La lunga via per la democrazia
Ieri sera si è tenuta una interessante riunione del Movimento 5 Stelle Piemonte; e può una riunione del Movimento non essere movimentata? No di certo. Le questioni trattate sono piuttosto importanti e dunque sono meritevoli di una discussione con i miei elettori e con il pubblico sul blog.
Come saprete, uno dei punti fondamentali della nostra idea di politica è quella dell’eletto come “dipendente dei cittadini”; non una persona che una volta eletta ti saluta e per cinque anni fa quel che gli pare, ma una persona che riceve costantemente direttive dall’elettorato.
Purtroppo, in Italia, la Costituzione (pensata in condizioni totalmente diverse, quando il rischio da considerare erano le minacce fasciste ai deputati) prevede la totale libertà di mandato; non è tanto facile vincolare legalmente un eletto. Tuttavia, condividendo la visione di cui sopra, tutti i candidati alle regionali hanno firmato un impegno che li vincola almeno moralmente al ruolo di “dipendente”.
E dato che ogni contratto necessita di una controparte, prima delle elezioni è stata costituita legalmente una associazione di 18 persone, in rappresentanza un po’ di tutti i gruppi del Piemonte, che detiene il potere di controllo dei nostri due consiglieri, e ha il diritto-dovere di decidere sull’uso dei fondi concessi al gruppo e sulle posizioni politiche del movimento in Regione, agendo come organizzatore e intermediario della consultazione continua del pubblico e dei vari “meetup” e liste civiche attivi sul territorio, come previsto appunto dal contratto.
A questo punto, nella prima riunione dell’associazione dopo il voto, si trattava di decidere come farla evolvere: includere altri soci perché fosse più rappresentativa, mettere in piedi gli organi sociali che si sarebbero interfacciati con i due consiglieri e cominciare a discutere la scelta dello staff.
E qui, però, si sono scontrate due visioni opposte del mondo. Io, dopo tanti anni di Nazioni Unite e organizzazioni internazionali, sono un “formalista”; disegno architetture istituzionali a menadito. E dunque, la mia proposta era di ammettere nell’associazione tutte le persone conosciute e attive durante la campagna elettorale, in modo da creare una base di 40-50 iscritti assolutamente fidati; e di far eleggere a loro sia un direttivo, che seguisse le questioni economiche, che un organo politico, in cui fossero equamente rappresentate le varie zone del Piemonte, per discutere con i consiglieri le linee da prendere. (Tenere separati i soldi dalle policy è in genere una buona cosa, è quel che succede ad esempio nelle università con Consiglio d’Amministrazione e Senato Accademico.) Dopodiché, si sarebbe potuto lavorare con calma a una piattaforma di deliberazione partecipativa, da usare almeno per le grandi decisioni, usando nel frattempo il blog come “termometro” delle opinioni del pubblico.
Dall’altra parte però è emersa una posizione diversa: tutte queste regole non servono, complicano le cose e creano uno strato intermedio di burocrati. Manteniamo dunque la gestione dei soldi in mano ai 18 membri iniziali, e lasciamo le scelte politiche a un organismo informale, fuori dall’associazione, deciso dai consiglieri e/o dal gruppetto originario che già decise i candidati; o anche, lasciamo che i consiglieri facciano ciò che vogliono, in quanto sono già vincolati dal programma, possono interpellare la rete e saranno controllati dalla rete stessa. Qualcuno ha addirittura proposto di chiudere l’associazione e lasciare anche la gestione dei soldi in mano ai consiglieri.
Alla fine si è giunti a una votazione, e il gruppo si è diviso in due. Due terzi hanno votato a favore del modello formalizzato che avevo proposto io, mentre un terzo ha votato per svuotare l’associazione il più possibile. Il problema è che questo terzo comprendeva Davide Bono e alcune tra le altre persone più in vista del gruppo, che non l’hanno presa affatto bene; ed è partita un’oretta di discussione e critiche reciproche, piuttosto concitata, prima che l’ora tarda mandasse tutti a dormire.
In realtà , si scontrano due preoccupazioni entrambe legittime. In chi vorrebbe smontare l’associazione, c’è la paura che essa si trasformi in un classico ambiente da vecchio partito, con la gara a far iscrivere gli amici, le lotte per farsi eleggere nel direttivo e così via; e c’è il desiderio di mantenere il controllo nelle mani del gruppetto originario per paura dell’arrivo di malintenzionati e riciclati vari. In chi vuole formalizzare delle regole precise, c’è la paura di perdere il controllo dei propri rappresentanti nelle istituzioni, e che tutte le belle parole sul politico “dipendente dei cittadini” e al servizio del gruppo vengano prontamente rimangiate una volta ottenuta l’elezione; e c’è perplessità di fronte alla resistenza ad allargare tale potere di controllo almeno ad altre persone conosciute ed attive.
Stanotte ho tentato una proposta di mediazione, suggerendo che l’organo politico potrebbe essere nominato non dall’associazione ma dai consiglieri stessi, affidando però all’assemblea associativa un potere di ratifica o bocciatura in blocco (dunque costringendo i consiglieri a sceglierlo in modo ragionevole). Sono alchimie istituzionali anche un po’ astruse, e che vengono viste con crescente fastidio.
Eppure, io resto convinto del fatto che, nonostante la corrente di pensiero “facciamo un po’ quel cazzo che ci pare” che in Italia va per la maggiore, il diritto e le regole vanno di pari passo; non ci sono diritti senza regole, non c’è democrazia senza regole. Capisco la preoccupazione per gli eccessivi formalismi, capisco la cautela nell’evitare dinamiche da corrente politica, ma non si può pensare di fare politica senza meccanismi di decisione politica: ci hanno chiesto per esempio se aderiamo al gay pride, e questo chi lo decide?
Anche l’idea che la rete da sola controlla e smentisce è soltanto un mito. Già abbiamo un problema con Beppe Grillo, a cui bisogna fare un monumento per tante cose, ma con cui vi è il nodo irrisolto per cui ogni tanto si sveglia e dall’alto del suo blog, senza consultarsi con nessuno, scarica un De Magistris o decide che fare dei rimborsi elettorali. Aggiungerci dei Beppe Grilli locali, che senza regole e senza vincoli interpretano l’umore del popolo e decidono da soli quello che gli pare, non è democrazia: oltre ad essere il contrario di ciò che abbiamo promesso agli elettori, è il peggior populismo che potremmo tirar fuori.
E però: ma voi, che ne pensate?
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