Tout le monde est pays
A Ginevra, le elezioni cantonali di questa domenica sono state segnate dalla vittoria dell’MCG, che è quasi arrivato ad essere il primo partito. La particolarità è la natura di questo movimento: oltre a dichiararsi “nè di destra nè di sinistra” e a battere sul tasto della sicurezza, al grido di “basta frontalieri!” e “il lavoro ai ginevrini” esso si oppone alle migliaia di lavoratori francesi che attraversano ogni giorno il confine per andare a lavorare in Svizzera.
Naturalmente, senza i francesi l’economia ginevrina si fermerebbe: niente infermieri e niente commessi. Eppure, la concorrenza sul populismo si fa sempre più forte: anche un altro partito di destra ha cominciato a gridare contro il progetto di una ferrovia per i pendolari che faciliterebbe l’invasione della “marmaglia di Annemasse” (cittadina-dormitorio francese al confine con Ginevra).
Visto dall’esterno, è un discorso ridicolo: Ginevra è circondata dalla Francia su tre lati e sul quarto dal lago, rimanendo collegata alla Svizzera solo per una piccola striscia di terra sul lato settentrionale del Lemano. Anche volendo, non c’è fisicamente spazio per ospitare in città tutte le persone che gravitano economicamente sulla zona: la sua periferia si sviluppa dunque in Francia senza soluzione di continuità . A me capitò anni fa, per esempio, di alloggiare in un albergo costruito a servizio dell’aeroporto: l’aeroporto è in Svizzera, ma l’albergo era in Francia… Oltretutto, da quando anche la Svizzera (lo scorso dicembre) è entrata nello spazio Schengen sono spariti pure i controlli alla frontiera.
Il discorso sull’immigrazione è lungo e complesso, e io non sono certo tra quelli che vogliono frontiere aperte a chiunque senza limiti; in questo caso però il ridicolo sta nel voler considerare immigrati i vicini della porta accanto, solo per colpa di un confine risalente al Medioevo. Colpisce però come, in tempi di crisi, la mentalità del proprio orticello arrivi ad attaccarsi a qualsiasi appiglio, pur di permettere il rassicurante discorso secondo cui non siamo noi ad essere incapaci come collettività di mettere in piedi una economia funzionante e come singoli di trovare un lavoro ben pagato, ma è colpa di qualcun altro che ci invade e ci nega la ricchezza a cui pensiamo di avere diritto per nascita.
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