parlare – figuriamoci per chi viene da fuori.

In effetti, il tracciato lascia da sempre i tecnici un po’ perplessi, dato che sono riusciti a non farlo passare né per la stazione principale né per il centro città. Comunque, per tutta una serie di destinazioni (Porta Garibaldi, Porta Venezia e tutta la zona est della città, quella meno servita dalle metropolitane) il passante è decisamente comodo; arrivando da Torino, si può scendere dal regionale a Rho Fiera e di lì prendere il primo treno S in arrivo in direzione centro (uno ogni 15 minuti), che lo percorre tutto; si può arrivare in mezzo alla città con il solo biglietto FS del regionale Torino-Milano – che è valido qualsiasi sia la stazione di Milano a cui si scende, comprese le fermate del passante – o giunti in città si può usare il passante come metropolitana, con il normale biglietto urbano ATM, almeno tra Certosa e Rogoredo.

Se leggete l’ottimo sito di Stagni – un vero riferimento per tutti gli interessati alle ferrovie, gestito da una delle persone che pianificano il sistema ferroviario per la Regione Lombardia – troverete tutta la teoria, importata dalla Germania, della divisione dei servizi ferroviari locali tra suburbani, regionali ed espressi, nonché dell’organizzazione perfetta delle coincidenze grazie al concetto di orario cadenzato simmetrico. Ad esempio, il nodo di Novara è stato definito come “nodo 00”, il che significa che tutti i treni o quasi arrivano a Novara poco prima dello scattare dell’ora e ripartono poco dopo, se possibile in maniera simmetrica rispetto all’ora esatta. Così, il regionale da Torino arriva ai :59 e quello da Milano ai :00, ripartendo subito dopo; essi offrono una pronta coincidenza al treno arrivato da Milano Cadorna (via SaronnoBusto Arsizio) ai :53, in entrambe le direzioni; questo treno fa capolinea a Novara e riparte ai :07, caricando a sua volta senza attese i passeggeri scesi dai regionali e diretti alle fermate locali tra Novara e Saronno.

Se fossimo in Germania, tutto ciò sarebbe perfetto; peccato che siamo in Italia, dunque il risultato è che il regionale arriva un po’ in ritardo; poi il treno per Saronno è gestito dalle Ferrovie Nord dunque parte non al binario accanto, ma in un’altra stazione a vari minuti di distanza a piedi; e poi, visto che sono due aziende diverse, non è possibile fare un biglietto unico da Torino per le destinazioni sulla linea delle Nord, ma bisogna farne due, di cui uno necessariamente a Novara in quei teorici sette minuti. Il risultato? Beh, ovviamente la coincidenza è imprendibile, e se chiedete al sito Trenitalia un percorso da Torino per Galliate o Castellanza vi suggerirà lui stesso che dovete aspettare il treno dopo, ossia un’ora e sette minuti invece dei sette minuti previsti da chi ha progettato l’orario pensando di essere in Germania.

Il passante di Milano non sfugge a questa logica, però qui l’Italia aiuta: infatti il regionale arriva a Rho Fiera ai :29, mentre il treno S passa ai :28 (il successivo è ai :42, cioè un quarto d’ora dopo). In Germania ci si incacchierebbe (in realtà la coincidenza è pensata nell’altro senso, per permettere ai pendolari locali che arrivano da Vittuone, Corbetta e Rho di salire sul regionale per andare in Centrale); essendo in Italia, però, si può dare per scontato che il treno S sarà in ritardo, e infatti stamattina, sceso dal regionale, il tabellone lo dava come ancora da passare, con cinque minuti di ritardo. Corsa al binario, attesa, e al momento debito… sul binario in questione arriva un lunghissimo merci. Il tabellone impazzisce, il treno viene tolto dagli orari e sostituito da quello dei :42, che arriva in perfetto orario. Immagino che il treno dei :28 sia sparito nel triangolo delle Bermuda, oppure sarà ancora lì a quest’ora, chissà. Comunque, con il treno delle 9:42 sono arrivato via passante a Milano Dateo alle 10:02 e di lì alla mia destinazione, a pochi minuti di bus, evitando la maggior parte del traffico cittadino.

Stavo pensando di provare la combinazione opposta: per tornare a Torino, invece di andare in Centrale, andare a Dateo (un quarto d’ora a piedi), prendere la S5 o S6 fino a Rho e poi il regionale da lì. Peccato che anche questo sia un piacere riservato all’universo parallelo che vede Milano sita in Germania: infatti, per prima cosa a Dateo non ci sono biglietterie né macchinette che facciano biglietti per Torino. Anche se ci fossero, però, c’è un altro problema: non saprei dove scendere, dato che prima i regionali fermavano a Rho, ora sono stati spostati a Rho Fiera (cosa perfettamente logica, dato che ci arriva la metro rossa e ogni tanto fermerà pure l’alta velocità); poi, dopo le proteste dei pendolari di Rho che non vogliono cambiare le loro abitudini secolari, alcuni treni a caso sono stati riportati a fermare a Rho invece di Rho Fiera.

In altre parole, chi arriva dal passante non ha modo di sapere se scendere per aspettare il regionale a Rho o a Rho Fiera: la tipica disorganizzazione italica, derivante dall’arrangiarsi in modo da accontentare sempre un po’ tutti per non perdere popolarità, rende l’intero servizio inutilizzabile. Ma c’è di più: per qualche imperscrutabile motivo, i due regionali per Torino del mattino – proprio quelli che sarebbero più utili ai pendolari – non fermano né a Rho né a Rho Fiera, e tirano dritto fino a Novara: anche qui, addio all’uso del passante, a meno di non partire molto prima e con la sola S6 (la S5 dopo Rho gira per Varese). E poi, c’è sempre il rischio che la S sia in ritardo e che tu ti veda il regionale sfrecciare davanti senza poterlo prendere…

Credo che questo semplice quadretto vi spieghi bene perché le ferrovie in Italia sono in cotal declino. Non è affatto questione di spendere migliaia di miliardi per nuove ferrovie, anche se è ciò che la lobby dei magnatori di appalti vuol farci credere. Sarebbe semplicemente questione di organizzazione, informazione, regole chiare e pianificazione accurata dei servizi mettendosi dal punto di vista degli utenti. Peccato che per noi sembri un’utopia.

[tags]ferrovie, treni, pendolari, passante, milano, novara, torino, rho, fiera milano[/tags]

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martedì 22 Settembre 2009, 10:30

Apre il passante, a metà

Era un po’ che aspettavamo che qualcuno desse la notizia, e finalmente si sono degnati di farla uscire, con ben cinque giorni di anticipo: da domenica prossima apre il passante ferroviario tra Porta Susa e corso Grosseto, e i treni per Milano si spostano in sotterranea. Per ora apre solo un binario, quello in direzione nord, mentre i treni che arrivano da Milano continueranno a fermare in superficie; dal 18 ottobre però aprirà anche il secondo, e tutti i treni andranno in sotterranea, mentre i binari di Porta Susa – i primi dei quali entrarono in servizio il 25 maggio 1854 – andranno in pensione dopo oltre 155 anni. Contemporaneamente chiuderà per sempre anche la stazione di Torino Dora, in cui il servizio risale al 20 ottobre 1856; ne riaprirà forse una nuova tra qualche anno, quando troveranno i soldi per costruirla in sotterranea sul passante.

Sarebbe una data storica, se non fosse la classica inaugurazione all’italiana. Non soltanto per l’approssimazione con cui è stata gestita: di informazione finora non c’era nulla, e le date erano trapelate da poco tempo sui forum degli appassionati e dei pendolari solo per via delle informative interne, ma l’orario ufficiale di questo primo periodo è stato pubblicato solo in questi giorni, mentre per il secondo periodo ancora non si sa nulla. Inoltre, l’attivazione dei binari richiederà lavori che dureranno per 24 ore ogni volta, dal sabato sera alla domenica sera, sia domenica prossima che domenica 18 ottobre; in queste giornate molti treni saranno soppressi, limitati a Torino Stura o a Chivasso, o fortemente ritardati… eppure nessuno ancora sa esattamente quali; il sito di Trenitalia vende i biglietti per domenica come se nulla fosse…

Anche passata la transizione, tuttavia, il servizio sarà molto difficoltoso. Come forse avrete letto, l’azienda che aveva in appalto la costruzione della nuova stazione di Porta Susa è fallita qualche tempo fa, e i lavori a fine marzo si sono bloccati. Pare che stiano per riprendere, tuttavia della nuova stazione – pur inaugurata in pompa magna quasi un anno fa – esistono solo quattro dei sei binari sotterranei e i relativi corridoi di accesso, con ingresso dal marciapiede di corso Inghilterra e – solo per quello nord – dal marciapiede del binario 3 della vecchia Porta Susa. Dentro non c’è niente: non un bar, non una biglietteria, nemmeno le macchinette automatiche; si può solo scendere al binario e prendere il treno. Questa situazione durerà almeno fino a marzo 2011 (data prevista…), quando si potranno inaugurare le prime parti del nuovo fabbricato viaggiatori e collegare i binari alla nuova fermata della metro, quella “fantasma” dove i treni della metro si fermano senza aprire le porte già da due anni.

Per questo motivo, ancora per due anni resterà attivo l’edificio della vecchia stazione, con tutti i relativi servizi (biglietterie comprese). Comprato il biglietto, il giornale o il panino si dovrà però attraversare a piedi la zona dei vecchi binari, spostarsi verso sud di un centinaio di metri ed entrare al capo nord della nuova stazione, per poi continuare a spostarsi a piedi verso sud (il capo sud dei marciapiedi è circa all’altezza di corso Vittorio). Bisogna dunque scordarsi di arrivare in stazione all’ultimo, perché dalla fermata della metro ci sono almeno cinque minuti a piedi, e fino a fine ottobre bisognerà addirittura scendere nel sottopassaggio della vecchia stazione per risalire poi dalla strettissima scala del binario 3 (voglio vedere coi regionali per Milano…).

Forse siamo noi a lamentarci sempre, ma in un altro paese non sarebbero certo arrivati a spostare il traffico di una delle principali stazioni cittadine senza aver pronto almeno un minimo di servizi e locali per i viaggiatori e senza aver spostato i trasporti pubblici urbani; non credo che sia chiedere troppo da chi pianifica lavori di questa portata.

[tags]ferrovie, torino, porta susa, dora, passante, lavori[/tags]

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lunedì 21 Settembre 2009, 14:40

Videopresi per il culo

Saranno anni che non guardo più nemmeno per caso Quelli che il calcio e faccio assolutamente bene. Dopo Videocracy, però, la fama sulla qualità della nostra televisione deve essersi diffusa meglio anche all’estero, visto quello che è successo ieri…

Gli ospiti musicali del programma erano i Muse, uno dei tre o quattro gruppi rock più famosi dell’ultimo decennio, in giro per presentare il proprio nuovo album; ovviamente, come qualsiasi musicista, avrebbero desiderato farlo suonando dal vivo in una atmosfera adatta, ma si sono trovati davanti la Ventura – già globalmente nota per una terrificante riproposizione di un meraviglioso classico anni ’60 di Lola Falana – che sbraitava con le tette di fuori e che esordiva sbagliando il loro nome e chiamandoli “The Muse” perché così (come griderà poi a fine canzone) è tutto “molto internazionale very internescional”. Ovviamente di suonare dal vivo alla TV italiana non se ne parla, in Italia si può soltanto suonare in playback perché altrimenti la maggior parte dei nostri cantanti farebbe pietà.

E così, i Muse si sono prontamente vendicati: per il playback, il cantante Matt Bellamy si è seduto alla batteria e ha cominciato a suonare in un modo talmente ridicolo da essere evidentemente finto per chiunque abbia mai visto un batterista suonare, mentre il batterista ha preso il basso e ha finto di cantare.

Come ha risposto la Ventura alla provocazione? Beh, non ha risposto: infatti in tutto lo studio nessuno si è accorto di niente! Invano il batterista, intervistato come se fosse il cantante, ha cercato di dare un indizio alla Ventura parlando de “il nostro batterista Matt”, ma probabilmente la Ventura non solo non conosceva il volto, ma non sapeva nemmeno il nome della persona che doveva intervistare. Che il telespettatore medio possa non conoscere a memoria il volto di Bellamy è normale, ma che la conduttrice che lo deve ospitare e la redazione che li ha invitati non sappiano come si chiami e che faccia abbia è un po’ più grave… E così la nostra videocrazia si è fatta prendere bellamente per il culo dagli “ospiti internazionali”!

[tags]televisione, ventura, muse, videocrazia[/tags]

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domenica 20 Settembre 2009, 12:01

Bolliti di speranza

In apparenza, fare il bagnetto verde non pare poi così difficile: si tratta di mescolare aglio, acciughe e prezzemolo. Eppure ieri sera ho partecipato all’annuale competizione di bagnetti verdi con annessa cena di bollito del comune di Montechiaro d’Asti, parte del rito propiziatorio in funzione del Palio di Asti che si corre oggi pomeriggio, e quelli che ci sono arrivati erano uno peggio dell’altro; addirittura uno sembrava una confezione di ragù industriale aperta e versata nel bicchierino, insomma andava al massimo bene per condirci la pasta, certo non il bollito; altri erano indistinguibili dal pesto, sia come consistenza che come sapore. Ho capito che le buone tradizioni si stanno perdendo quando, dietro di me, una famiglia è entrata portando in mano una bottiglia di ketchup e ha condito il bollito con quello.

In compenso, il bollito era ottimo e l’atmosfera piuttosto particolare; del resto, mentre stavamo incamminandoci verso il cinema comunale, all’occasione adibito a salone delle feste per oltre trecento partecipanti alla cena, si è fermato un furgoncino sponsorizzato da un concessionario della val d’Elsa, un tizio ha abbassato il finestrino e con un bell’accento toscano ci ha chiesto dov’era la cena. All’inizio pensavo che avessero sbagliato Palio, ma alla cena abbiamo poi scoperto che si trattava del clan di Gigi Bruschelli, il fantino senese per eccellenza, ospite insieme ai suoi amici e a una fidanzata di altissimo livello (nel senese il fantino professionista acquisisce lo stesso status sociale dei calciatori di serie A). Alla fine sono usciti ironizzando sull’abbondanza di bagnetti; in effetti la parte finale della serata è stata occupata da una proclamazione della classifica in ordine di risultato, cioè “Numero 13! Numero 5! Numero 22!”.

L’inizio è stato travagliato (fino alle dieci meno un quarto non abbiamo visto cibo) ma dopo il terzo giro di bollito, preceduto da un antipasto di salumi, ero piuttosto provato; abbiamo comunque resistito fino alla fine (formaggio, crostata, uva e gelato). In effetti, ieri siamo andati anche a Cheese, sul quale sorvolerei – anche se ho trovato sia il Pannerone di Lodi, sia l’Holzhofer extra-piccante, sia i pecorini toscani di gioielleria di Pinzani, sia un leggendario Emmental invecchiato 17 mesi della consistenza di un mattone e di colore giallo ocra, che ci è pure stato dato con lo sconto del 40% perché l’abbiamo chiesto in tedesco – ma per contratto con la mia redazione devo dirvi che “ho parcheggiato lontano, erano disorganizzarissimi, speso tanto e mangiato poco”; comunque, non capivo bene perché durante il giro tutti i formaggi assaggiati da Elena venissero paragonati con un misterioso alpìn. Questo è più molle dell’alpìn, questo è più duro dell’alpìn, questo sembra un po’ come l’alpìn ma più dolce… Andando alla cena ho finalmente capito: l’alpìn è un formaggio industriale prodotto dalle Fattorie Osella, ambiziosamente sottotitolato sul pacchetto come “Camembert del Piemonte”, ed è anche il formaggio nazionale di Montechiaro, pur essendo estero poiché proveniente da Caramagna Piemonte (però l’Osella è ora della Kraft, dunque ecco il tocco esotico del prodotto). Infatti, alla cena propiziatoria ci hanno servito l’alpìn, una confezione a testa rigorosamente nel pacchetto originale, ma essendo già piegato non ho nemmeno tentato l’assaggio.

La serata è stata comunque interessante e piacevole; l’atmosfera di paese – trecento persone tutte impegnate a capire di chi è il figlio quello lì, chi ha litigato con chi altro, che fine ha fatto quello che aveva il negozio là e quali sono le persone da non salutare più – è per noi cittadini affascinante; nella piazza principale c’è uno Sweet Bar dalle insegne e dalle decorazioni tutte granata, dunque ci siamo capiti; e finalmente un posto dove i bambini di otto anni non sono chiusi in casa a guardare la televisione, ma girano per i tavoli fin dopo mezzanotte con le bottiglie di vino in braccio, cercando in tutti i modi di offrirtene un’altra! Persino la pompa delle autorità – c’era persino la presidente della provincia nonché onorevole PDL (perché avere un solo stipendio quando se ne possono avere due) Maria Teresa Armosino – è stata sopportabile, anche perché eravamo dall’altra parte e gli sproloqui del tizio al microfono erano a volume accettabile. A questo punto, speriamo che Montechiaro rivinca il Palio; non succede dal 1981 e date le scarse finanze della ventura potrebbe non succedere tanto presto, ma l’importante è crederci sempre.

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sabato 19 Settembre 2009, 14:21

Storie di calcio moderno

Barletta, domenica scorsa: è in programma l’incontro professionistico Barletta-Manfredonia, valido per la Seconda Divisione (la ex serie C2). Poco prima dell’inizio, però, quando già le formazioni sono state comunicate e i giocatori si stanno preparando, arriva una terribile notizia: la moglie e il figlio di uno dei calciatori del Manfredonia sono morti in un incidente stradale mentre stavano recandosi a Barletta per vedere la partita. Sconvolti, i giocatori del Manfredonia chiedono di rinviare l’incontro; il Barletta accetta, e la partita viene annullata pochi minuti prima dell’orario di inizio.

Nel lutto generale, però, si attiva la burocrazia. Già, perché il regolamento della Lega Pro prevede “che il rinvio di una gara, quando anche concordato dalle due società, deve essere preventivamente comunicato alla Lega, soggetto organizzatore dell’evento stesso, per la ratifica dell’accordo; che solo nella ricorrenza del predetto adempimento può parlarsi di gara rinviata, dovendosi in caso contrario considerare la stessa come «gara non disputata» con tutte le conseguenze disciplinari”. In pratica, le due società si sono accordate, ma non hanno provveduto a inviare un fax alle autorità calcistiche in tempo utile; dunque il giudice, pur valutando l’aspetto umano e quindi astenendosi da punizioni più gravi come la sconfitta a tavolino per entrambe le squadre, multa il Manfredonia di duemila euro. Non sarà molto, ma stupisce il principio, come a dire che va bene la sensibilità, ma qui, persino nelle serie inferiori, ci sono di mezzo le televisioni e le scommesse: ricordatevi che lo show deve continuare o perlomeno che dovete portarci rispetto.

Purtroppo, stanotte se ne è andato Brian Filipi, promettente attaccante ventenne del Ravenna, che doveva venire al Toro già quest’estate e forse sarebbe venuto il prossimo anno; è stato investito da un’auto mentre camminava a bordo strada. Chissà se il Ravenna si ricorderà di mandare il fax.

[tags]calcio, giustizia sportiva, lega pro, barletta, manfredonia, ravenna, filipi[/tags]

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