Ci mettono la guerra dei poveri
Stamattina a Milano, autobus 54. Sono in ritardo e perso nella coda lunga del traffico della fu ora di punta, che ora si trasforma lentamente nella metà mattinata. Il mio seggiolino guarda indietro, vedo soltanto il passato; ma improvvisamente, dietro di me, si alza una voce. Ha un forte accento napoletano, è roca, capisco che il signore è abbastanza vecchio, avrà una sessantina d’anni. Esordisce con un proclama indirizzato a tutto il pullman: “Signori, ci mettono la guerra dei poveri!”
Il proclama prosegue, sciolto ma sentito, studiato per bene ma anche accalorato e sincero. Racconta storie di figli in cassa integrazione, di giovani drogati, di suicidi per disperazione. Ci mette in mezzo che “i politici ci hanno abbandonato, prendono 40 mila euro al mese e noi moriamo di fame”, e che “i meridionali negli anni ’50-’60 li trattavano come animali, ora ci lasciano a casa senza pensione e senza assistenza”. La colpa di tutto è dei potenti che “gli italiani li vogliono tutti drogati e puttanieri” perché adesso tutti i diritti vanno a “i zingari e gli stranieri”. Poi alla fine, dopo avere ripetuto tre o quattro volte alcune parti del proclama, chiede gentilmente dei soldi, “per non andare a rubare”.
E’ purtroppo ormai scontato che la quantità di persone ridotte a chiedere l’elemosina sia in costante aumento. Non è così scontata, però, la scelta del capro espiatorio; perché sospetto che questa persona, se vota, vota Lega o Berlusconi. Come in Thailandia, dove il governo espressione della middle class istruita è sotto attacco nelle piazze da manipoli di contadini vestiti di rosso, assolutamente convinti che i loro diritti sarebbero meglio difesi da un miliardario spodestato qualche mese fa.
E però, alla fine di capri espiatori non si vive; e tutta questa rabbia repressa dovrà prima o poi da qualche parte scoppiare.
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