Acqua pubblica o acqua privata
Quella per l’acqua pubblica è una battaglia che Grillo porta avanti da anni, e prima di lui già molti altri; dunque in questi giorni sono stato bersagliato da messaggi di indignazione per l’approvazione in Parlamento della legge che permette la privatizzazione del servizio idrico. Al di là dell’ovvia considerazione che l’acqua è un bene vitale e dunque è vitale anche che esso sia gestito nel pubblico interesse anziché come una merce qualsiasi, là dove la privatizzazione è stata fatta le bollette sono andate alle stelle.
Del resto, non vi sfuggirà che al momento quella dell’acqua è l’unica bolletta di cui la maggior parte di noi nemmeno si accorge, al punto che viene emessa al condominio e divisa in maniera presunta, in base agli abitanti degli alloggi, perché le cifre in ballo sono talmente piccole che non vale la pena di installare contatori individuali. Qualcuno deve essersi chiesto: tanto la gente non smetterà comunque di comprare l’acqua, dunque perché non ne facciamo salire il prezzo per intascarci la differenza?
La vicenda è interessante anche perché tocca una questione fondamentale, quella della divisione di ruoli tra pubblico e privato. Molti di coloro che difendono l’acqua pubblica intendono tale difesa nel senso più rigido possibile: secondo loro, l’intero servizio idrico deve essere gestito da una società al 100% pubblica. Io, in linea di massima, non sono d’accordo; specialmente in Italia, è evidente a tutti come molti dei servizi affidati a società pubbliche siano gestiti al minimo indispensabile, se non lasciati allo sfascio, e i casi virtuosi rappresentino una eccezione. E’ utopistico pensare che questo possa cambiare facilmente, per via della mentalità italica per cui ciò che è di tutti non è di nessuno o al massimo è in uso privato alla persona o al partito che lo amministra.
La questione dunque non è se privatizzare o nazionalizzare; la questione è che il pubblico ha un ruolo irrinunciabile rispetto alle risorse fondamentali, quello di indirizzo e controllo. Il fatto che l’azienda che offre il servizio sia pubblica o privata dovrebbe essere irrilevante, perché lo Stato dovrebbe porre regole a garanzia degli interessi della collettività e dovrebbe garantirne il rispetto. All’interno di quelle regole, è poi giusto che un privato cerchi di massimizzare l’efficienza economica e dunque creare benessere, posti di lavoro, buon uso delle risorse: e questo vale anche per l’acqua, dato che la principale fonte di sprechi sono i nostri acquedotti pieni di falle che nessuno ha interesse a tappare.
Come al solito, il vero problema dell’Italia è la svendita dello Stato; la trasformazione dei politici in servi degli interessi economici privati, e l’abolizione per mancanza di risorse del sistema giudiziario. In queste condizioni, tutto il discorso che abbiamo appena fatto va a farsi benedire: perché alle teoriche efficienze del privato si sostituiranno gli arbitrii, le speculazioni e lo sfruttamento per interesse privato di antichi investimenti collettivi, lasciati nelle mani dei soliti amici degli amici; come è già successo per Alitalia, per Telecom, per le autostrade. A questo punto, meglio il servizio pubblico, che poi in molte città , compresa Torino, non è affatto male.
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