Sky
Vittorio vb Bertola
Affacciato sul Web dal 1995

Mer 11 - 1:09
Ciao, essere umano non identificato!
Italiano English Piemonteis
home
home
home
chi sono
chi sono
guida al sito
guida al sito
novità nel sito
novità nel sito
licenza
licenza
contattami
contattami
blog
near a tree [it]
near a tree [it]
vecchi blog
vecchi blog
personale
documenti
documenti
foto
foto
video
video
musica
musica
attività
net governance
net governance
cons. comunale
cons. comunale
software
software
aiuto
howto
howto
guida a internet
guida a internet
usenet e faq
usenet e faq
il resto
il piemontese
il piemontese
conan
conan
mononoke hime
mononoke hime
software antico
software antico
lavoro
consulenze
consulenze
conferenze
conferenze
job placement
job placement
business angel
business angel
siti e software
siti e software
admin
login
login
your vb
your vb
registrazione
registrazione

Archivio per il giorno 8 Aprile 2010


giovedì 8 Aprile 2010, 19:01

Quel posto là

Rivoluzione in Kirghizistan: il popolo è stufo di vivere in uno Stato di cui non si sa nemmeno bene come si scriva il nome.

Si fa per scherzare, ma è indubbio che nell’immaginario degli italiani il mondo sia rimasto fermo agli anni ’80; quelli in cui il pianeta era dominato dagli Stati Uniti, a cui a malapena si contrapponeva un blocco sovietico in decadenza, e nel mezzo stava un’Europa che, almeno culturalmente, era ancora il centro del mondo. Il resto, leones: territori sottosviluppati pieni di gente che, se non moriva di fame, comunque viveva con gli scarti dell’Occidente.

La realtà è andata avanti e ci ha lasciati indietro: ben pochi italiani saprebbero indicare dove sta il Kirghizistan su una carta geografica, e quasi nessuno descrivere i giochi geopolitici in cui si trova in mezzo. Eppure basta mettere il naso fuori dai nostri confini per scoprire che il mondo prende direzioni che noi continuiamo ad ignorare, e si consegna a genti di cui non sappiamo, appunto, nemmeno il nome. Per esempio a Londra, un paio di mesi fa, mentre lasciavamo il nostro albergo centrale e relativamente elegante che potevamo permetterci solo trattandosi di viaggio di lavoro, abbiamo assistito all’arrivo di una comitiva di turisti in tiro, con tanto di guida turistica al seguito, che hanno scaricato tonnellate di valigie prima di requisire tutte le migliori camere e poi chiedere dov’è che si andava a fare shopping; e non erano americani, non erano tedeschi, non erano nemmeno russi o giapponesi; erano kazaki.

Ogni tanto mi diverto ad accendere Sky e a mettere sul canale 530, ossia CCTV-9: il canale internazionale in inglese della televisione di stato cinese. Il loro telegiornale parla del nostro stesso mondo, ma con priorità diverse; non ci sono Berlusconi e Bersani (c’era però la notizia del terzino dell’Inter, Santon, operato al ginocchio) e anche Obama e Sarkozy compaiono solo ogni tanto (le loro mogli mai). Invece, oggi i cinesi mostravano nell’ordine la rivoluzione in Kirghizistan, le elezioni in Sri Lanka e le proteste di piazza in Thailandia (poi c’erano dieci minuti buoni di sfottimento sui problemi di qualità della Toyota, perché si sa, parlar male dei cugini giapponesi è un dovere). I cinesi parlano di un continente come l’Asia che da solo vale metà del mondo, e che si sta progressivamente trasformando nel loro giardinetto di casa, un po’ come il Sud America lo è stato degli Stati Uniti per un secolo (lo è sempre di meno).

Noi insistiamo con le nostre certezze, quelle dell’Italia grande potenza mondiale e meta di immigrazione e investimenti dal mondo. Ormai questo è il passato; gli stranieri non vengono qui a investire, ma a colonizzarci; e la nostra immigrazione si riduce principalmente a un’area vicina culturalmente (Romania) o almeno geograficamente (Africa settentrionale e occidentale), spesso come primo passo verso altri paesi europei più allettanti; al massimo, si viene qui perché siamo i meno capaci a gestire i flussi e a far rispettare le regole. In compenso, alla nostra emigrazione da paese sviluppato degli anni ’50 e ’60 – quando esportavamo soprattutto lavoratori poco qualificati – si è sostituito un pattern di emigrazione di tipo africano, in cui ad emigrare sono i più brillanti e i più attivi.

Eppure, noi vogliamo ancora fare gli americani; e quando ci parlano di Kirghizistan e Kazakistan noi pensiamo alle capanne di fango del film di Borat. Come appunto fanno gli americani, che però, tutto sommato, possono ancora permetterselo. Per noi, invece, è giunta davvero l’ora di mettersi a studiare le cartine.

[tags]geopolitica, globalizzazione, economia, immigrazione, emigrazione, kirghizistan, kazakistan, cina[/tags]

divider
 
Creative Commons License
Questo sito è (C) 1995-2024 di Vittorio Bertola - Informativa privacy e cookie
Alcuni diritti riservati secondo la licenza Creative Commons Attribuzione - Non Commerciale - Condividi allo stesso modo
Attribution Noncommercial Sharealike